Conferenzenza tenuta alla libreria Feltrinelli di Livorno
Questa conferenza che l’UAAR di Livorno mi ha invitato a tenere, non vuol essere una rievocazione delle vicende storiche dei due Concordati. Vuole essere una abbondante mezz’ora di stimolo civile affinché i cittadini tengano comportamenti non concordatari con l’intento, in prospettiva, di creare le condizioni per superare l’istituto Concordato in sé.
I Patti Lateranensi del 1929 e il Concordato del 1984 hanno moltissime differenze nella struttura e nelle clausole. Tuttavia esprimono ambedue una concezione molto distorta dal punto di vista laico. Cioè la concezione che i rapporti tra Stato e Chiesa non devono discendere dalla libera sovranità del cittadino che pone in primo piano il completo rispetto della libertà religiosa di ciascuno, bensì essere il frutto imposto da accordi pattizi tra due poteri distinti che li hanno raggiunti nelle segrete stanze, con l’obiettivo di soddisfare i rispettivi interessi di prestigio e di gestione del potere, interessi ai quali i cittadini in carne ed ossa devono assistere restando sullo sfondo. Non per caso, gli individui vengono trattati, dalla Chiesa quali fedeli all’autorità del credo e dallo Stato come sudditi consenzienti all’autorità del conformismo, e non vengono considerati, né di qua né di là, seppure in modi differenti, dei cittadini sovrani.
Questa conferenza muove da una constatazione oggettiva. Stipulando il Concordato, la parte Stato ha sempre avuto la certezza (poi sempre dimostratasi illusoria) di aver gabbato la parte Chiesa, in quanto l’avrebbe costretta a riconoscere la magnificenza e la supremazia dello Stato.
Nel 1929, il regime fascista gongolava perché, alla vigilia del Plebiscito, aveva ottenuto la benedizione della gerarchia per il controllo del paese, al tempo stesso attraverso il listone rigido preconfezionato per nnominare il Parlamento e attraverso il giuramento dei Vescovi di fedeltà alle istituzioni italiane, nelle mani del Capo dello Stato. Il fascismo trascurava peraltro che la Chiesa aveva ottenuto cose molto più di spessore e durature: il completo abbandono del principio di separazione Stato Chiesa enunciato nella legge delle Guarentigie del 1871 che veniva abrogata con il Trattato, la ricostituzione del potere territoriale del Papa, un ricchissimo finanziamento, la stipula attraverso il Concordato propriamente detto di una lunga serie di privilegi religiosi in aspetti essenziali della vita quotidiana del paese, ad esempio in campo fiscale, in campo educativo, in campo matrimoniale.
Nel 1984, quattro dei cinque partiti di governo (eccetto il PLI), più il PCI e il MSI, approvarono enfatici in Parlamento gli indirizzi sommari (perché non venne comunicato il testo firmando) enunciati dal Governo, che delineavano un nuovo Concordato vero e proprio. Però era un gioco degli equivoci. Innanzitutto i rapporti Stato Chiesa sarebbero potuti cambiare davvero solo se si fosse modificato il Trattato, il primo dei tre documenti dei Patti Lateranensi 1929, che costituisce la vera base dei rapporti storti Stato Chiesa, attribuendo alla chiesa molti vantaggi civili ed economici contrastanti con la piena sovranità dello Stato. Non a caso, la più rilevante novità positiva dell’accordo 1984, cioè la cancellazione della norma che faceva della religione cattolica la sola religione dello Stato, deriva dallo stabilire di non considerare più in vigore il corrispondente principio sancito proprio nell’art.1 del Trattato.
A parte questo, la nuova proposta di accordo toccava essenzialmente solo il terzo documento dei Patti Lateranensi, il Concordato propriamente detto. Sul punto le novità erano tante a parole ma poche nella sostanza, o almeno assai poco nette. Le cose stanno così perché quasi tutte le modifiche riprendevano ciò che era già frutto delle sentenze della Corte Costituzionale, dei referendum sul divorzio e sull’aborto, della mutata pratica sociale e dell’accresciuta libertà di opinione. Nel redigere il nuovo Concordato 1984 fu seguita la linea di cristallizzare quanto era stato acquisito prima. Il che, sì, serviva a confermarlo, ma , considerato che il tempo scorre, significava anche bloccare (facendola dipendere dall’assenso del Vaticano) una possibile evoluzione futura per conquistare nuovi spazi di libertà civile, al momento imprevedibili. Spazi temuti dai conservatori che vogliono evitare possano realizzarsi. Da tutti i conservatori, si badi bene, da quelli di parte statale, certo, ma pure da quelli della Chiesa, i quali all’epoca, oltre la loro convinzione religiosa fisiologicamente contraria alle libertà civili laiche, avevano la spinta ulteriore di voler arginare i potenziali sviluppi dell’impostazione data a metà anni ’60 dal Concilio Vaticano II, che non aveva incluso il sistema del concordato tra le necessità ecclesiali nelle democrazie.
Svolta questa considerazione complessiva, la revisione del Concordato svuotava le vecchie definizioni concordatarie del rapporto tra Stato e Chiesa, ridefiniva i rapporti tra uffici dello Stato e uffici della Chiesa, precisava le finalità di culto degli enti ecclesiastici, introduceva nuovi sistemi di finanziamento dello Stato per il sostentamento del clero, riformulava la libertà di insegnamento per la Chiesa, estendeva l’assistenza spirituale dal campo militare, all’ ambito ospedaliero e carcerario. Oltre a questo, introduceva due modifiche significative.
La prima è che la collaborazione tra Stato e Chiesa Cattolica viene affidata alla Conferenza Episcopale Italiana (art.13). E siccome non è possibile ritenere che la CEI configuri uno Stato oppure non sia un’organizzazione religiosa italiana operante sul territorio italiano, ciò significa che il Concordato 1984 non si limita ad essere un accordo tra Stati, ma diviene un ulteriore riconoscimento all’ingerenza delle strutture religiose nella gestione dei rapporti civili. Il che rende ineludibile la problematica della doppia sovranità, di per sé rilevante. Gli italiani appartenenti alla gerarchia, ma anche i comuni cittadini di fede cattolica compenetrati nella logica concordataria, oltre che nella fede, hanno obiettivamente due distinti punti di riferimento, quello italiano e quello vaticano. Si pongono così questioni assai delicate quando si tratta di funzionari statali o esercenti pubbliche funzioni. Da rilevare in particolare che su questo argomento rilevante il Parlamento non si pronunciò dal momento che, come ho ricordato prima, al Parlamento non fu presentato alcun testo dell’accordo firmato giorni dopo.
L’altra modifica di fondo era che, nel merito di diversi aspetti, la definitiva sistemazione non era contenuta nel nuovo testo ma affidata a successive trattative. E ciò su tutta una serie di materie di svariato genere, dai programmi scolastici incluse le relative questioni didattiche, alla valorizzazione del patrimonio artistico. Una simile impostazione offriva alla componente religiosa nuove opportunità di pressione e di ingerenza sulla struttura civile italiana.
In ogni caso, anche nel 1984, lo Stato, rappresentato dal governo dell’on. Craxi (il quale si affidava al suo plenipotenziario di settore, Gennaro Acquaviva, proveniente dalle ACLI e esibito cattolico praticante), si illudeva di aver gabbato la parte Vaticano in quanto l’avrebbe costretta a riconoscere la supremazia dello Stato e insieme ad agevolare il disegno politico del Governo in carica. Gli argomenti più utilizzati da Craxi sul piano interno erano la questione del superamento della religione di stato e poi l’instaurarsi di una migliore cooperazione tra lo Stato e la Chiesa nel quadro di una moderna separazione, come disse alla Camera. In questo modo Craxi cercava di far balenare che il PSI aveva una concezione concordataria tanto aperta da toccare appunto la “moderna separazione”, così da soddisfare i laici, ammiccare alla posizione distinta degli alleati liberali e da poter utilizzare l’importanza sociale della Chiesa. In aggiunta, il disegno craxiano prevedeva di utilizzare il prestigio della Chiesa a livello europeo nella lotta da lui ingaggiata con coraggio per sconfiggere l’idea comunista, impegno che gli pareva convergesse con quello di Giovanni Paolo II.
L’illusione della parte Stato era rafforzata anche dalla posizione del PCI, che, per non restare indietro, spaziava sostenendo tutto e il contrario di tutto, come mostrano le parole del sen. Bufalini nel dibattito parlamentare. Disse vogliamo “formare una base comune nella quale la tradizione risorgimentale, quella del cattolicesimo liberale e democratico e le tradizioni del movimento operaio e delle altre componenti laiche, si confrontino dando ciascuna il meglio di sé….. l’opera alla quale ci accingiamo rappresenta il frutto di lotte e di battaglie di quanti hanno vissuto ed alimentato principi di tolleranza civile e di autonomia dello Stato, di libertà religiosa e di libertà politica”.
Come si vede un frasario che richiama anche la politica di separazione tra Stato e Chiesa ma del tutto equivoco sulla questione essenziale, separatismo sì o no, al punto che, con disinvoltura, veniva usato per votare il Concordato 1984, vale a dire per la scelta opposta. Questa situazione non deve peraltro stupire, tenendo presente che, in fatto di illusioni sui rapporti con la Chiesa, il PCI non è certo secondo a nessuno, visto che alla Costituente ¬ quando ancora era vigente l’art.1 del Trattato, quello della sola religione di Stato – la decisione presa da Togliatti di mettere in Costituzione i Patti Lateranensi – nonostante che Gramsci avesse scritto “il Concordato è il riconoscimento di una doppia sovranità in uno stesso territorio statale“ ¬– quella decisione (il famoso art.7) era frutto della speranza di poter così acquisire titoli di merito nei confronti dei credenti cattolici e dar più forza al partito. E tutti sanno che, per cominciare, pochi mesi dopo ai comunisti arrivò la scomunica, e che l’art. 7 è stato decisivo per radicare ancor più il clericalismo fino ad oggi.
Tutte queste illusioni degli esponenti istituzionali italiani, si ripetono senza tener mai conto delle capacità strutturale della Chiesa di infiltrarsi nel civile, al passar del tempo, approfittando di ogni più piccola opportunità e facendosi forte di quanto accumulato in precedenza (monetizzando la paura dell’ignoto) per impedire che l’evolversi del vivere civile mini la fede. Anche nel 1984, offuscati da una simile illusione, gli esponenti istituzionali, gongolavano nell’ascriversi il merito di questo nuovo atto di governo attinente temi di alto profilo, e neppure si soffermarono sugli ulteriori vantaggi che la Chiesa si stava assicurando in prospettiva con il nuovo Concordato. Vantaggi di tipo generale e di tipo funzionale.
Quelli di tipo generale, stavano nel fatto che la missione della Chiesa resta sempre quella evangelica. Perciò la Chiesa è sempre focalizzata sull’obiettivo di mantenere la propria centralità nelle vicende politico sociali come faro di misericordia: in materia di fede non accetta compromessi o confusioni. Obiettivo molto più ampio della lotta contro il comunismo che era la contingente cifra politica craxiana.
I vantaggi di tipo funzionale derivavano dagli ulteriori riconoscimenti che il nuovo Concordato dava alla Chiesa (un emblema è il ruolo irrobustito della Chiesa nel campo dell’istruzione previsto dall’articolo 9, che negli anni successivi portò a vari accordi espansivi dell’insegnamento religioso cattolico nelle suole pubbliche, a cominciare dalle materne e dagli insegnanti di religione nei consigli di classe) e dall’impianto del Concordato lasciato aperto a successive definizioni (un emblema è la legge del 1985 sull’otto per mille che, con un artificio giuridico, ha trasformato il finanziamento per il sostegno al clero in una ricca erogazione a favore della Chiesa; oppure un altro emblema la fiscalità sugli immobili di rilievo artistico e storico) ; ancora un altro vantaggio per la Chiesa è che, nonostante le numerose altisonanti dichiarazioni, non ebbe seguito il superamento della legislazione sui cosiddetti culti ammessi, del 1929, tutt’oggi in vigore.
Ho trattato apposta in modo abbastanza ampio il tema della costante illusione dei governanti di turno nei rapporti con la Chiesa, per sottolineare che il loro fine è sempre il medesimo: divenire gli interlocutori privilegiati della Chiesa. Un fine destinato ad essere fatalmente disatteso. In ultimo, 25 anni fa, è stato il turno dei socialisti di prendere atto del fallimento del loro disegno sul Concordato del 1984. Così Acquaviva , di cui ho parlato prima, dovette constatare , in occasione della ripresa dopo venti anni delle Settimane Sociali del mondo cattolico, che la CEI di Ruini aveva invitato a fare interventi solo alti esponenti della DC e nessun socialista. Acquaviva commentò indispettito sul Corriere che era stata persa un’occasione e che, invece di aprirsi, la Chiesa “chiudeva porte e sbarrava chiavistelli”. Acquaviva faceva tenerezza. L’assurdo era aver pensato possibile stabilire chissà quale rapporto politico preferenziale con la Chiesa al di là dei rapporti diplomatici. Le porte e i chiavistelli c’erano sempre stati dal punto di vista dei principi. Lo ignora solo chi punta al potere e basta, non chi tiene fuori la fede dalla politica.
Va aggiunto altresì che le illusioni del Parlamento italiano in quel gennaio 1984 erano tanto più velleitarie in quanto il nuovo Concordato fu varato quando già si manifestava la linea di Giovanni Paolo II: i cattolici italiani devono impegnarsi per far sì che la fede ricuperi un ruolo-guida e la sua efficacia trainante nel cammino verso il futuro dell’Italia. E questa linea – forse anche a motivo della non cittadinanza italiana di Giovanni Paolo II divenuta poi una caratteristica costante per i Pontefici – operava non tanto nella tradizionale chiave neotemporalista quanto sotto il profilo dell’influenzare i rapporti di cittadinanza in chiave religiosa. Tale circostanza rendeva ancor più anacronistica – in paesi democratici e liberi come l’Italia – la logica concordataria e avrebbe richiesto analoga capacità da parte dello Stato per attuare una politica secondo il principio di separazione tra Stato e religioni.
A livello del dibattito parlamentare, la linea della separazione Stato religioni venne sostenuta con precise motivazioni da alcuni parlamentari a titolo personale. Tra questi in particolare va tenuto presente l’intervento dell’indipendente di sinistra, Raniero La Valle, un cattolico di alto livello, inseritissimo e fautore di una Chiesa di popolo, che richiamò testualmente “la decrepitezza e l’ambiguità dello strumento concordatario “ ed espresse “la convinzione che si dovesse giungere ad un superamento pacifico e consensuale della forma concordataria, superamento già indicato nell’insegnamento conciliare ove la Chiesa chiedeva non più concordati, ma concordia tra comunità religiosa e comunità civile”.
La linea della separazione Stato Religioni fu poi alla base in modo organico dell’astensione del PLI, unico tra i partiti di governo. Vi furono due interventi alla Camera, Patuelli e Zanone, e due al Senato, Malagodi e Valitutti, mentre non intervenne Bozzi, l’esperto della materia, perché all’epoca era Presidente della prima Bicamerale per la Riforma Istituzionale e come tale in conflitto di interessi.
Valitutti ricordò l’impegno dei liberali di “testimoniare la superiorità della soluzione separatistica rispetto a quella concordataria….nel rispetto del principio sintetizzato nella formula storica « libera Chiesa in libero Stato”. Malagodi ricordò che non era stata neppure esaminata la possibilità di “un semplice accordo che rappresenti il superamento totale del concetto concordatario” nonostante che al momento “lo spirito del nostro Stato e lo spirito stesso della Chiesa cattolica avrebbe dovuto, portarci al superamento totale della forma concordataria, che è pur sempre una forma di privilegio”.
Ho inteso richiamare il fatto che il Concordato 1984 ebbe dissensi dichiarati e consapevoli da parte dei separatisti, non solo per sottolineare che l’illusione concordataria non fu unanime, ma anche per meglio inquadrare la non casualità degli avvenimenti susseguitisi. Nel suo intervento Valitutti era stato profetico circa il pericolo che le trattative lasciate aperte nel Concordato fossero occasione di nuovi contrasti che, vanificando addirittura lo stesso spirito concordatario, avrebbero chiesto sempre di più allo Stato.
Da allora, in questi 33 anni, gli episodi di forte frizione sono stati decine distribuiti con regolarità ed hanno visto coinvolti non tanto Stato e Chiesa direttamente ma in misura crescente i cittadini laici da un lato e dall’altro coloro che o non si interessano ai problemi della libertà politica del cittadino oppure sono inclini a vivere il mondo come ridotto ad una assorbente dimensione religiosa cui loro vorrebbero sempre di più obbligare gli altri (nel mio libro Lo Sguardo Lungo, li chiamo i cattolici chiusi) ad un fine poco religioso, i propri interessi.
I principali episodi di frizione hanno interessato in modo ricorrente un ampio gruppo di temi. L’ordinamento scolastico dalle materne all’università, con attenzione concentrata su cose come insegnamento della religione o la presenza dei crocifissi nelle aule o il finanziamento alle parificate. La materia immobiliare soprattutto sotto l’aspetto imposizione fiscale, con l’Ici e poi con l’Imu (su cui siamo stati perfino sculacciati dall’Europa, stanti le capziose contorsioni delle nostre burocrazie confessionali). La normativa sulla fecondazione assistita, così evidentemente assurda che, passato un decennio, è stata quasi smantellata da 38 rattoppi giudiziari degli alti gradi della Giustizia (a parte l’incoerenza civile di sostituire il legislativo con gli organi di garanzia). La distorta concezione della libertà di coscienza nei servizi sanitari pubblici al fine di tentare di impedire questi servizi in certe materie sensibili. Le ricorrenti tensioni su vari aspetti delle tematiche bioetiche, La trascrizione dei matrimoni celebrati all’estero. Le unioni civili. I forti ritardi (strumentali) con cui sono fatte entrare in vigore le intese con alcune religioni. I tentativi di fare una legge sui culti ammessi annullando la vigente legge del 1929, tentativi finora tutti naufragati.
Tutta questa lunghissima serie di episodi di disagio, talvolta grave, che mettono a repentaglio i rapporti religiosi nella convivenza, dimostra la falsità della tesi secondo cui la secolarizzazione sarebbe raggiunta. Tanto è vero , dice chi sostiene la tesi, che la sentenza 203/1989 della Corte Costituzionale ha riconosciuto che l’impianto complessivo della Costituzione esprime il valore della laicità. Al punto, vien fatto rilevare, che ormai perfino la Chiesa partecipa tranquillamente da qualche anno alle celebrazioni del xx settembre a Porta Pia, fingendo di non aver per un secolo e mezzo considerato e trattato la data quasi fosse una ricorrenza demoniaca. Dopodiché gli illiberali e i cattolici chiusi concludono che le lamentele dei laici non hanno appigli concreti e che il loro vero obiettivo è sminuire la religione o fare il tifo per qualche gruppo di credenti nelle discussioni interne alla Chiesa.
Sta proprio qui il nodo politico di tutta la questione dell’ordinamento civile. Il mondo laico non è affatto contro la religiosità vissuta nel privato od organizzata ed esibita in pubblico; anzi la libertà di religione è un caposaldo delle istituzioni laiche. Ciò che il mondo laico sostiene con fermezza, sulla scorta di quanto è storicamente maturato, è che il credo religioso non rientra tra i parametri preposti alle scelte e al governo civile e che di conseguenza le istituzioni debbono essere rigorosamente neutrali. Il mondo laico sostiene la separazione stato religioni in nome del realismo rispetto ai rapporti di convivenza. E deve purtroppo constatare che in Italia i provvedimenti separatisti vengono assunti (quand’anche vengono assunti) assai in ritardo rispetto ai bisogni della convivenza e solo dopo l’urgere delle questioni reali ( va pure ossevaato che non per caso la richiamata sentenza Costituzionale 203/1989 lascia spazio ad interpretazioni limitative della pure ammessa laicità istituzionale, proprio in quanto fa rifermento allo Stato comunità e non allo Stato del cittadino). Comunque, con tali gravi e numerose carenze nell’applicare il separatismo, il sistema concordatario ingabbia il cittadino. E ciò è una riprova che il concetto di cittadino è il discrimine vero tra laici e confessionali.
Nella convivenza, i confessionali operano in base ad una concezione del potere e del suo derivante conformismo, costruita attorno ad un’autorità, i laici operano in base al riconoscere la diversità individuale quale condizione di vita per favorire l’interscambio delle persone e delle idee. Secondo i laici , è solo affidandosi alla diversità – la diversità tra gli individui e la diversità nella identità di ciascun individuo – che si aprono le porte al futuro, dato che i diversi apporti individuali sono il motore permanente della conoscenza e del cambiamento. Tra parentesi, questa convinzione, due anni e mezzo fa, ha fatto nascere l’Associazione Livorno delle Diversità che ha ottenuto la concessione di un’area demaniale in Porto per mantenervi tangibilmente l’attenzione su questo principio (potete approfondire sul loro sito www.livornodellediversita.eu).
Dunque, riscoprire la diversità individuale, è connesso strettamente alla laicità istituzionale e alla sua concezione del cittadino. Fondandosi sul separare la gestione pubblica della convivenza civile dalle suggestioni rigide ispirate da un qualche credo, la laicità istituzionale è storicamente il solo metodo in grado di garantire la completa libertà di espressione di ognuno – dunque anche quella, volendolo, di manifestare ed organizzare il proprio credo – , la piena uguaglianza dei cittadini nei diritti, il miglior clima per tessere le relazioni interpersonali nel rispetto degli altri credenti e non credenti. Tutto ciò è indispensabile per affrontare nel tempo i continui cambiamenti del convivere, producendo così nella realtà le sempre nuove migliori condizioni di vita.
Il criterio distintivo della laicità è la libertà di ogni cittadino di esercitare lo spirito critico per vivere come lui preferisce nel privato e per compiere di volta in volta le scelte pubbliche giudicate più positive sulle strutture del convivere, per poter poi verificarne di continuo i risultati rivedendo le scelte compiute e facendone altre più adatte ai problemi emersi nel frattempo .
La globalizzazione agevola queste cose e perciò è una pratica positiva dal punto di vista laico perché appunto diffonde e velocizza esponenzialmente le relazioni nelle iniziative individuali sottoponendole a continue verifiche. Tuttavia essa stessa si trasforma in un fattore negativo quando la sua fisiologia viene capovolta e resa uno strumento accentratore, da quei suoi fautori che la interpretano e la gestiscono solo secondo le idee e gli interessi degli addetti più inseriti nei suoi meccanismi e che non prendono in considerazione le idee e gli interessi dei cittadini individui perché vogliono diffondere il conformismo del pensiero unico e comprimere lo spirito critico.
La separazione Stato religioni è la precondizione perché la laicità civile possa operare, affidandosi ai cittadini diversi che scelgono confliggendo democraticamente sui fatti. Ciò costituisce l’alternativa più profonda ai sistemi, in cui iniziative e modifiche alle regole dipendono da un’autorità sovrastante a vario titolo la libertà del cittadino. Nei secoli dogmatismo e propensione religiosa si sono dimostrati (come minimo) molto meno efficaci e molto più lenti nel governare il convivere. Per governare e convivere occorrono istituzioni e politiche tolleranti, non rigide, dedite a ridurre le sacche di illibertà. Perciò, per evolvere con rapidità ed efficacia restando alla realtà dei fatti, va evitata ogni commistione tra lo Stato che struttura la convivenza e religioni.
La neutralità istituzionale va costruita e conservata efficiente nel tempo. Per riuscirvi non basta sviluppare in ogni individuo la mentalità improntata al dubbio come strumento per esercitare il proprio spirito critico. Occorre non meno impegnarsi per far sì che le strutture istituzionali consentano e favoriscano di continuo la pratica di quella mentalità. Quindi occorre il lavoro politico laico per portare il dibattito nella convivenza a non cullarsi nell’illusione che tale mentalità dipenda dagli accordi con la Chiesa.
Per lavorare in una simile direzione occorre che i laici più che al lamentarsi si dedichino ad impegnarsi con determinazione a sostenere ed a praticare il principio di separazione Stato religioni. Tanto più oggi, in un momento storico in cui esiste la tendenza, in troppi laici, a fare un’apertura di credito alla figura di Papa Francesco. Egli, come teoria e come pratica, proclama il mutamento della gestione ecclesiale mantenendo il principio di autorità del credo. Eppure tale mutamento nella gestione viene scambiato – attraverso l’amplificazione dei media – come segno di un’autorità che permette di eludere i vincoli dei fatti e dell’esperienza (questa è l’aspirazione immutabile che da forza all’attrarre religioso), di un’autorità che, attraverso il conformismo comunitario, tenta di accrescere, nei cittadini di più fragili convinzioni e a disagio nei rapporti sociali, la speranza che gli appelli alla misericordia di Francesco possano sostituire, nel governare, la libertà dei cittadini nell’interagire e nell’intraprendere. Si tratta di una speranza priva di fondamento, poiché l’appello misericordioso non esprime lo spirito critico del cittadino che sceglie confrontandosi, bensì attua l’approccio dell’autorità nel riproporre il messaggio evangelico da applicare sempre. La misericordia può innovare la forma del messaggio, non mutarne la sostanza dogmatica. Perciò essa non è la strada per transitare dall’autorità alla libertà civile. Tale speranza di autorità misericordiosa fuori della sfera religiosa, significa rifiutare la storia della libera convivenza nella sua essenza. Che sta nell’interagire della libertà critica di ciascuno.
Oltre a quanto detto fin qui, deve indurre i laici a rifuggire ogni inclinazione ad impostazioni religiose, la grande sfida portata dal fondamentalismo jihadista. La jihad globale ha privatizzato la violenza e ha l’unico obiettivo di colpire lo stile di vita degli infedeli, laico e critico, sfruttando i migranti per far entrare terroristi (con il fine di far crescere la diffidenza verso i musulmani e facilitare la loro chiamata alle armi). La sola risposta realistica ed efficace ad un attacco di questo tipo è insistere con più coerenza e fermezza sui principi della libertà individuale e delle istituzioni laiche che sono il nerbo del nostro stile di vita, acquisendo piena consapevolezza che la minaccia jihadista sarà per molto tempo il convitato di pietra della nostra convivenza aperta. E’ così caduta un’altra illusione: l’Italia non è immune dal terrorismo perché all’ombra della Chiesa e del dialogo religioso.
Nell’ambito della risposta coerente con i nostri principi laici, dovremo pure porre il problema non secondario che il finanziamento tramite 8 per mille agli italiani credenti musulmani non è ora possibile, perché non esiste un’Intesa tra Stato e Islam, e non è semplice ci possa essere nei termini attuali in cui è impostata la legge, dato che l’islam non prevede un’istituzione corrispondente alle strutture ecclesiali degli altri credi ed in più sono d’ostacolo a costruirla le forti divisioni tra gli islamici, non solo tra sunniti e sciiti ma anche in base al paese di provenienza in Italia.
Nel sostenere e nel praticare il principio di separazione Stato religioni, i laici non dovranno dimenticare che lo scopo permanente della laicità civile non è né il proselitismo (massificante in sé) né l’opporsi alla propensione religiosa bensì il potenziare la pratica della libertà dei rapporti interpersonali tra diversi accrescendo il peso della politica delle idee nel dibattito pubblico, oggi ridotto a scontri tra gruppi di potere. Ciò, prima di tutto per il motivo che non la linea della Chiesa ma la pratica del metodo laico trova piena conferma sperimentale nei fatti della convivenza e nello svilupparsi delle società civili. Che mostrano che neanche la fede può prescindere dal mondo fisico. Non è la fede che governa il mondo, ma la libertà umana, immersa nel tempo fisico, che governa mediante il confliggere critico tra individui diversi secondo regole democratiche. Dunque, essendo vincenti nel clima e nei costumi civili, i laici non debbono conservare una mentalità da perdenti. Invece di rifugiarsi in un anticlericalismo cui tendenzialmente finiranno per mancare anche gli argomenti sul potere mondano della Chiesa, un anticlericalismo in sintesi ridondante verbalmente ma sterile nei risultati, i laici si impegnino presto a battersi per applicare nelle istituzioni la propria impostazione fondata sulla centralità del cittadino e quindi sulla separazione stato religioni. E’ tempo non di dirsi laici ma di praticare la laicità nel convivere.
Per cominciare, i laici dovranno stare molto attenti affinché non si ripetano fatti istituzionali imbarazzanti come il discorso di investitura, qualche anno fa, del Presidente della Camera, Laura Boldrini, la quale, declamando “Anche i protagonisti della vita spirituale e religiosa ci spronano ad osare di più”, schierò la Camera tra chi vuole affidare alla fede un ruolo propulsivo nelle scelte legislative.
Almeno altrettanto, l’Associazionismo laico in quanto tale dovrà evitare di cadere nella trappola dell’intellettualismo pensoso sulla religione, in cui cade quando si dedica ad organizzare dibattiti ad alto livello come quello organizzato due anni fa a Torino dalla Consulta per la Laicità delle Istituzioni e dal Centro Calamandrei, partecipante il Cardinale Scola, sul tema “Il papato di Francesco tra istanze pastorali e questioni di dottrina”, presentato ufficialmente indicandone la trama ,il “passaggio innovativo impresso dal Papa Francesco molto incisivo e sempre carico di aspettative, motivo di dissensi aperti o dissimulati, come si è visto al Sinodo dei Vescovi sulla famiglia”.
Impostata così, la riflessione mischia ragioni e ragionamenti dei laici con quelli della gerarchia religiosa. E mischiandoli, trasmette il messaggio che i due aspetti – laicità e religiosità – siano in fin dei conti situati sul medesimo piano. Il che è impossibile visto che nella convivenza laica decidono i cittadini lasciando libertà di religione, mentre nel popolo della fede cattolica decide per tutti la gerarchia nel nome del Dio e i cittadini sono solo testimoni.
A parte questi richiami alla doverosa attenzione ad avere comportamenti coerenti, in generale desidero anche richiamare, per gli interessati, i sette punti del programma separatista sviluppati nel mio Lo Sguardo Lungo. Detto ciò, in estrema sintesi, ritengo siano due le iniziative di maggior rilievo che i laici dovrebbero assumere nell’immediato per dare contenuti alla partecipazione dei cittadini che decidono, precipua caratteristica della separazione Stato religioni. Una sul tema dei servizi pubblici e una su quello dell’otto per mille.
Quanto alla prima, è indispensabile che i laici si impegnino perché l’intera gamma dei servizi pubblici si svolga nel rispetto della laicità istituzionale che esclude privilegi per un solo culto. Si pensi a una serie di problematiche quotidiane. L’insegnamento della religione cattolica (da sostituire con la storia delle religioni). L’esposizione di un solo simbolo religioso nelle aule (che andrà progressivamente superata). Il servizio di interruzione di gravidanza (liberato da interpretazioni incostituzionali della legge 40 e dall’assurda scusa della libertà di coscienza, che non riguarda l’ente erogatore del servizio ma i singoli operatori). L’assistenza ospedaliera e militare (che di fatto favorisce un solo culto). La volontà dei cittadini di formalizzare le loro volontà sul proprio fine vita ostacolata con remore comunitarie frapposte in molti municipi (spesso con la scusa insussistente giuridicamente che sarebbe necessario attendere una legge nazionale). La vicenda degli indebiti privilegi immobiliari ad attività religiose e dei finanziamenti alla scuola parificata (visto che la scuola parificata non configura la libertà di insegnamento bensì la libertà di impresa che richiede allo Stato il titolo di parificata in cambio di adottarne programmi e didattica). Nell’ultima questione, ad esempio, esistono orami nella medesima direzione diversi pronunciamenti delle alte strutture giuridiche (a cominciare da quella a favore del Comune di Livorno in conflitto con due Istituti cattolici per imposte antecedenti il 2012) per cui l’imposta va applicata senza l’esenzione prevista per le attività religiose. quando il pagamento di rette comprova che l’attività didattica è svolta con modalità commerciali. Principio laico che è stato negli ultimi giorni confermato in un caso analogo anche dal Consiglio di Stato. Su tutti i servizi pubblici qui elencati occorre una decisa azione dei laici , capillare ed incessante, per arrivare a soluzioni il più possibile coerenti con il principio separatista Stato religioni.
Poi svetta la questione 8 per mille. E’ un modo ipocrita (inventato da Giulio Tremonti, allora socialista, ora leghista, sempre non laico e illiberale) di privilegiare i culti che hanno Intese con lo Stato, con il vero scopo di avvantaggiare la Chiesa Cattolica. L’ipocrisia consiste nel dire che l’ammontare è scelto dai cittadini mentre in realtà scelgono solo circa il 40% dei cittadini (dei quali lo 85% opta per la Chiesa) e il restante 60% circa, che non ha scelto, fornisce un gettito sui 1,1 miliardi di euro, poi erogato con fondi dello Stato ai culti in proporzione alla parte delle scelte compiute (così senza clamore si danno altri 935 milioni alla Chiesa Cattolica). . Questa ipocrisia va rimossa. Il primo passo è mobilitarsi con un’esplicita azione politica per togliere pochissime parole dalla legge 222/1985 (Art. 47 comma 3° ultimo periodo) e cioè le parole “In caso di scelte non espresse da parte dei contribuenti, la destinazione si stabilisce in proporzione alle scelte espresse”. Tolte queste parole, cioè due sole righe, rimane la libertà del contribuente di destinare il proprio 8 per mille ma sparisce un privilegio per un culto con soldi pubblici. E allo Stato resta oltre un miliardo di euro. Questa è la battaglia cardine dell’impegno civile laico.
Oltretutto, sono già percepibili scricchiolii nelle posizioni favorevoli all’inoptato. Ad esempio, il criterio 8permille non è più previsto nella norma per finanziare i partiti, per la quale le imposte pagate da chi non si è avvalso dell’8 per mille restano di proprietà dello Stato. Giusto, ma perché solo per i partiti ? Ed inoltre oramai sono ripetuti i richiami espliciti della Corte dei Conti che sull’8 per mille ha dato un durissimo giudizio negativo in termini giuridici ed operativi analoghi a quelli dati da noi laici, assegnando un termine al governo (ormai ampiamente scaduto) per adottare misure conseguenti (facendo restare all’erario le quote Irpef non destinate dai cittadini con l’8 per mille e poi imponendo alla burocrazia ministeriale di non derogare fantasiosamente nell’uso dell’8 per mille destinato allo Stato.). Tra l’altro noi laici dobbiamo sottolineare che eludere le indicazioni della Corte dei Conti anche solo continuando a rinviare, costituirebbe una violazione accertata della separazione Stato religioni. E ciò andrebbe contro quanto stabilito dalla Corte Costituzionale da anni.
Per tutti questi motivi ritengo urgente che il mondo laico, mettendo insieme la maggior parte delle organizzazioni che sostengono il principio di separazione Stato religioni e la neutralità istituzionale, promuova presto un referendum abrogativo dell’ Art. 47 comma 3° ultimo periodo della legge 222/1985 per togliere dal nostro ordinamento la distribuzione furbastra dell’8 per mille. Sono convinto che i tempi per agire siano maturi e che le reti informatiche, pur se da noi tuttora limitate, abbiano potenziato i contatti tra i cittadini agevolando le condizioni per riuscire prima a raccogliere 500mila firme a e poi a condurre alle urne.
Come penso abbiate potuto constatare, nell’ultima mezz’ora ho illustrato il perché il sistema concordatario è una gabbia per il cittadino ed ho anche sostenuto l’opportunità di smontare nella nostra democratica Italia le sbarre principali di tale gabbia, intento che non distingue solo i laici perché 50 anni fa il giudizio sullo strumento lo aveva fatto capire anche il Concilio Vaticano II. Non ho invece sollecitato un’azione per smontare direttamente la gabbia, cioè per abrogare l‘art. 7 della nostra Costituzione. Non lo ho fatto per una questione di coerenza con un aspetto rilevante della laicità che implica una valutazione di opportunità di comportamento.
L’aspetto rilevante della laicità è il riconoscere pienamente la diversità di ogni cittadino. Ho trattato abbastanza il punto per doverci ritornare. Riconoscendo la diversità, è naturale constatare che in Italia sussiste non tanto una forte tradizione religiosa – che non è una caratteristica solo italiana, ritrovandosi sotto varie forme in ogni paese – quanto una forte tradizione di potere confessionale, dalla quale il paese si era staccato con il disegno cavourriano del Libera Chiesa in Libero Stato e nella quale è stato fatto ripiombare dal nuovo prevalere quasi un secolo fa della cultura politica illiberale. E quindi per struttura disattenta ai problemi della libertà civile e dedita a ripercorrere le antiche strade degli accordi tra l’autorità del Papa e dell’Imperatore. Questa cultura illiberale è attualmente più debole di allora ed ha cambiato modi espressivi ma è tuttora molto robusta, soprattutto perché trova sponde in altre culture illiberali più specifiche, quali le oligarchie finanziarie, burocratiche, sindacali, di cui è impastato il nostro Stato e, come è evidente, anche lo Stato del Vaticano.
In tale ambiente di potere confessionale pervasivo, sguazza la categoria dei cattolici chiusi che costituisce la diversità più lontana dalla laicità, la diversità clericale. Il tipico metodo laico non impone mai né è mai oligarchico e si applica a far maturare la condivisione dei progetti laici tra i cittadini. Progetti che. detti in pillola, sono tenere ben distinte questioni politiche e questioni religiose.
Peraltro, all’epoca di Cavour il concetto di cittadini riguardava gruppi ristretti e quindi si trattava di convincere meno persone oltretutto più attrezzate in termini culturali per cogliere l’importanza del Libera Chiesa in Libero Stato. Oggi, siamo evoluti e tutti sono cittadini. Così da un lato i nemici del separatismo, i cattolici chiusi, sono quantitativamente più numerosi di prima e dispongono di maggior potere mentre dall’altro gran parte dei cittadini sono frastornati da una cultura dell’immediato, del superficiale, dell’apparire, delle convenienze contingenti. Tra l’altro in un quadro di forti tensioni provocate dai populismi sul piano interno e dai fondamentalismi su quello internazionale.
In queste condizioni ambientali, puntare sull’abrogare a breve il Concordato, può esasperare gli animi o comunque essere utilizzato per farlo. Il che soddisfarebbe le pulsioni emotive dei laici ma solo in chiave di testimonianza, e finirebbe per essere una sterile manifestazione anticlericale più che una strategia capace di fare uscire dalla gabbia il cittadino. L’abrogazione non si otterrebbe, essendo irrealistico suppore esistano oggi le maggioranze necessarie. Volere l’utopia sarebbe non laico, come sempre.
Nel mio libro Lo Sguardo Lungo ho scritto che “una volta predisposte le condizioni di maturazione per l’avvio operativo, il successivo lasso di tempo per realizzare questo obiettivo (l’abbandono del Concordato) , è ragionevole prevederlo intorno ad un’ulteriore decina di anni”. Ne sono ancora convinto. Per attivare quelle condizioni di maturazione, oggi occorre spingere verso la laicità i servizi pubblici e mobilitare i cittadini per abrogare la distribuzione dell’inoptato. Su questi remi ridotti esistono le condizioni di ottenere la maggioranza. Dobbiamo iniziare la lunga marcia verso l’abbandono del Concordato. Con determinazione, con insistenza e senza fretta.