La sinistra “Contro le due culture” e lo spirito critico dei liberali

Mercoledì 23 aprile presso la sala Minerva del Senato, si presenta il libro “Contro le due destre” uscito il mese scorso per i tipi dell’Editrice Futura con postfazione di Andrea Pancani, composto, a cura di Andrea Del Monaco, da venti contributi tutti  sul filo della tesi espressa nel titolo, lo stesso dell’omonimo volume di Marco Revelli del 1996 edito da Bollati e Boringhieri.

Il libro esprime bene il pensiero e i sentimenti della sinistra fuori del PD, attualizzati ad oggi.  E conferma l’attitudine di questo mondo della sinistra a non tener conto dell’esperienza basata sui fatti, ed a ostacolare senza volerlo  l’evolversi delle relazioni politiche democratiche.

I fatti, di per sé, vengono visti come appaiono. Però non se ne coglie il tessuto connettivo, e perciò non se ne intende la prospettiva di sviluppo. Che non è mai deterministica, ma sempre probabilistica. E che di conseguenza non può essere mai imposta ma solo favorita creando le condizioni volute e attendendo poi per vedere se  si sviluppino davvero nel senso auspicato.  

Il libro di oggi, come quello del 1996, testimonia questo errore di prospettiva e lo ripete. Indica in modo realistico i limiti di ciascuna delle due culture – quella dell’area PD e quella dell’area berlusconiana  che si sono via via ripetute. A partire dalla contrapposizione dell’Ulivo e del Polo delle Libertà, divenuta  nel decennio successivo  bipolarismo monopolistico tra Berlusconi e Veltroni, trasformatasi negli anni seguenti,  sotto l’ombrello UE all’insegna dell’austerità, nel governo dei tecnici e comunque in quelli del presidente. Infine negli ultimi anni arrivata a Draghi, timoniere della tecnocrazia ma al governo in nome di tutti, e poi alla destra centro di Giorgia Meloni.  Infine, la logica delle due destre prevale anche nella UE schierata come parabelligerante nella guerra alla Russia e al suo autocrate.

In tale trentennio, sostiene il libro, le culture di governo hanno nella sostanza seguito un progetto simile. Si è iniziato  dalla fine della centralità del lavoro salariato, dalla constatazione dell’inutilità di sprecare energie in un esercito organizzato del lavoro , dalla retrocessione del problema della povertà da questione sociale a questione individuale, dall’adottare l’ordoliberismo reazionario, fino a perseguire ai giorni nostri non il welfare bensì il warfare.

In sintesi, questo libro “Contro le due culture” è il tipico grido di dolore della sinistra profonda. Di fronte agli avvenimenti, esibisce i propri desideri  ancestrali circa il dover essere ed evita con cura di proporre risposte costruttive capaci di sciogliere i nodi esistenti al momento. Una linea siffatta ha l’effetto opposto al voluto e perpetua di continuo l’egemonia delle due destre.  

La sinistra profonda non ha finora accettato che il motore evolutivo della convivenza umana sono gli individui e la loro intima diversità, con il loro incessante applicare il proprio spirito critico, che esprime  giudizi, iniziative, desideri, valori, e valutandone i rispettivi risultati nell’incidere sugli strumenti del convivere. Per questo, la sinistra profonda bistratta i liberali, addirittura confondendoli con la destra conservatrice. Perché i liberali seguono il cammino politico opposto, mettendo prima di tutto la libertà del cittadino e la diversità di ognuno. E quindi parlano di individuo e non di persona (onde valorizzare lo spirito critico al posto del relazionarsi) e rifuggono concetti irrealistici tipo il bene comune  o le dannose parole d’ordine impositive.

Bistrattando i liberali, la sinistra profonda danneggia non poco le dinamiche del convivere. Per il motivo che, lavorando contro i liberali , agevola il dominio delle due culture quando si affrontano i nodi del vivere. Lo agevola indebolendo parecchio il loro avversario fisiologico, il liberalismo, il quale sarebbe per loro pericoloso poiché portatore di proposte puntuali e moderate, che, senza bisogno di vellicare amicizie e burocrazie, danno soluzioni flessibili aderenti al reale. Quando non vittima di martellanti campagne disinformative, talvolta venate di livore, Il metodo liberale, con il suo realismo, favorisce il cambiamento,  usando le libertà individuali del cittadino, per costruire la società aperta e per evitare di chiudersi in comunità.

Inoltre, i liberali non puntano mai a sostituire gli altri partiti e culture, bensì ad avere una  minima quantità di consenso per  far valere le idee di libertà e i comportamenti liberali negli indirizzi del dibattito. Perché, come insegna lo sperimentare quotidiano, il mondo evolve nutrendosi della diversità esercitata nella libertà e rifuggendo libri sacri ed ideologie. Ed è dannoso governare senza tenerne abbastanza conto.

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Narrare sempre i fatti come sono

Il primo trimestre della  seconda Presidenza Trump ha messo in bella evidenza l’altissima ritrosia dei mezzi di comunicazione – già sconvolti da un biennio di governo Meloni senza sintomi di logoramento – a fare giornalismo basandosi sui fatti e non sulle proprie consolidate relazioni privilegiate esistenti prima.

Solo per restare alle ultime ore, ne sono esempio alcuni episodi.   Tipo lo scrivere, in tema di dazi, “siamo persuasi che l’Europa, finalmente ricongiunta alla Gran Bretagna, faccia il proprio dovere nel prendere fin d’ora le giuste contromisure”. Evidentemente negando la realtà, che mostra come la Gran Bretagna sia uscita dall’UE diversi anni fa e per ora non programmi di rientrarci (però al giornalista, per irrobustire la critica a Trump, basta far credere che esistano tuttora le istituzioni di una volta).

Tipo presentare con enfasi che il primo ministro spagnolo Sanchez, incontrando il presidente cinese Xi Jinping a Pechino in materia di dazi,   gli ha detto che “la Spagna vede la Cina come un partner dell’Ue, e lavorerà sempre per relazioni tra l’Ue e la Cina in cui regni la reciprocità ” . Sorvolando  sul come Sanchez dimentichi che USA e Cina non solo la stessa cosa, in quanto gli USA sono nella categoria paesi liberi e la Cina in quella autarchici. Ragion per cui è impossibile per natura intessere la reciprocità con la con la Cina autarchica mentre si vive uno scontro commerciale con la democrazia USA (però al giornalista, per irrobustire la critica a Trump, basta far credere che sia meglio trattare con la Cina che con gli USA di Trump).

Tipo commentare più volte al giorno, sul telegiornale di punta di Mediaset e del paese, le azioni di Trump in termini allusivamente negativi sotto vari aspetti, con il trasparente intento di dare l’impressione che il Presidente rischi di perdere la fiducia delle Camere (cosa impossibile nella struttura USA votata lo scorso novembre) o che sia dietro l’angolo una grave sconfitta di Trump alle prossime elezioni di mezzo termine (nonostante manchino ancora diciotto mesi e quindi sia insensato fare pronostici credibili). 

Nel complesso appare insomma evidente che il mondo giornalistico travisa i fatti perché non accetta (non riuscendo a farsene una ragione) gli avvenimenti  in corso. E’ incredulo di fronte allo scontro aperto tra Usa ed UE o agli appelli internazionali inascoltati a Putin e a Netanyahu o al modo di governare di Trump. I giornalisti non  accettano questi fatti perché non corrispondono al loro modo di intendere la vita, anzi lo smantellano.  Solo che il compito dei giornalisti in una società liberaldemocratica,  è narrare gli avvenimenti, non condividerne ogni aspetto o addirittura  la natura.

La conseguenza di un simile travisamento delle funzioni professionali è molto grave. Produce una profonda disinformazione tra i cittadini, la quale comporta che essi non siano in grado di votare in base ad una effettiva conoscenza dei fatti. Ai cittadini, un giornalismo del genere vorrebbe far credere che è un‘offesa al bene comune usare i dazi contro la concorrenza. Ciò senza far riflettere che la concorrenza è un meccanismo delicatissimo, che, per venire attuata in modo coerente, richiede  distinzioni e  accorgimenti.

Ad esempio, nei rapporti tra paesi democratici  ed autocratici, ricorrere ai dazi è normale, perché praticano regole interne contrapposte (fondate sulla libertà dei cittadini i paesi democratici  e sulla sudditanza dei conviventi i paesi autocratici) che hanno riflessi dannosi sul libero commercio. Invece, nei rapporti tra paesi democratici, i dazi devono essere circoscritti ed eccezionali, ma al contempo l’ispirarsi alla concorrenza non esime dal valutare di continuo quanto di squilibrato sta verificandosi.

Stando così le cose,  stracciarsi le vesti perché Trump è contro tutti , significa contribuire a chiudere gli occhi. Chiuderli sui vizi oggettivi maturati in una UE incline a cullarsi nei vantaggi acquisiti e a dimenticare i problemi della produzione nonché cosa voglia dire essere una società aperta, fisiologicamente basata sui cittadini, piuttosto che su burocrazie elitarie tendenti all’imporre un presunto bene comune.

Auguriamoci che il Presidente del Consiglio, incontrando in questi giorni prima Trump e subito dopo il suo vice Vance,  sia capace di sfuggire ai pericoli del conformismo giornalistico anticamera della sterilità e di portare l’Italia sulla strada del realismo fattivo che produce libertà e benessere.I

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Svolta quantistica e metodo liberale

1.Urge una consapevolezza – E’ ormai urgente che il mondo liberale acquisisca la piena consapevolezza del rilievo assoluto della meccanica quantistica in campo scientifico. Il motivo è che ha riflessi decisivi sul come organizzare la libera convivenza

2. All’epoca quantistica – Una decina di anni fa, dopo novanta anni di dibattito molto acceso tra gli scienziati, i risultati sperimentali hanno comprovato al di là di ogni dubbio che il fondamento della fisica è la meccanica quantistica e non la meccanica classica. Al riguardo, tra i due premi Nobel, aveva ragione Niels Bohr, non Albert Einstein. 

Dall’inizio del ‘900 ad oggi, i dati sperimentali hanno stabilito che nel mondo l’energia è fatta di quanti, cioè discontinua, che la meccanica quantistica della equazione di Schroedinger  è completa e, nel tempo   in avanzamento, mostra una realtà probabilistica nel profondo (non deterministica), nella quale è possibile indicare la probabilità dei singoli avvenimenti ma non  fare in alcun modo previsioni precise su quali saranno.  Ne consegue che, dopo ogni azione, è decisivo verificarne i risultati.

Si tratta di una svolta epocale (nel 2022 i tre del passo finale, Aspect,  Clauser e Zeilinger, hanno avuto il Nobel). Per millenni si è pensato che conoscere fosse individuare la realtà eterna del mondo disposta dalla divinità creatrice. Per di più siffatta impostazione, pareva trovare  conferma nelle continue osservazioni sul campo percepite  nella vita immediata. Perciò gli strumenti dei rapporti con il mondo avevano fin dal nascere un obiettivo statico come esito finale. Così  per decine di secoli si è ritenuto concettualmente corretto il sistema di  rappresentare le cose del mondo mediante  matematica e geometria nonostante non contengano   un parametro “tempo” che replichi in pieno le caratteristiche  effettive del tempo fisico.

La meccanica classica ha finito col mostrare limiti per più versi. Soprattutto  a livello delle relazioni atomiche, al punto che non riusciva a spiegare sperimentalmente del tutto  la luce e  l’elettrone . Infine si è arrivati alla meccanica quantistica, la sola funzionante a livello microscopico e  soprattutto molto  innovativa. La sua equazione ha sempre due soluzioni alternative. Fatto che riflette il dualismo onda particella della materia – intesa proprio a livello di singolo fotone, il quanto di luce – dualismo  risolubile solo con la misurazione non contestuale di posizione e velocità. Insomma, la più piccola componente  fisica non è statica nella sua essenza e viene fissata dal sottoporla ad una misura dall’esterno (in pratica equivalente alla valutazione pubblica del comportamento della particella). Perciò, con questa  struttura, l’equazione esclude il determinismo (cioè la vita prestabilita integralmente con un obiettivo statico) e coglie  la probabilità  di ciò che sta avvenendo. Una struttura siffatta implica l’irreversibilità del tempo.

I risultati sono stati eccezionali. Con la meccanica quantistica si è divenuti capaci di spiegare svariati e importanti fenomeni prima inspiegabili  nell’ambito della fisica classica. Tuttavia siamo agli albori del conoscere l’universo (oggi intorno al 5%). Al CERN di Ginevra, un gruppo di 24 paesi  opera una ricerca incessante per allargare ulteriormente la conoscenza dell’universo. Al momento si è giunti a spiegare due punti. Che l’Universo è pervaso di energia in varie forme , le quali di frequente hanno transazioni reciproche pur  conservando uguale valore globale. Secondo, che la forma  particella non è una struttura stabile ed indistruttibile, bensì è il concentrarsi istantaneo, e talvolta effimero, di un altro aspetto di energia, l’onda (quindi non si tratta di un vero e proprio dualismo onda particella, ma piuttosto  di caratteristiche fisiche differenti e  contestuali). Allora l’indeterminatezza  del non poter misurare  insieme posizione e  velocità, esprime il riferirsi non al medesimo oggetto stabile, ma a due caratteri diversi corrispondenti a due diverse manifestazioni del modo d’essere dell’onda. Per di più – aspetto di rilievo perfino maggiore –  la ricerca ha reso possibile mediante specifiche particelle, le intersecate (“entangled”, una realtà ancora zeppa di aspetti misteriosi) un sistema di calcolo assai superiore. Superiore  perché la memoria del calcolo quantistico non è più basata sullo scegliere  tra due alternative ad ogni passaggio, il bit ordinario (che ha due valori possibili, 1 oppure 0, alternativi tra loro) bensì sul bit quantistico, il qbit (che ha ancora due valori , 1 oppure 0,  ma allo stesso tempo, perché i suoi due stati di valore sono sovrapposti in contestuali processi paralleli). Di conseguenza, nel calcolo quantistico il qbit   rende disponibili molte più combinazioni, può esaminare nel medesimo istante un  numero molto maggiore di casi  e così diviene capace di risolvere in tempi umani problemi di calcolo complicatissimi non risolvibili dai computer tradizionali negli stessi tempi. La velocità di calcolo  cresce in modo esponenziale man mano si aumenta il numero dei qbit usati.

E’ indispensabile aggiungere subito che disporre di particelle intersecate non è affatto facile (essenzialmente si deve operare sui fotoni, e nei quattro decenni recenti i maggiori laboratori del mondo ne hanno intersecati poco oltre la ventina). In. ogni caso, negli ultimissimi anni vi è stato un fortissimo sviluppo dei computer quantistici. Che oggi hanno come maggior problema la difficoltà di mantenere  la sovrapposizione degli stati insidiata da fattori esterni come le variazioni termiche o le fluttuazioni elettromagnetiche.

3. Le indicazioni politico istituzionali ricavabili dalla quantistica. Allo stato degli atti, le due fisiche, la classica e la quantistica, sono accomunate dallo sforzo di descrivere lo stesso universo sottostante. Passando ulteriore tempo,  in via sperimentale ci saranno nuove conoscenze ancora  più ampie. Ma già le novità odierne debbono indurre una vasta riflessione sul come i meccanismi della quantistica a livello microscopico forniscano indicazioni analogiche riguardo le relazioni tra gli umani  alla dimensione ordinaria. Del resto, anche nel passato – durante il lungo subentrare della fisica classica ai libri sacri religiosi e alle tradizioni imposte di volta in volta dai potenti di turno –  le osservazioni sperimentate sono state essenziali per costruire nuovi rapporti e regole da mettere alla prova. E, ogni volta, sono state indicazioni di stampo liberale. Ora ne rilevo otto.

3.a Prima indicazione – Fondare la conoscenza sui fatti concreti, abbandonando l’annosa pratica di usare quale bussola politica le teorie dei libri sacri delle religioni  e dei miti oppure le concezioni ideologiche. Teorie, miti ed ideologie  tracciano prospettive estranee alla realtà, che illudono e portano a schiavitù più o meno esplicite. Sono i fatti ad accomunare i conviventi e ad essere nel profondo il medesimo metro per chiunque.

La primaria importanza di conoscere i fatti da anche rilievo al ruolo essenziale dei mezzi di comunicazione e dei loro operatori. Tale ruolo che purtroppo negli ultimi anni non è svolto in maniera adeguata a causa del propendere al fare previsioni eccitate e dell’inseguire personaggi noti (a livello internazionale pure terroristi) , sempre preferiti al diffondere notizie sugli avvenimenti (inadeguatezza con risvolti drammatici in campo scientifico, ove la mancanza di informazione diffusa tra i normali fruitori, non consente un loro giudizio fondato quando in materia vanno fatte delle scelte di investimenti tramite il voto).

Inoltre  non rientra nel rispetto dei fatti il considerare la realtà un qualcosa di continuo. Non è cosa vera. Deriva piuttosto dalla fisiologia degli organi umani, i quali, di norma non funzionando a livello molto piccolo, tendono a considerare compatto qualsiasi sistema.
Una riprova della discontinuità del reale macroscopico, almeno nella parte energia – cosa che, come detto , è una componente essenziale della quantistica – , si ha nel fatto che l’energia della persona umana e dei viventi in genere ha durata inesorabilmente limitata nel far funzionare i meccanismi corporei, non può evitare di esaurirsi con la morte dei singoli soggetti e si rinnova solo attraverso una nuova vita

3.b Seconda indicazione –Accettare senza titubanze che la realtà è dominata dalla probabilità e non ricorre al determinismo automatico.  Ciò vuol dire che, per governare il convivere, va adottato  il criterio della libertà tra i cittadini , che invariabilmente sono ciascuno  diverso dall’altro. Questo è l’unico criterio che consente il loro autonomo esprimersi e il prendere iniziative. Ed inoltre è il solo criterio adatto a governare (appunto perché non deterministico, come appunto è il mondo) e a garantire che si manifestino le scelte individuali dei cittadini.

Dal criterio della libertà deriva l’opporsi al conformismo  nei confronti delle tesi diffuse dai gestori del potere (fatalmente funzionali solo ai loro interessi) e il non confondere mai la libertà individuale con idee di altra base,  tipo il riferirsi a masse indistinte di cittadini (che cancellano gli apporti individuali).  E deriva anche che nessuna struttura delle istituzioni avente la funzione di giudicare sul rispetto delle norme di esercizio della libertà dei cittadini (mai deterministici), può trasformare tale funzione attribuendosi il ruolo di decidere le norme rispetto cui giudicare.

3.c Terza indicazione – Sorge dal fatto che ogni onda esiste solo in quanto insieme di soggetti diversi uno dall’altro, i quali al contempo, manifestano andamenti simili mantenendo la propria diversità.  Nella convivenza umana,  questa terza indicazione conferma la seconda e porta alla scelta di abbandonare ogni progetto politico fondato su masse indistinte piuttosto che sui cittadini individui.  Fa pure comprendere come l’esistenza di andamenti simili  in un insieme di  soggetti diversi, non intacchi il principio che la propulsione all’agire risiede nelle scelte dei singoli soggetti diversi. Scelte, ricordiamo, probabilistiche non deterministiche.  E pertanto non dovute ad una completa uguaglianza dei soggetti  autori, che non esiste, bensì al dato che i soggetti autori si esprimono disponendo ognuno di un uguale diritto legale nelle relazioni del convivere e per il resto manifestando scelte diverse in un ampio arco di possibilità.

Non inseguire il mito uguaglianza quando si è fuori dall’ambito “diritti uguali per tutti”, poi si accompagna per forza all’abbandonare la pretesa di voler educare  il popolo imponendogli qualcosa piuttosto che ascoltarlo. E si accompagna pure al praticare sempre la verifica dei risultati delle azioni compiute, nella certezza che l’agire, anche se non impositivo, comunque apporta un cambiamento complessivo e perciò è indispensabile verificare quale sia effettivamente tale cambiamento e quali riflessi abbia sulla libertà dei conviventi nei vari suoi aspetti e condizioni. Proprio perché i fatti reali prevalgono sui fini perseguiti e sulle intenzioni.

3.d Quarta indicazione – Predisporre un progetto non è sufficiente a realizzarlo. Perciò serve la consapevolezza che ogni progetto si realizza  nel concreto a passo a passo, e che non esiste progetto senza la verifica dei suoi risultati. Per la libertà progettuale, ciò implica che ogni  esecutore materiale abbia un  ruolo specifico, resti autonomo pur all’interno di una rete di relazioni e partecipi  al convivere esprimendo sé stesso in modo propositivo, senza limitarsi al dissenso. Perché il dissenso è un aspetto irrinunciabile della libertà ma non è un valore propositivo a prescindere dai contenuti che ha. Le proposte del dissenso vanno confrontate con le altre e non debbono godere di mezzi preferenziali.

3.e Quinta indicazione – Non smettere, al passar del tempo, di voler conoscere ciò che ci circonda, mettendo a fuoco le risorse ed i mezzi di sussistenza. Il modo per farlo è praticare la scienza sperimentale e utilizzare i suoi ritrovati tecnologici, senza cedere alla propaganda contro di loro dei clericali e dei conservatori (basata sulla paura del nuovo e sul prorogare per forza la tradizione) e senza indulgere nel sognare un mondo irreale marchiato dal perfettismo.

Di fatti, l’aver incluso il probabilismo comporta  che il cambiare è ineluttabile e quindi impone l’adottare quale fattore chiave ineludibile il  tempo che scorre (oltretutto visto che l’intricazione di alcune particelle, negando la stretta connessione spazio tempo supposta da Einstein, ha reso non sempre operativo il concetto di distanza nello spazio). E lo scorrere del tempo richiede di continuo nuove energie e risorse per alimentare i meccanismi vitali delle specie viventi.

3.f Sesta indicazione – Accettare che ogni umano lascia una traccia nel mondo solo con i suoi comportamenti e il suo manifestarsi pubblico (che equivale alla necessità di misurazione per conoscere quale sia lo spin di una particella). Ciò esclude che si possa fare a meno di un’istituzione dedita a fare le regole del convivere tra cittadini diversi. Vale a dire, va eliminata la ricorrente suggestione, in particolare dei libertari e  ingrossatasi nei secoli , che vorrebbe abbandonare lo stato istituzione.

3.g Settima indicazione – Comprendere il senso dell’espandersi mondiale del connettersi elettronico, colmando distanze enormi, collegando sistemi politici opposti e ponendosi al di là delle condizioni socio economiche dei vari territori. E’ un espandersi che resta distinto dall’intricazione del quantismo. E che peraltro  – con l’avvio, nell’ultimo mezzo secolo. del connettersi di terminali e computer via reti diverse e poi nell’ultimo trentennio via World Wide Web, cellulari e GPS – si è differenziato sempre più dal modo di telecomunicare preesistente. L’assai diffusa interconnessione è capace di offrire servizi informativi e lavoro intellettuale a distanza, in tempi pressoché istantanei. E ciò implica la necessità di aumentare nel settore della comunicazione il ruolo e il peso dei cittadini individui, con le conseguenti problematiche dell’integrare le  regole del convivere, respingendo ogni tentazione di usarle per nuove imposizioni alla libera innovazione conoscitiva della scienza e della tecnica.  Analoga cura deve essere di continuo assicurata allo studio e all’uso dell’ Intelligenza Artificiale.

3.h Ottava indicazione – Le scelte compiute dalla maggioranza tramite il voto dei cittadini, non fanno prevalere stabilmente chi le ha proposte, come gruppo o coalizione. Vale a dire, il sistema della maggioranza consegue gli uguali diritti individuali per far sì che ciascuno contribuisca al decidere, però non porta ad un decisore fisso, bensì a garantire che si mantenga il confronto elettorale tra differenti progetti, sottoposti alla scelta della maggioranza e poi messi alla prova.

La maggioranza pertanto si forma sulle idee, sui progetti, sui comportamenti e sui loro risultati. La stabilità sta in questo meccanismo, non nella mancanza di confronto e di scelte, che è la strada autoritaria. In un’ottica più ampia, di livello internazionale, la  libertà del convivere si basa sull’estendere la pratica della libertà di scelta e non sull’uso della parola libertà per realizzare la libertà  imperiale, che per i cittadini non è una effettiva libertà anche quando si ammanta del combattere le autocrazie.

 4 . La presenza politica del metodo liberale – Il mondo liberale deve maturare con urgenza la consapevolezza che le indicazioni nascenti dal prevalere della meccanica quantistica in campo scientifico, sono decisive in campo politico istituzionale. Una consapevolezza che, oltretutto, corrisponde al mero realismo sperimentale.

4.a Imperniarsi sulla libertà dei cittadini- Perché in Italia si avvii il cambiamento e vengano abbandonati i vecchi riti del confronto politico utili solo a chi, per esercitare il suo potere, vuole evitare il cambiamento, non può mancare la formazione politica che, quanto ad offerta politica, ha le seguenti caratteristiche ineludibili. Si impernia sulle libertà individuali del cittadino per consentire a ciascuno di  esprimere il proprio diverso spirito critico, si manifesta con la laicità istituzionale, sceglie la convivenza aperta, evita di chiudersi in comunità,  include credenti, non credenti e diversamente credenti (perciò accoglie le organizzazioni spirituali e non ha difficoltà a tollerare l’esistenza di organizzazioni religiose temporali, purché si mantengano separate e non invadano lo spazio civile).

Emerge quindi che la formazione si , impernia in modo dichiarato e visibilmente coerente, con le indicazioni della quantistica (a parte l’attuale non capire quale significato abbia la genesi del misterioso entaglement), che mostrano un cambiamento incessante. Da rilevare altresì che il cambiare nel quotidiano riprende la logica funzionale del misurare della quantistica e consegue pure all’osservare interagendo.

Qualora persistesse l’assenza di una simile formazione, non ci sarà una politica desunta dalle indicazioni della quantistica. Di fatti, pur ammettendo che un partito non liberale applicasse parte di quelle indicazioni, per sua natura non potrebbe riprodurne in modo esaustivo lo spirito e la logica liberali. E senza il liberalismo non tanto evocato quanto applicato in modi coerenti, il dibattito resta chiuso nella morsa di qualche ideologia e dei seguaci strutturati delle impostazioni a carattere religioso, non di tipo spirituale ma temporale, e quindi inadatte per loro natura a governare i rapporti civili aperti.

Da ciò consegue che i passi in avanti per una società più aperta avrebbero dei ritmi assai più lenti e confusi. Ritmi simili sono stati una costante nei secoli, ma al giorno d’oggi non si conciliano con l’evolversi dinamico del convivere. La mancanza della formazione delle libertà lascia campo libero, perfino in stati ove esiste lo stabile suffragio,  a vari regressi: dell’esprimersi dei singoli cittadini, quanto al libero circolare in una società sempre più chiusa, e perfino quanto alle condizioni democratiche cardine.

Tra l’altro si deve tener presente che, proprio perché il metodo liberale diverge da quello dei partiti dominanti al momento (attenti alle esigenze del potere e disattenti alle scelte dei cittadini), la formazione delle libertà non punta a competere per sostituirli, bensì ad avere una quantità di consenso minima per  far valere le idee di libertà e i comportamenti da loro richiesti. Dunque il suo obiettivo non è divenire dominante, è avere un peso nel dibattito politico, così da inserire – mediante programmi mirati attualizzati di continuo – la logica liberale negli indirizzi prodotti dal dibattito. Un tale inserimento influenza le scelte in termini di libertà e accelera l’adozione seppur parziale di impostazioni liberali, più vicine ai dati sperimentali e alle indicazioni dei cittadini. Con ciò accresce di per sé l’evolversi del convivere.

4.b –  Conseguenze del metodo liberale- In generale,  la presenza del metodo liberale introduce un altro modo di vedere le cose. Oltre a spingere per l’adottare le indicazioni della quantistica, spinge ad abbandonare, o almeno a ridurre parecchio, una serie di concetti e di atteggiamenti assai negativi nel governare la convivenza libera.  Iniziando dal frenare il ricorso a perseguire a livello di governo concetti ora frequenti. Quali unità, speranza, sogno, soddisfare emozioni, dire mai più, tutti  funzionali a distrarre dal rispettare la realtà, pur senza volerlo. L’unità corrode l’attenzione al ruolo del singolo, la speranza toglie peso al materializzare, il sogno prescinde dall’agire davvero, il soddisfare emozioni rimuove il valutare riflessivo le situazioni, dire mai più da l’Illusione    irrealistica che  non ci saranno altre disgrazie. Simili concetti non sono pericolosi solo quando si limitano alla propensione privata.

Per tali motivi, il liberalismo è sempre molto realistico. Non predica la società perfetta che non può esistere tra gli umani. Promuove il   conflitto quotidiano tra idee e cittadini diversi secondo le regole vigenti al momento (perciò, nei rapporti del convivere,  ritiene un obbrobrio  illiberale il continuo ricorrere sui social all’esaltare la propria verità soffocando l’esercizio dello spirito critico). Non è mai frettoloso nell’attuare le strategie scelte per apportare i mutamenti alle strutture del convivere, e si impegna sempre onde far maturare le opportune condizioni civili al riguardo ed avere il tempo di sperimentare  i risultati conseguenti quelle strategie (altrimenti  i criteri di sostenibilità ambientale e sociale, pur quando funzionanti, diverrebbero una pretesa impositiva). E a livello internazionale è fautore della libertà di scambio e ripudia quella imperiale. Restando ben consapevole che, diversamente dagli indirizzi mondialisti della globalizzazione commerciale, occorre distinguere tra il caso in cui i soggetti coinvolti sono solo nazioni democratiche (nel quale si applica la concorrenza costantemente trattata sul mercato) e quello in cui i soggetti includono nazioni più o meno autarchiche (nel quale non esistono  condizioni adeguate per la concorrenza su scala universale). Tra nazioni democratiche i dazi sono circoscritti a qualche  limitata eccezione, sono invece usuali nelle relazioni tra nazioni democratiche e autarchiche .

Tutte queste ragioni fanno intendere che in Italia i nemici politici dei liberali sono coloro che avversano una corretta apertura dei rapporti della convivenza. E che mantengono il confronto politico su affabulazioni distanti dalla realtà e soprattutto lontane dall’impegnarsi davvero a favore delle libertà dei cittadini, preferendo la politica di potere in ambito di governo o di gestione di compiti istituzionali. Il nodo sta qui.

I liberali antepongono ad ogni cosa la libertà dei singoli cittadini,  gli altri  gruppi politici nella sostanza ne diffidano, più o meno, pur senza ammetterlo.   Questi gruppi hanno per mantra il dibattere richiamandosi di frequente al termine pace. Ma nel migliore dei casi, la loro pace è solo un auspicio fondato sul disconoscere le diversità umane e i conflitti fisiologici nel convivere, locale e internazionale. Sovente serve solo a trasformare i pacifisti in pacifinti.

Solamente una società in cui il criterio della libertà dei singoli cittadini risulti in testa nei progetti di chi governa, può annoverare tra i suoi diritti del convivere quello di operare per la pace. Pertanto la consapevolezza della necessità di uscire dalla barbarie della guerra (pericolosa in specie oggi), dipende dalla capacità di mettere a fuoco  regole istituzionali adatte a garantire quella libertà individuale tra i conviventi, che è la precondizione del diritto alla pace, coerente e necessaria. La pace certo non dipende dal mondialismo, che equipara alle autocrazie gli stati promotori delle libertà. Così come è una precondizione, riconoscere nella diversità dei cittadini un fattore di vita prioritario per la convivenza in pace.  

4.c L’urgenza italiana- In Italia, la presenza politica del metodo liberale è urgente.

Poiché i conservatori e le destre – che  in questo non breve periodo hanno la netta maggioranza degli elettori (sono favoriti, come in molti paesi, dal precedente insistito protrarsi di governi non interessati ai cittadini) – non puntano a fare evolvere l’apertura civile nei termini fin qui descritti imperniati sul cittadino individuo. Privilegiano il richiamarsi alle identità ed ai valori tradizionali, attualizzati e raggruppati da un capo carismatico, che considera i cittadini in superficie  autonomi ma in sostanza sudditi.

Poiché la sinistra non sa staccarsi dai ricordi dei passati successi e, ancora pervasa da un’ideologia di massa nonostante essa sia stata già bocciata al vaglio della storia,  non è in grado di riflettere  con efficacia propositiva sulle sfide del mondo moderno, sullo svincolarsi dal potere,  sul superare il collettivismo e sul non ridurre il rapporto con i cittadini al vezzeggiare le rivendicazioni d’ogni tipo. In più la sinistra pensa al futuro come se fosse uno slogan senza corpo vivente.

E poiché una parte consistente del mondo cattolico, tanto diffuso in Italia, è refrattario al metodo individuale, che vuol sottomettere all’uguaglianza. Cioè segue una via felpata per far primeggiare l’autorità terrena, non spirituale, di quelli che dicono di parlare in nome di un Dio essendone magari perfino convinti, ma di per sé poco adatta a governare le istituzioni nel segno della libertà civile e del cambiamento.

L’urgenza dell’Italia  di rendere concrete le indicazioni date dai progressi della quantistica, è un ulteriore impulso per aiutare la ripresa politica del metodo liberale. Quel metodo che con lo spirito dei ritmi evolutivi quantistici ha molti e  decisivi aspetti similari. Essenziale è quello del cambiamento. L’universo nel suo profondo è in permanenza agitato dalle onde quantiche, che restano anche quando si sono trasformate in particelle di materia in apparenza in stasi istantanea   a livello macroscopico (quindi nell’universo è incessante il cambiamento).  Il metodo liberale  si affida alle diversità degli individui  per mantener vivo un confronto senza sosta contro il conformismo che vuole l’impossibile stasi del tempo e delle istituzioni   (quindi il metodo liberale richiede di restare  impegnati nell’affrontare i cambiamenti e spinge di continuo a conoscere di più i meccanismi del mondo intorno).

Per tutti i motivi illustrati fin qui, nelle scelte politiche del governo italiano va presto ricuperata la presenza del metodo liberale. Ciò non può accadere senza che prima esista di nuovo una Formazione delle Libertà in grado far convergere politicamente  i cittadini liberali.

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Dazi e libero mercato (a Danilo Taino)

Da Danilo Taino a Raffaello Morelli, lunedì 14 aprile ore 13,30

Caro Morelli, innanzitutto mi scuso per il gran ritardo con cui le rispondo.

Come può forse immaginare, sono completamente d’accordo con lei. Non basta non avere dazi, o dazi bassi, per essere una società liberale. Di liberalismo si parla molto, in effetti, ma se ne pratica poco. Come dice lei, anche quella dell’Europa non si può certo definire un’economia liberale. Il dibattito sul Manifesto di Ventotene non mi ha entusiasmato ma, devo dire, che la sua difesa senza se e senza mi ha confermato che l’idea di Europa diffusa in una parte non insignificante della politica italiana non è certo quella di un’entità aperta, rispettosa dei diritti di opinione, di proprietà eccetera. E’ forse ingenuo stupirsi.

Nel merito dei dazi, la mia domanda: dovrebbe anche l’Europa (indispensabile Regno Unito compreso) alzare un muro nei confronti della Cina? Tendere, in altre parole, a quel decoupling a cui Trump sembra puntare (senza escludere che alla fine con Pechino faccia il Grande Accordo del quale di tano in tanto di fa cenno)? Puntare a una sorte di Guerra Fredda non necessariamente a due teste ma a un pluri-lateralismo armato?

La spinta a costruire nel frattempo una Ue più aperta e liberale – riforme, deregulation, meno vincoli all’impresa, mercati dei capitali e dell’energia, insomma meno barriere interne – mi pare purtroppo piuttosto in basso nella lista delle priorità di gran parte dei governi. Non vedo però alternative se non risposte di corto respiro. Spero di sbagliarmi ma un polo europeo aperto lo auspico,  sinceramente però fatico a vederlo in arrivo.  

Grazie ancora dei suoi messaggi, utilissimi per concentrare il pensiero in un clima in cui le notizie quotidiane sovrastano spesso la comprensione.

Un caro saluto. dt

da Raffaello Morelli a Danilo Taino, , mercoledì 9 aprile, ore 18,40

Caro Taino,

Il Suo odierno articolo illustra con l’abituale rispetto dei dati concreti, il senso dell’attuale scontro USA Cina sui dazi introdotti dall’Amministrazione Trump. Peraltro mi permetto di osservare come il Suo affermare che l’America  “per rispondere alla potenza emergente che la sfida, la copia; la politica dei dazi di Trump abbandona il libero mercato” , richiederebbe un approfondimento. 

Senza dubbio è esatto che i dazi fanno parte di un armamentario non utilizzabile in una società liberale. Tuttavia, l’esame dei fatti reali non può prescindere dal constatare l’esistenza di molti dubbi sul definire la situazione internazionale anti dazi una società liberale.  

Nella sostanza l’Amministrazione Trump intende reagire, tramite i dazi, ai pesanti disavanzi commerciali che l’affliggono nei confronti della Cina. E tali disavanzi derivano proprio dalla superiore capacità della società USA di assorbire prodotti. 

Allora, sorge una domanda. Questa superiore capacità deriva dall’essere l’America una società aperta e la Cina no?  Se la risposta è sì (e ritengo che tra noi non vi siano dubbi), la questione diviene come sia meglio gestire il rapporto commerciale tra due soggetti governati con sistemi politico culturali contrapposti in tema di libertà dei cittadini. 

E’ questo il nodo che in effetti affronta la questione dazi posta dall’Amministrazione Trump. In pratica suggerisce che il commercio reciprocamente libero tra due soggetti implica che i due soggetti vivano e siano governati in un’analoga società  aperta. Ora, gli attuali rapporti internazionali non rispettano tale presupposto, nonostante le frettolose finzioni mondialiste (giustamente Lei scrive che la Cina da un decennio punta a  “mettere fine al modello liberale occidentale e sostituirlo con il proprio”). Perciò, l’Amministrazione Trump da la risposta dei dazi, semplicistica ma con una genesi realistica. Perché i dazi verso la Cina non sono interni a società aperte, ma hanno il fine di contrastare gli abusi di un’autarchia che sfrutta i meccanismi della società aperta. E il problema dei rapporti tra società aperte ed autarchie     non è riducibile alle semplificazioni irrealistiche della globalizzazione, ispirata al mondialismo più che al libero mercato.

Secondo me, analoghe considerazioni valgono per l’UE. Aggiungendo peraltro una precisazione. L’UE oggi esistente (del modello post Mastricht, diverso da quello dei Trattati di Roma) è senza dubbio una società democratica e non autarchica, ma non ha sviluppato un ampio assemblamento politico tra i suoi cittadini, poiché ai suoi vertici indulge a inclinazioni improntate alle connotazioni stataliste dell’euroburocrazia. Perciò il dilemma che si prospetta all’UE (con le Sue parole, adeguarsi o cercare di essere un polo di libero mercato) presenta due filoni. All’esterno contribuire a fare superare la scelta dei dazi e insieme a riconoscere gli squilibri commerciali da correggere applicando un vero libero mercato nei rapporti tra paesi liberi. All’interno avere il coraggio di riprendere il cammino dell’integrazione interrotto a Maastricht per liberarsi dei residui statalisti dei vecchi stati di potere.

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L’Europa è nata a Roma non a Ventotene

L’articolo su Pensa Libero di Enrico Rossi riguardo Ventotene, adopera un tono ragionevole ma sostiene l’interpretazione della sinistra in replica alle accuse della Meloni. L’Europa sarebbe nata a Ventotene, e così Rossi scrive che occorre “una risposta argomentata affinché non possa insinuarsi il dubbio che nel Manifesto per l’Europa ci siano parti da cancellare o tenere nascoste, superate o peggio influenzate da ideologie dittatoriali”.

Il far discendere l’Europa dal Manifesto di Ventotene è  un falso storico, nel senso che il Manifesto auspicò l’Europa, non la costituì. Il Manifesto era in chiave socialista e prevedeva un movimento per un’Europa federale che attuasse l’idea secondo cui  “la rivoluzione europea dovrà essere socialistaIl popolo ha sì alcuni bisogni fondamentali, ma non sa cosa volere e cosa fare… La metodologia politica democratica sarà un peso morto nella crisi rivoluzionaria…Il nuovo movimento dà in tal modo la prima disciplina sociale alle nuove masse. Attraverso questa dittatura del partito rivoluzionario si forma il nuovo stato e attorno ad esso la nuova democrazia”.

Bastano queste poche righe  per rendersi conto che il Manifesto di Ventotene ha un’impostazione del tutto differente da quella dei Trattati di Roma nel ’57 costruiti in venti mesi dal liberale Gaetano Martino. I Trattati di Roma (cui il PCI si oppose con durezza e il PSI voleva vestire con abito neutrale)  si fondano esplicitamente sul procedere a passo a passo sulla strada della libertà dei cittadini europei. L’art. 2 del Trattato scriveva “La Comunità ha il compito di promuovere, mediante l’instaurazione di un mercato comune e di un’unione economica e monetaria, uno sviluppo armonioso, equilibrato e sostenibile delle attività economiche, un elevato livello di occupazione e di protezione sociale, la parità tra uomini e donne”. 

Il nodo della differenza politica sta qui. Per i liberali il governare deve rimanere sempre legato ai fatti e ai risultati delle scelte politiche. Per la sinistra ideologica, governare significa educare il popolo perché segua in modo conformistico  le istruzioni dei gruppi dirigenti.

Nel momento attuale, insistere nell’opporsi al Governo Meloni agitando le bandiere della sinistra ideologica bruciate dalla storia, equivale a fornire alla destra un aiuto quotidiano. E non si corregge la deriva UE, che dopo i successi dei suoi primi 35 anni,  si è trasformata in struttura burocratica statalista incline a soddisfare gli interessi dei propri gestori e  lontana dai cittadini europei.

Solo  con la riscoperta del metodo liberale del passo a passo nel maturare dei cittadini, si taglieranno le unghie alle pretese sovraniste,  che prosperano sull’autoreferenzialità di elites di potere che ritengono i cittadini incapaci di scegliere bene.

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Sentenza Diciotti, il nodo della questione

Intervenendo nel dibattito sul caso Diciotti, la prima presidente della Corte di Cassazione Margherita Cassano ha emanato una nota dal tono ultimativo che elude il tema discusso.

Dice la nota “Le decisioni della Corte di Cassazione possono essere oggetto di critica. Sono, invece, inaccettabili gli insulti che mettono in discussione la divisione dei poteri su cui si fonda lo Stato di diritto”. Peraltro il dibattito non verte sui supposti insulti bensì sulla sentenza in sé.

La Presidente del Consiglio la critica con durezza, argomentando che “si basa su un principio risarcitorio assai opinabile, la presunzione del danno, in contrasto con la giurisprudenza consolidata e con le conclusioni del Procuratore”. Tuttavia, non sono queste le questioni più delicate aperte dalla sentenza. Le questioni più delicate stanno nel ragionamento adottato dalla Cassazione per motivarla.

Afferma che l’obbligo di soccorso in mare “corrisponde a un’antica regola di carattere consuetudinario, e costituisce un preciso dovere per tutti i soggetti, pubblici o privati, che abbiano notizia di una nave o persona in pericolo. Esso deve considerarsi prevalente su tutte le norme e gli accordi bilaterali finalizzati al contrasto dell’immigrazione irregolare”.

Un simile ragionamento non ha fondamenti né di fatto né costituzionali. Di fatto perché il caso della Di Ciotti – la nave della Marina Militare, cui dopo un soccorso di circa 200 migranti, ormeggiata del Porto di Catania, venne ordinato per sei giorni di non sbarcarli –  non rientra nel dato materiale del soccorso (già avvenuto) bensì nelle successive modalità di gestirlo quando la nave si trovava in territorio italiano e soggetta alle decisioni delle autorità.

Non ha neppure fondamenti costituzionali, dal momento che non esiste alcuna norma che sancisca che il soccorso in mare costituisca per “i soggetti, pubblici o privati, qualcosa da considerarsi prevalente su tutte le norme e gli accordi bilaterali finalizzati al contrasto dell’immigrazione  irregolare”. Pertnato, una siffatta decisione  spetta al governo e più in generale al parlamento. Invece, la Cassazione, accreditandosi il ruolo di prenderla, compie un atto legislativo, e perciò esce dai compiti ad essa  assegnati. Il nodo sta proprio qui.

Il Presidente Cassano , affermando la “messa in discussione della divisione dei poteri “, in apparenza fa propria la tesi sui poteri di Montesquieu, in pratica non tiene conto di quanto disposto dalla Costituzione e neppure di quanto scritto dallo stesso Montesquieu. La Costituzione dice che ”la magistratura costituisce un ordine autonomo e indipendente da ogni altro potere”, non che la magistratura è un potere. Il senso profondo della differenza lo aveva già spiegato Montesqieu: “non vi è libertà quando il potere giudiziario non è separato dal potere legislativo e da quello esecutivo. Se fosse unito al potere legislativo, il potere sulla vita e sulla libertà dei cittadini sarebbe arbitrario,  poiché il giudice sarebbe il legislatore. Se fosse unito al potere esecutivo, il giudice potrebbe avere la forza di un oppressore”

Insomma, la Presidente Cassano non affronta il nodo cruciale della polemica. E’ elusiva in ossequio al sogno della casta cui appartiene. L’aspirazione ad essere un potere che in termini costituzionali (e liberali) non può esistere.

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Una specifica aggiuntiva (ad Andrea Bitetto)

Caro Andrea,

apprezzo molto il tuo articolo in tema di spirito della Common Law apparso sul recente numero di Non Mollare. Dotto e ficcante, illustra con efficacia come si è arrivati a definire un cardine irrinunciabile dell’ordinamento della convivenza libera: “il Re non deve sottostare a nessun uomo, ma solo a Dio ed alla Legge”. Era vero nel 1612 e lo è poco meno di 413 anni dopo.

Tuttavia, per chi è liberale, è essenziale specificare un’aggiunta: non sul Dio spiritualmente inteso, bensì sulla Legge, la quale, passati oltre quattro secoli, resta la regola concettuale per convivere e conoscere, ma ha assunto una forma terminologica del tutto differente. Ciò – sempre per i liberali – ha un preciso significato. Il concetto di regola permane, però rispettarlo si riferisce non al testo della Legge del 1612, o a quelli intermedi, bensì a quello vigente oggi.  Il che  significa introdurre un aspetto da cui non si può prescindere. Le scelte che al passar del tempo fanno i cittadini con il loro voto.

Una simile specifica aggiuntiva non è un dettaglio, ancor meno scontato. Serve a rendere impossibile il cristallizzarsi di una concezione sacrale della Legge e del ruolo di coloro che hanno il compito professionale di giudicarne  l’applicazione nei rapporti tra i cittadini. Basta questo per farne una condizione chiave al fine di raggiungere una convivenza civile che si mantiene aperta proprio aggiornando le regole di continuo.

Perciò è una precisazione da cui i liberali non possono prescindere. Nella cultura liberale,  essere competenti significa sì valorizzare il riflettere sul mondo e sulle relazioni attorno a noi. Però respingendo sempre la tentazione di affidare il governo del vivere insieme, a presunte élites di esperti, pensando che ne sappiano più degli altri cittadini. Pur non essendo sicuro che il voto dei cittadini scelga ogni volta la soluzione più adatta, l’esperienza storica mostra che, reiterando le elezioni, finisce sempre per prevalere la soluzione che porta alla convivenza aperta tra gli individui conviventi. Prospettiva che le elites non sono in grado di assicurare, poiché sono propense a trascurare le indicazioni dei loro cittadini.

Tu ampli la frase che riportato all’inizio, scrivendo che lo stesso “vale per i Presidenti degli Stati Uniti”. Senza dubbio. Ora Trump non è un liberale, ma non sta tradendo il voto ricevuto. Allora perché le reazioni ossessive contro Trump dopo l’incontro con Zelensky, considerata oltretutto l’oggettiva aggressività di Zelensky durante  la prima mezz’ora?

Pare che a Trump venga rimproverato di voler cambiare le scelte preesistenti, appunto quello che gli hanno chiesto gli elettori (Trump ha ottenuto due milioni e trecentomila voti assoluti in più della Harris). Vale a dire la maggioranza degli americani gli ha chiesto il cambio di linea politica e Trump lo attua.  

La specifica aggiuntiva fatta sopra risulta perciò decisiva per la corretta applicazione ai giorni nostri dell’episodio 1612 da Te citato.

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IL. CUORE DELL’OCCIDENTE  SONO  L’ESPRIMERE LE LIBERTA’  INDIVIDUALI  NON  LE   ELITES

Ernesto Galli della Loggia è un editorialista di vaglio,  persona colta , ferrato cultore degli studi storici, partito dalla sinistra studentesca, approdato, dai tardi  anni ’80,  su posizioni  attente ai ritmi del convivere aperto. Da quell’epoca, tuttavia, le sue riflessioni , spesso acute, non sono mai riuscite, ad avvicinarsi al metodo liberale quando tratta di prospettive future.  Il suo articolo sul Corriere di sabato 1 marzo  ne è una riprova lampante.

Galli della Loggia è molto preoccupato per la politica USA nell’epoca Trump e lo motiva tirando in ballo il liberalismo. Scrive che Trump usa “parole di minacce, di prepotenza, di disprezzo” con il programma di “una democrazia senza liberalismo e dunque senza élite”. Parole finali che sono un grave errore in termini liberali, dato che il liberalismo punta a far maturare ogni cittadino e non si affida mai a nessuna élite. Errore confermato ed aggravato dalla spiegazione che vien dopo.

 Galli della Loggia afferma che “tra il suffragio universale e i diritti inviolabili di libertà individuale  c’è stato un felice incontro storico, ma non c’è alcun nesso necessario”. Una affermazione simile è un infortunio concettuale nel campo del pensiero liberale. Perché il pensiero liberale si fonda sulla diversità ma non esclude il convivere di tutti, anzi lo considera un presupposto di libertà. Quindi la libertà individuale richiede necessariamente che tutti abbiano il diritto di votare, che  la diversità coinvolga tutti, che la massa viva solo a condizione di non volere imporsi come uguaglianza indistinta.

Vale a dire, il liberalismo sussiste quando l’uguaglianza riguarda solo i diritti nel convivere e non tocca gli individui tutti diversi. Nel complesso, il suffragio universale è una condizione necessaria ma non sufficiente della libertà individuale, e la libertà individuale vuole il suffragio universale senza  esaurire in esso il suo modo d’essere.

Non è vero che, come scrive Galli della Loggia, “i diritti individuali hanno un’origine  e conservano un carattere, in un certo senso aristocratico”. Almeno, non è ormai vero in un mondo moderno e liberale in termini più consapevoli. Che perciò rifugge da ogni genere di classe, anche quella elevata. O meglio, con maggior esattezza,  che rifugge da concezioni e da istituzioni incapaci di adeguarsi al tempo che passa. Perché aristocrazie od élites non costituiscono gruppi sociali adatti ad ogni campo e ad ogni tempo. Non sono loro che fanno contare il merito e lo applicano, sono invece le capacità degli individui che, con modalità differenti nei vari settori e nelle persone, astraggono nuove conoscenze osservando il mondo, sperimentano nuove ipotesi, fanno  circolare idee e cose, verificano i risultati delle iniziative innovative. Sotto il profilo liberale, aristocrazie od élites possono sussistere esclusivamente in settori  specifici e in periodi temporali circoscritti. Sono invariabilmente soggette al cambiamento con lo scorrere del tempo. Quello che si staglia sempre dominante è l’individuo responsabile attento al mondo concreto, esplorato con iniziative sempre nuove.

Il cuore dell’Occidente è la libertà del cittadino individuo, che trova la sua stabilità nella fisiologia del cambiare secondo le regole. Appartengono ad un passato che non torna, il richiamarsi ad aristocrazie od élites, il dare agli avversari politici l’etichetta di soggetti deplorevoli (come fece Hilary Clinton quando perse con Trump la gara della Casa Bianca), il pensare davvero che le élites e le loro presunte competenze, possano restare non sostituibili anche quando esercitano il governo mantenendosi ben lontane dall’effettivo contatto con i cittadini e dalle  indicazioni che essi danno.

Le destre e Trump sono cresciuti parecchio in Occidente non per una svolta in direzione autoritaria che avrebbe interrotto, come sostiene Galli della Loggia, il “contemperare in vari modi diritti ed elezioni, élite e volontà popolare”, quanto perché i cittadini hanno progressivamente respinto il malgoverno di democratici avvinti al potere autoreferenziale nel sogno di essere predestinati. 

Negli USA c’è stato il predominio dei gruppi fissati nel privilegiare le minoranze impositive negatrici della diversità, nella storia e nel tempo. Nella UE, c’è stato   un progressivo allontanarsi dal contatto con i cittadini e il regresso ad un vecchio tipo di istituzioni dirette da centri di potere, interni ed internazionali. Tale atteggiamento si è irrobustito nel l’ultimo quindicennio, rendendo l’UE disattenta ai. cittadini, propensa ad imporre più che ad ascoltare, crescentemente dipendente dagli aiuti USA e in sostanza succube della Nato.

Per questa via, l’UE ha dimenticato il suo nuovo progetto originario di valori istituzionali imperniati sul libero cittadino e un poco alla volta, non accorgendosene, ha tralasciato i comportamenti occidentali della libertà di scambio sostituendola con l’ossessione Nato di prevalere sulle volontà imperiali putiniane. Così l’UE non si è preoccupata di procedere in settori per lei essenziali, quali la difesa, il fisco, l’economia, ed ha finito per contribuire in Ucraina alle condizioni di una nuova guerra fredda verso l’autocrazia russa.

Tale stato di cose è sorto prima che Trump rientrasse alla Casa Bianca. Dunque la ricostruzione di Galli della Loggia manca di un dato essenziale. E pure il pericolo da lui segnalato – la propensione al dar peso solo al vincere le elezioni  – non può rimuovere l’assoluta necessità, in una democrazia liberale, di mantenere il risultato elettorale al primo posto .  

Le competenze delle élites di cui parla Galli della Loggia non devono per nessuna ragione prescindere dalle scelte dei cittadini con il voto. L’esperienza storica insegna che i cittadini possono sbagliare in alcuni momenti ma che, nel medio periodo, il ricorso al voto è l’unica effettiva garanzia che indica alla convivenza il cammino più efficace.  A differenza del ricorso alle élites e alle competenze, che in realtà, restando immobili, sono un sostanziale ostacolo al fisiologico evolversi del vivere tra diversi nel nome della libertà.

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Riflessioni su un mio articolo (ad Antonio Cokantuoni)

Da Antonio Colantuoni a Raffaello Morelli, giovedì 27 febbraio, oe 18,04

Caro Raffaello,

concordo sulla centralità e sulla discussione tra cittadini! Ciao! Antonio

da Raffaello Morelli ad Antonio Colantuoni, mercoledì 26 febbraio ore 15,35

Caro Antonio,

Perché i cittadini europei possano decidere di mandare avanti la costruzione europea, si deve affidare loro questa funzione. Come volevano i trattati di Roma e come non si va dopo il 1992. Imperniandosi sui cittadini e adottando il metodo del libero confronto tra di loro, vengono subito accantonate le pretese di raggiungere un assetto definitivo nel quale qualcuno o qualcosa prevale una volta per sempre. Negli ultimi trenta anno, in Occidente si è dimenticato il criterio della libertà di scelta e via via ci si è affidati sempre più alla libertà imperiale, la quale ha fatto ammalare l’occidente portandolo nella direzione del dissolversi. Le destre, nelle loro varie forme e il trumpismo, sono la reazione distorta a questo inclinazione pseudo elitaria che ha voluto governare allontanandosii dai cittadini all’insegna di un presunto bene comune. Solo riscoprendo la discussione tra cittadini diversi che si confrontano ul come sciogliere i nodi della convivenza che sorgono di continuo, è possibile ritrovare la strada della libertà di scambio e dimostrare la sua maggiore efficacia nel governare la convivenza. Cari  saluti. Raffaello 

da Antonio Colantuoni a Raffaello Morelli, martedì 24 febbraio, ore 12,02

Caro Raffaello, grazie per l’articolo, che mi hai inviato. Sono d’accordo con Te sul fatto che i cittadini EU dovrebbero scegliere di stare uniti in un grande stato Europeo. Resta il fatto che sono forti le tendenze a stare isolati e non uniti, dimostrando in modo palese che non siamo in grado di fare una politica seria europea. Speriamo bene! Su Trump che fa l’imperatore non mi faccio illusioni. Sono forti gli impulsi autoritari di una persona che ha fatto di tutto per affermare le sua visione imperiale: ci considera come gli Afgani: è lui che fa la pace e costringe gli altri a seguire i suoi intendimenti. Biden ha accettato che la pace in Afganistan fosse decisa da Trump e non dagli afgani eletti, che sono scappati con i soldi, dopo che gli americani di Biden si erano ritirati. La nostra libertà dipende solo da noi stessi europei.  Ciao! Antonio

da Raffaello Morelli ad Antonio Colantioni, sabatp 22 febbraio 2024 ore 11,05

Caro Antonio, mi permetto di allegarti un mio articolo pubblicato ieri su PensaLIbero.it ,  Cordialità.     Raffaello

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Occidente e UE, il pericolo dell’immobilismo

L’Occidente si dissolve? – Da alcune settimane emerge con chiarezza che è collassato il disegno ultradecennale  NATO del segretario Stoltenberg, di resuscitare la guerra fredda contro la Russia per mezzo del caso Ucraina. Soprattutto (ma non solo) i grandi quotidiani italiani, sulla scorta di notizie allarmatissime dall’UE, martellano sull’idea che ciò sia frutto dall’arrivo di Trump e che comporti il grave pericolo del dissolversi dell’Occidente.

E’ un’idea sbagliata nei fondamentali. Intendo spiegarlo prendendo spunto dagli articoli di questi giorni di tre rilevanti personaggi, Lucio Caracciolo, Mario Draghi e Federico Rampini. Tutti e tre hanno una ampia visione del mondo ma trascurano non per caso il ruolo dei cittadini, nell’UE e negli USA. Atteggiamento davvero non incisivo quando l’argomento è la convivenza in Occidente.

Parole di Caracciolo – Caracciolo alterna considerazioni esatte (“noi europei siamo al meglio attori secondari”) ed inesatte (“il formato Ue scade insieme a quello Nato”), visto che la NATO è un’alleanza militare dell’aprile 1949, mentre il Trattato di Roma, fine marzo 1957, è un’istituzione civile di nuovo tipo fatta nascere dal liberale Gaetano Martino nel solco dell’economia quotidiana aperta degli abitanti dei sei stati fondatori.

Poi Caracciolo, sempre con il pregiudiziale  identificare Europa e NATO, critica “la retorica atlantista ed europeista” che ha mascherato la realtà, però accetta che la ripresa UE possa passare da “un percorso comune fra i principali Paesi europei”. Solo che l’Europa dei Trattati di Roma non era solo un accordo tra gli Stati bensì prefigurava una collaborazione concreta tra i cittadini (insopprimibile senza sopprimere l’Europa).

In seguito, Caracciolo ricorda che  un obiettivo prioritario degli americani è scardinare la coppia Russia-Cina “paradossalmente unite dagli Stati Uniti nella crisi ucraina” (quindi, pur identificando USA e NATO, riconosce che la crisi Ucraina ha avuto l’effetto opposto al desiderato). Inoltre un obiettivo strutturale USA è richiedere “ai non più protetti europei sacrifici che non siamo in grado di sostenere”, poiché gli europei sono fermi all’idea “che la guerra in Europa fosse stata abolita per sempre”. Infine Caracciolo conclude sulla linea Stoltenberg  “le principali vittime sono e saranno gli ucraini, che… paiono allo stremo…. C’era una volta l’Occidente”. Questa è una narrazione che prescinde dai fatti.

Da lungo tempo la NATO operava in Ucraina per attizzarla contro la Russia. L’Ucraina, dieci anni fa, aveva firmato a Minsk un trattato con Francia, Germania e Russia che prevedeva di inserire in Costituzione  l’autonomia del Donbas. Kiev ha modificato la Costituzione senza inserirvi l’autonomia del Donbas. E ciò ha portato all’invasione dell’autocratica Russia. Un po’ alla volta, però, i fautori della guerra fredda a Putin tramite l’Ucraina sono restati invischiati nella loro stessa rete di notizie gonfiate  per snaturare la libertà occidentale facendone un mezzo di imperio. E’. la riprova che l’Occidente svanisce quando dimentica quale sia la libertà che lo distingue. 

Parole di Draghi – Mario Draghi, alla settimana parlamentare 2025 a Strasburgo, ha  detto  cose giuste in teoria ma omesso il tema cittadini, che è quello decisivo. Collegandosi ai suoi noti rapporti, ha constatato la condizione di fatto : “il tempo non è dalla nostra parte, con l’economia europea che ristagna mentre gran parte del mondo cresce”. Ma non è andato oltre al constatare. Non basta affermare l’ovvio (“per far fronte alle sfide, è sempre più chiaro che dobbiamo agire sempre più come se fossimo un unico Stato”). E’ indispensabile dire il come arrivarci. E sul punto silenzio. Anzi, una conclamata inconsapevolezza di quale sia la chiave funzionante: recuperare il ricorso al confrontarsi politico dei cittadini e alle loro libere decisioni, messo in soffitta da decenni. Ma Draghi questa libertà non la coglie. Addirittura non la inserisce neanche tra i motivi fondativi (“l’UE è stata creata per garantire pace, indipendenza, sicurezza, sovranità e poi sostenibilità, prosperità, democrazia, la giustizia e l’illusione, tanta roba. Siamo riusciti a garantire tutto questo. Ora il mondo confortevole è finito, e dobbiamo chiederci se vogliamo difendere questi valori fondamentali o vogliamo mollare la presa”. Proprio non afferra il valore fondamentale della libertà dei cittadini al fine di affrontare le turbolenze del mondo che la Presidenza Trump ha messo in evidenza.

Parole di Rampini – Federico Rampini osserva meticoloso “Putin viene ri-legittimato dopo che l’Occidente lo aveva messo al bando per quasi tre anni. Zelensky è relegato in secondo piano. L’Europa pure, incassa una umiliazione. Poi precisa “È ipocrita continuare a fingere che l’Ucraina potesse vincere sul piano militare: la guerra era, nella migliore delle ipotesi, in una situazione di stallo da molto tempo e non per colpa di Trump. Semmai la colpa è dell’aiuto troppo limitato e contraddittorio che l’Occidente ha dato agli ucraini, molto prima che Trump tornasse alla Casa Bianca”. Del resto, continua Rampini, l’UE “è un gigante economico, dieci volte più ricco della Russia (letteralmente), ma quante divisioni ha?” Del resto la divisione dell’UE è palese, e costituisce “uno spettacolo che conforta Trump e Putin nel loro disprezzo verso gli europei. Che l’Ucraina entri pure nell’Unione, dunque”. Per di più “regalare l’Ucraina all’Ue è la classica polpetta avvelenata. L’Europa è malata di stagnazione, ha una pressione fiscale tremenda, non brilla per la sua capacità di creare occupazione ben pagata, di innovare, di beneficiare dalle rivoluzioni tecnologiche. Accogliere l’Ucraina verrebbe vissuto come un onere spaventoso. Prima, per i costi della sua ricostruzione. Poi, perché l’Ucraina avrebbe da subito il diritto a enormi trasferimenti di risorse per le sue regioni depresse e per la sua grossa agricoltura”.

Rampini cita un noto storico conservatore non trumpiano, il quale domanda “se l’Occidente transatlantico sopravvivrà come forza attiva negli affari globali”?. E Rampini osserva che “i principali governi occidentali non sono disposti a fornire all’Ucraina abbastanza aiuti da rendere la vittoria un obiettivo realistico”. Nel suo scritto,  afferma pure che “il risultato finale della politica di Trump per l’Ucraina sarà probabilmente lo stesso di quella di Joe Biden: l’Ucraina perderà territorio, e non avrà un futuro sotto l’ombrello dell’Articolo 5 della NATO. La domanda è cosa accadrà dopo…. Biden riteneva che l’unità della NATO fosse il miglior deterrente contro gli attacchi russi e la chiave per la stabilità in Europa. La visione del team di Trump è completamente diversa. L’Ue ha più popolazione e più risorse della Russia e dovrebbe essere perfettamente in grado di contenere Mosca. Washington non può essere trascinata in una responsabilità prolungata per il futuro dell’Ucraina. Contenere la Russia è un problema europeo”. Oltretutto, sottolinea Rampini, è chiara la divergenza di opinioni. “Per molti europei e i loro alleati americani, la presidenza di Trump è un attacco alla democrazia oltre che alla solidarietà transatlantica.Per i sostenitori del presidente, invece, sono gli europei ad aver tradito l’Occidente.Strategie di difesa nazionale sbagliate, politiche economiche autolesioniste, censura e misure culturali e migratorie suicide hanno eroso le basi strategiche e morali che un tempo univano l’Occidente”.

Accuse all’UE – Una simile accusa di tradimento, anche se viene da un pulpito interessato, è fondata, soprattutto se si allarga alla NATO e al rapporto di sudditanza UE nei suoi confronti. Ciò è potuto accadere poiché a poco a poco l’UE, concepita imperniata sull’attività dei cittadini, ha prima arrestato il suo cammino e, dopo Maastricht nel 1992,  ha perfino iniziato ad invertirlo per ritornare alla vecchia concezione degli stati di potere e alle loro pratiche di convenienza governativa, fondata sulle alleanze di forza e non sui   principi civili.

Così, da anni l’UE ha accettato passivamente le manovre NATO inclini alla guerra fredda tramite l’Ucraina. Anzi, si è addirittura impegnata ad esserne una corifea, facendo riferimento ai valori di libertà e di autodeterminazione dei popoli. Tuttavia una simile posizione non funziona. Per struttura è incompatibile con la realtà UE dell’ultimo trentennio. Che non è davvero quella dei Trattati di Roma, e non corrisponde ad un impegno di libera partecipazione dei rispettivi cittadini nel segno della libertà delle idee e della circolazione di persone e di merci. Inoltre l’UE del dopo Maastricht neppure è un vero soggetto geopolitico , siccome i veri stati si fondano su una popolazione in sostanza omogenea (non nella UE). L’UE attuale è solo un tentativo di ritornare ad un tipo di organizzazione del passato, ispirata a criteri di potenza territoriale e di governo nelle mani di pochi, non dei cittadini.

Di un tale dato di fatto, non hanno preso coscienza né gli ambienti UE al comando negli ultimi tre decenni né quelli dei giornali comunque allineati al conformismo vigente. La mancata coscienza li ha spinti a rifugiarsi,  per dar valore al proprio presunto ruolo imperiale, nel fabbricare scenari immaginifici, sempre sorvolando sui cittadini. L’immaginazione è saltata non tanto con l’uscita di scena del vecchio segretario NATO, quanto con l’arrivo di Trump. Ecco perché è tanto odiato. Ha rotto privilegi consolidati e l’abitudine al regime e al conformismo derivante.  Negli USA e nell’UE.

Ci sono celebri giuristi scandalizzati per l’accusa del vice Trump all’UE di negare la libertà, mentre lui fa visita al capo dell’estrema destra tedesca. Non si rendono conto  che scandalizzarsi per questo motivo, conferma l’accusa. Meno male che ci sono alcuni giornalisti, come Taino uno dei pochi di cultura liberale, che ricordano come l’UE non sia stata all’altezza  di affrontare  le sfide della difesa e dell’economia, due sfide inseparabili per sopravvivere.

Il ritorno ai fondamenti – L’essenziale  per l’Occidente e per l’UE è tornare ai fondamentali. Riscoprendo che la libertà civile può essere protagonista solo quando i meccanismi dei rapporti tra i cittadini individui sono davvero all’insegna dei contrappesi, del rimuovere il conformismo, dell’agire dinamico, del contenere le élites. Le strutture obsolete, suddivise in modo rigido dal ritorno al passato, generano debolezza nociva. La vera sfida non è il tran tran immobilista, ma cambiare per prosperare. Iniziando, nel caso UE, dal dibattere tra i cittadini i temi della Difesa e dell’Economia UE.

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