Una Dichiarazione sempre attuale

1 – Un auspicio – Negli Stati Uniti la ricorrenza annuale del 4 luglio è festa nazionale, a ricordo  della firma della Dichiarazione di Indipendenza dalla Corona Britannica (1776). Ebbene, è auspicabile richiamarla anche in Italia. Perché è un documento assai attuale sia per il processo di redazione che per l’originalità dei contenuti. Soprattutto con lo sguardo rivolto al futuro.

2 – Il testo della Dichiarazione di Indipendenza – All’epoca 13 colonie, tutte nella costa est del nord America e nei territori contigui, si sollevarono contro la Corona inglese, rivendicando che i tributi pagati avrebbero dovuto  esser legati al poter avere rappresentanza parlamentare in madre patria , mentre non l’avevano. Di conseguenza, le 13 Colonie iniziarono la Dichiarazione facendo una constatazione fondamentale, da leggere alla luce dello spirito inequivoco che la percorre. “Tutti gli uomini sono creati eguali; essi sono dal Creatore dotati di certi inalienabili diritti, tra questi diritti sono la Vita, la Libertà, e il perseguimento della Felicità”. Dunque, affermano le Colonie, il Creatore è il presupposto, ma la vita umana si basa sulle relazioni, improntate all’uguaglianza nei diritti legali individuali ed  esercitati nel segno della libertà di ciascuno finalizzata alla di lui Felicità.

La Dichiarazione prosegue con un altro punto fondamentale. “Per garantire questi diritti sono istituiti tra gli uomini governi che derivano i loro giusti poteri dal consenso dei governati”. Dunque il governo ed il potere derivante non emanano dalla divinità, bensì dai cittadini. Poi la Dichiarazione fa una precisazione decisiva: “ogni qualvolta una qualsiasi forma di governo tende a negare questi fini, il popolo ha diritto di mutarla o abolirla e di istituire un nuovo governo fondato su tali principi e di organizzarne i poteri nella forma che sembri al popolo meglio atta a procurare la sua Sicurezza e la sua Felicità”. Parole di limpida specifica delle circostanze in cui il popolo dei governati può procedere a mutare il governo e sostituirlo con uno più attento alla sua sicurezza e alla sua felicità. Infine la Dichiarazione contiene un ulteriore gruppo di valutazioni che inquadra con precisione quali comportamenti tenere, come tenerli e le relative tempistiche.  “Certamente, prudenza vorrà che i governi di antica data non siano cambiati per ragioni futili e peregrine; e in conseguenza l’esperienza di sempre ha dimostrato che gli uomini sono disposti a sopportare gli effetti d’un malgoverno finché  siano sopportabili, piuttosto che farsi giustizia abolendo le forme cui sono abituati. Ma quando una lunga serie di abusi e di malversazioni, volti invariabilmente a perseguire lo stesso obiettivo, rivela il disegno di ridurre gli uomini all’assolutismo, allora è loro diritto, è loro dovere rovesciare un siffatto governo e provvedere nuove garanzie alla loro sicurezza per l’avvenire. Tale è stata la paziente sopportazione delle Colonie e tale è ora la necessità che le costringe a mutare quello che è stato finora il loro ordinamento di governo.

Qui va rilevato innanzitutto l’affermazione che le valutazioni sui governi si basano sull’esperienza. E poi che esse non si formano sui capricci, bensì  sul reiterarsi al passar del tempo di atti tesi all’assolutismo (dimentichi del buongoverno). Dunque, si sancisce che le valutazioni devono essere frutto di maturazioni alla prova degli avvenimenti, e non stabilite in base alla lettura di libri religiosi o ideologici.   

Proseguendo sulla linea della concretezza delle cose, la Dichiarazione elenca in dettaglio la storia “di ripetuti torti ed usurpazioni dell’attuale re di Gran Bretagna, tutti diretti a fondare un’assoluta tirannia su questi Stati. Sono citate con precisione tredici gravi iniziative o mancanze giurisdizionali tese a quel fine, vale a dire rendere più difficile od impedire l’equo esercizio dei diritti nei confronti dei cittadini e da parte loro. Tra l’altro, “assoggettando le Colonie ad una giurisdizione estranea alle  leggi, acquartierare nelle Colonie grandi corpi di truppe armate, interrompere il commercio delle Colonie con tutte le parti del mondo, imporre tasse senza il consenso delle Colonie, sopprimere le carte statutarie, abolire le validissime leggi, mutare dalle fondamenta le forme di governi, sospendere i corpi legislativi, e legiferare in ogni e qualsiasi caso”.

In aggiunta, la Dichiarazione formula precise accuse nei confronti del Re inglese. Ad esempio. “Egli sta trasportando vasti eserciti di mercenari stranieri per completare l’opera di morte e di tirannia già iniziata con particolari casi di crudeltà che sono del tutto indegni del capo di una nazione civile…..Un principe, il cui carattere si distingue così non è adatto a governare un popolo libero”.

Dopo aver pure citato l’inutilità dei tentativi di un rapporto di amicizia con i fratelli britannici,  dimostratisi sordi alla voce della giustizia e del sangue comune, alla fine la Dichiarazione enuncia la decisione conclusiva: “Noi, Rappresentanti degli Stati Uniti d’America, riuniti in Congresso generale, appellandoci al Supremo Giudice dell’Universo per la rettitudine delle nostre intenzioni, nel nome e per l’autorità del buon popolo di queste Colonie, solennemente rendiamo di pubblica ragione e dichiariamo: che queste Colonie Unite sono, e per diritto devono essere, stati liberi e indipendenti; che esse sono sciolte da ogni sudditanza alla Corona britannica, e che ogni legame politico tra esse e lo Stato di Gran Bretagna è, e deve essere, del tutto sciolto; e che, come Stati liberi e indipendenti, essi hanno pieno potere di far guerra, concludere pace, contrarre alleanze, stabilire commercio e compilare tutti gli altri atti e le cose che gli stati indipendenti possono a buon diritto fare. E in appoggio a questa dichiarazione, con salda fede nella protezione della Divina Provvidenza, reciprocamente impegnamo le nostre vite, i nostri beni e il nostro sacro onore”. La Dichiarazione venne firmata dai 56 delegati delle 13 Colonie. 

3 – La svolta impressa dalla Dichiarazione – Ho ripercorso il testo della Dichiarazione a passo a passo, dato che questo mio articolo non ha lo scopo di celebrarla, si prefigge di  approfondirla al fine di comprenderne appieno la svolta che ha rappresentato (e la sua validità odierna). Fino ad allora, in Inghilterra a partire dalla Magna Carta Libertatum (1215)  era cresciuto il ruolo del Consiglio del Regno, una sorta di Parlamento, e si era sviluppata la democrazia rappresentativa, nella quale l’elezione dei rappresentanti dava più spazio ai cittadini (sempre con lentezza, con fatica e con scontri armati, tra i contrapposti forti interessi della Casa regnante, dei nobili, del clero, del ceto borghese con più numeri e con risorse economiche più ampie). Poi , dopo la gloriosa rivoluzione svoltasi senza spargimento di sangue, il Re sottoscrisse la Dichiarazione dei Diritti (1689), che stabilì il carattere contrattuale del potere della Corona e avviò la supremazia del Parlamento rappresentativo eletto su base territoriale da cavalieri e cittadini. Durante il secolo successivo, le idee favorevoli al Parlamento circolarono e si diffusero   anche   altrove. Tuttavia era un concetto relativo a Stati e popoli esistenti da secoli, di cui si proponeva di mutare gli assetti istituzionali. Viceversa, le 13 Colonie affrontarono per la prima volta la questione a livello assai più ampio. Partirono dal sostenere che fosse indispensabile riconoscere la rappresentanza parlamentare nella madre patria ai coloni che ad essa pagavano tributi. E per affrontare lo scontro, finirono per estendere il criterio parlamentare alla federazione di stati che dettero vita agli Stati Uniti d’America.

Nel complesso, prima della Dichiarazione di Indipendenza non si era mai arrivati ad una formulazione tanto organica e in sostanza puntuale dei caratteri distintivi della libertà nel convivere innestata sui cittadini. All’epoca proseguiva a diffondersi il portato di una scoperta frutto del vivere nei secoli. Quella che il governare la convivenza funziona meglio quando viene affidato al popolo degli umani e non è più eterodiretto, né da qualche libro sacro né da qualche potente per tradizione (in origine arrivato a prevalere tramite la forza fisica, economica o militare) oppure per conquista con mezzi possenti. Ebbene, le 13 Colonie americane fissarono tale scoperta, estendendola al di là della capillare casistica della legislazione in Inghilterra  ed inquadrandone i nuovi meccanismi cardine di principio nella Dichiarazione di Indipendenza.

Il primo cardine  fu il separare il Divino dall’umano nella gestione della convivenza terrena. L’esistenza di un Dio era confermata con fermezza ma con altrettanta fermezza non era legata alle decisioni umane in materia di vita insieme nelle istituzioni. In pratica era la linea del deismo inglese, secondo cui la fede in Dio dipende dall’istinto di tutti gli uomini e può non contraddire la ragione e la libertà di coscienza. In sostanza il deismo è contro l’idea di rivelazione o i misteri connessi, critica le chiese tradizionali ma non è contro la religiosità in sé. In sintesi, la separazione insita nella Dichiarazione equivaleva a confinare il Divino nel settore (amplissimo) di quanto gli umani al momento non conoscono, senza farlo interferire con le scelte normative ed operative riguardo i rapporti interpersonali e con il giudicare gli atti di governo. Una affermazione chiave, favorita da due circostanze. Una, la fortissima impronta protestante tra i coloni, che già aveva smosso le acque del clericalismo accrescendo il ruolo autonomo di ogni persona nel disporre le proprie capacità di natura. L’altra, un periodo dopo l’arrivo di Cristoforo Colombo troppo breve, perché nel mondo delle Colonie vi fosse una penetrazione diffusa e radicata di istituzioni religiose cattoliche (che, quali   rappresentanti in terra del Dio, propendono  al propagandare la verità di fede e così a rafforzare il conformismo civile).

Il secondo cardine fu legare le scelte del vivere in società allo sperimentare. In altre parole il decidere segue l’osservare gli accadimenti, abbandonando la logica del progetto eterno da attuare ad ogni costo. Comportamento indispensabile per poter conoscere di più il mondo, gli altri, sé stessi e per raggiungere meglio la propria felicità, specie essendo consapevoli dell’enorme numero di cittadini diversi di cui è formato il popolo.  Questo secondo cardine fu anch’esso una novità, seppure non totale. Di fatti, da un lato richiamava lo spirito della commow law inglese  assai vicino alle tradizioni di vita quotidiane  e al loro filo  interpretativo affidato al lavoro dei giudici  e degli avvocati, dall’altro innovava  ponendo l’esigenza di inquadrare le scelte da fare non solo nella tradizione ma piuttosto in normative  di volta in volta votate in parlamento.

Il terzo cardine fu specificare che il governo sulla terra spettava agli umani, in linea di principio nella loro interezza e non ristretti a qualcuno di loro. L’attenzione perciò era posta sulle procedure adatte a svolgere questo compito, mantenendo l’idea secondo cui l’intera materia era di per sé cangiante e che dunque necessitava l’autodeterminazione tramite valutazioni e controlli ripetuti in base ai fatti, ai luoghi, al momento e alle persone coinvolte. Peraltro rispettando sempre il principio che il corrispondere tributi era inseparabile dall’avere rappresentanza parlamentare.

Il quarto cardine fu il sottolineare la necessità di effettuare tali valutazioni e controlli con animo paziente e libero da preconcetti, in modo che l’attività sperimentale svolga i suoi effetti senza farsi sviare dall’ansia del trovare i risultati preferiti e che di conseguenza i dati sperimentali portino a decisioni adatte rispettare il criterio della libertà e, attraverso di essa, quello della felicità del popolo.

Il quinto cardine fu  introdurre per la prima volta il principio della divisione dei poteri nella gestione dello Stato, individuato  pochi decenni prima da Montesqieu. Un’ulteriore conferma del riconoscere   l’insussistenza   dell’antica teoria   secondo cui   le strutture dello Stato avrebbero dovuto essere un blocco unitario nelle mani di chi detiene il potere.

4 – Gli Stati Uniti d’America – La Dichiarazione del 1776 formò un amalgama  dei cinque cardini considerandolo applicabile non solo in un singolo stato ma in ambito federale di più stati, anche senza cancellare le rispettive specificità. Un amalgama che operò con successo nella successiva guerra di Indipendenza dal Re d’Inghilterra e nella vita ordinaria dei vari Stati già Colonie. Negli anni seguenti tra i 13 Stati maturò la convinzione della necessità di formulare le strutture fondamentali delle loro istituzioni.  

Così undici anni  dopo (1787) venne promulgata la Costituzione federale  degli Stati Uniti  d’America, nella quale i principi della Dichiarazione sono tradotti in un complesso di leggi e di istituti coerenti alle  indicazioni in essa contenute (un ramo esecutivo – il Presidente con poteri ben definiti –, un ramo legislativo composto da due assemblee, il Senato formato da due rappresentanti per Stato e la Camera con un numero di rappresentanti proporzionato agli abitanti, un ramo giudiziario diffuso ai vari livelli delle istituzioni e con al vertice la Corte Suprema; i componenti di ogni ramo eletti al rispettivo livello con incarico a tempo, eccetto l’incarico della Corte Suprema attribuito dal Presidente ad ogni singolo componente e mantenuto dal nominato per tutta la sua  buona condotta). Inoltre, venne introdotto per la prima volta il principio secondo cui le norme della Costituzione appartenevano ad un ordine superiore rispetto a quello delle leggi ordinarie (dunque valevano per ogni Stato federato).

Nel periodo immediatamente successivo – esattamente dal 1789 al 1791 –, nella Costituzione vennero aggiunti dieci emendamenti per specificare diritti fondamentali nella vita del popolo che  il Governo non poteva violare. Due in particolare sono assai significativi. Il IX  stabilisce che un diritto del popolo  può sussistere anche se non è enumerato nella Costituzione (il che significa che la  Costituzione non è la sola fonte del diritto). Il X stabilisce che I poteri che la costituzione non attribuisce agli Stati Uniti né inibisce agli Stati, sono riservati ai singoli Stati o al popolo (il che specifica ulteriormente la natura federale degli Stati Uniti, ove i diritti costituzionali si applicano in tutti gli Stati, ma vi sono poi i diritti di ciascun Stato). Restando inalterato l’indirizzo delle norme costituzionali allora in essere, sono stati poi apportati, nei quasi duecentoquarantanni trascorsi dopo, degli aggiustamenti maturati nel frattempo. Peraltro è stata sempre mantenuta la responsabile prudenza di valutazione prevista nella Dichiarazione di Indipendenza, tanto che ad oggi gli emendamenti alla Costituzione sono  27  in totale.

5 – Gli sviluppi istituzionali diversi nell’Europa continentale – 5.1L’illuminismo negli Stati Uniti. La Dichiarazione di Indipendenza prima e la Costituzione degli Stati Uniti d’America poi, sono un prodotto palese dei principi dell’illuminismo, ma lo sono nell’accezione inglese che accentua il campo civile e perciò è attenta all’esercizio delle libertà. Non a caso negli Stati Uniti l’illuminismo rispettava il criterio dell’accorta e continua valutazione dei dati sperimentali.  Per contro, l’illuminismo continentale si impegnava  innanzitutto a valorizzare le conoscenze sempre più vaste e a svolgere un ruolo di alta consulenza sui principi per mezzo della ragione (così da renderli il più possibile conosciuti) ma focalizzandosi innanzitutto sulla ragione stessa piuttosto che sui risultati dell’applicarla.   

Per questo motivo, pur rientrando le vicende delle 13 Colonie nel movimento europeo di trasformazione politico istituzionale degli Stati (anche nell’aspirazione ad essere un esempio per il resto del mondo), lo svilupparsi della lotta politica in Francia fece venire a galla la differente natura dell’illuminismo continentale. E di conseguenza la differente influenza delle due Rivoluzioni americana e francese  sugli avvenimenti svoltisi da allora nel mondo intero. 

5.2 L’arrivo alla Rivoluzione francese – Verso la fine degli anni ottanta del ‘700, in Francia il regime di  monarchia assoluta ebbe una massiccia crisi economica che provocò diffusissime condizioni di miseria. In larga misura la causa era che da tempo il Regno  spendeva parecchio di più delle entrate (la sola Corte costava il 6% delle uscite) e che i tentativi di vari ministri delle Finanze di aumentare l’imposizione fiscale distribuendola soprattutto su nobiltà e clero, non vennero mai approvati per la decisa opposizione di quei due stessi stati.

Così, a  maggio 1789, per la prima volta dopo 170 anni, il Re convocò gli Stati Generali di una società suddivisa in tre stati, nobiltà, clero e terzo stato (cui appartenevano i 9/10 della popolazione). I rappresentanti di ogni Stato venivano eletti da chi ne faceva parte localmente ma poi, negli Stati Generali, ogni Stato aveva un solo voto deciso dai rispettivi rappresentanti. Quindi permaneva il dominio stabile del duo nobiltà e  clero, cosa in contrasto evidente con le idee maturate nell’ultimo secolo sul ruolo degli individui. Nel giro di poche settimane, venne accettata la richiesta di voto singolo di ogni eletto avanzata dal terzo Stato, ma ormai si era innescato un movimento  di grandi proteste che in breve posero le premesse per una epocale rivoluzione civile, la presa della Bastiglia, avvenuta il 14 luglio 1789.

Durante quell’agosto, l’Assemblea abolì tutti i privilegi feudali avviando una società autonoma di cittadini, e, alla fine del mese, su un testo preparato dal marchese  di La Fayette (che aveva preso parte alla guerra per l’Indipendenza degli Stati Uniti ed era anche cittadino americano), la stessa assemblea approvò la Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino, che da allora sarà un riferimento per molte costituzioni europee moderne.

5.3 La Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo – La Dichiarazione inizia con le parole “i rappresentanti del popolo francese costituiti in Assemblea Nazionale”,parole che trasformano una società di corporazioni e di ordini, in una  di cittadini riuniti in un solo popolo. Dopodiché l’art. 1 sancisce che “Gli uomini nascono e rimangono liberi e uguali nei diritti”, l’art. 2 che “Il fine di ogni associazione politica è la conservazione dei diritti naturali ed imprescrittibili dell’uomo. Questi diritti sono la libertà, laproprietà, la sicurezza e la resistenza all’oppressione”, l’art.3 che Il principio di ogni sovranità risiede essenzialmente nella Nazione, l’art.4 che La libertà consiste nel poter fare tutto ciò che non nuoce ad altri: così, l’esercizio dei diritti naturali di ciascun uomo ha come limiti solo quelli che assicurano agli altri membri della società il godimento di questi stessi diritti. Questi limiti possono essere determinati solo dalla Legge”, l’art. 5che – “La Legge ha il diritto di vietare solo le azioni nocive alla società”.,  l’art. 6 che La Legge è l’espressione della volontà generale. Tutti i cittadini hanno diritto di concorrere personalmente o mediante i loro rappresentanti, alla formazione della Legge. Essa deve essere uguale per tutti. Tutti i cittadini essendo uguali ai suoi occhi sono ugualmente ammissibili a tutte le dignità, posti ed impieghi pubblici secondo la loro capacità, e senza altra distinzione che quella delle loro virtù e dei loro talenti”, l’art.10 che “nessuno deve essere molestato per le sue opinioni, anche religiose”, l’art.17 che la proprietà essendo un diritto inviolabile e sacro, nessuno può esserne privato, salvo quando la necessità pubblica, legalmente constatata, lo esiga in maniera evidente, e previa una giusta indennità”.

In generale, è un testo che somiglia non poco alla Dichiarazione di Indipendenza degli Stati Uniti di tredici anni prima. Però che contiene anche disposizioni discordanti, riferibili al modo continentale di intendere l’illuminismo. Alcune di queste saranno all’origine dei mutamenti strutturali intervenuti pochissimi anni dopo in Francia e alla base di un percorso politico culturale del tutto diverso in Europa rispetto a quello negli Stati Uniti. Esemplifico. Per prima cosa, lo strumento francese, la Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo, era riferito non solo al popolo come nella Dichiarazione di Indipendenza, bensì all’intera umanità.  Poi l’art. 1 introduce il presupposto che gli uomini “rimangono” liberi ed uguali nei diritti (un tipico concetto prodotto dalla ragione), sorvolando sul fatto  che tale effetto non è affatto scontato nella realtà ma dipende dal quadro normativo che governa le relazioni interpersonali. L’art. 3 colloca la sovranità nella Nazione senza definire esattamente la Nazione stessa (di nuovo un concetto prodotto dalla ragione, al di là di costruirlo in concreto) ma facendo intendere che la Nazione sia al di sopra dei suoi cittadini.  L’art. 5 prevede che la legge non abbia il diritto di nuocere alla società, senza specificare cosa intende con la frase nuocere alla società (ancora un concetto fondato sulla ragione quale origine del dover essere). L’art. 6 definisce la legge espressione della volontà generale, senza chiarire cosa sia precisamente la volontà generale salvo darle il carattere di entità preordinata agli umani conviventi (in sostanza fa derivare la volontà generale dalla ragione che la determina a tavolino, a scapito dell’autonomia agli umani).

La lettura della Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo fa constatare che già nel ’89 era radicato il pensiero del filosofo Jean Jacques Rousseau (morto già nel 1778) che a parole predicava il nuovo (egli sosteneva perfino che un futuro migliore richiedeva il distruggere il passato) ma nel concreto faceva  rivivere, dando loro un nuovo aspetto, molte concezioni del passato intrinsecamente antiscientifiche ed antiindividualiste. A cominciare dall’eterno ritorno dell’utopia quale ideale di vita, in radicale contrasto con la fecondità del conoscere illuminista poco incline a voli utopici. Da cui nacque l’idea di volontà generale , tipica espressione di una ragione teorica estranea allo sperimentare davvero la realtà.

5.4  Cambi di idee nella  Rivoluzione, primo quinquennio – Il Re controfirmò la Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo, ma continuò ad esercitare il suo ruolo abituale. Sul subito principalmente attraverso  il suo diritto di veto nei confronti dell’Assemblea Nazionale e in seguito tessendo trame restauratrici, soprattutto circoscritte ai palazzi. Nell’estate del 1790 l’Assemblea fece un ulteriore passo di distinzione rispetto alle strutture degli Stati Uniti,  adottando la Costituzione civile del Clero, con cui la Chiesa cattolica divenne un’istituzione al servizio della nazione, anche se la sola autorizzata a celebrare pubblicamente feste e cerimonie. Il clero dedito ad attività assistenziali e sociali, divenne un corpo di funzionari dello Stato, stipendiato e tenuto a giurare fedeltà alla Costituzione. Inoltre erano soppressi i privilegi  degli ordini religiosi e si stabiliva che i vescovi e  i parroci fossero eletti nelle loro zone dai politici e autorizzò  solo la religione cattolica .

Al passar dei mesi, il Re si sentiva sempre più insicuro nel nuovo clima politico ormai consolidatosi ma che lui non condivideva. Così nel giugno del 1791  fuggì da Parigi tentando di raggiungere una piazzaforte al confine con il Belgio, dalla quale lanciare un’offensiva dei suoi fedeli. Venne ripreso quasi subito nelle Argonne dalla Guardia Nazionale comandata da La Fayette e riportato a Parigi, con una sorveglianza più stretta nonché sospeso temporaneamente dalle sue funzioni (provvedimento che rientrò dopo poche settimane per le dichiarazioni d’alto là fatte da diverse potenze europee). In quell’ottobre 1791 venne varata la prima  Costituzione della Rivoluzione Francese, che aveva come preambolo la Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo e conservava la forma monarchica, tuttavia  accentuando le caratteristiche innovative dell’impianto fondato sulla ragione teorica. Così ribadiva il concetto  della sovranità che appartiene alla nazione (“dalla quale emanano unicamente tutti i poteri”) e lo espandeva stabilendo che “nessuna sezione del popolo, né alcun individuo può attribuirsene l’esercizio”. Inoltre affermando che “il Corpo legislativo non potrà essere sciolto dal re” faceva dell’Assemblea l’effettivo fulcro decisionale della Francia. Nel complesso, con la prima Costituzione della Rivoluzione stava proseguendo la divaricazione tra le due culture dei documenti fondanti degli Stati Uniti e di quelli francesi.

E non era finita. Il clima politico in Francia volgeva al peggio, risultando molto più teso all’esterno e all’interno. All’esterno venne dichiarata guerra all’Austria perché aiutava i ribelli monarchici e all’interno  la tentata fuga del Re aveva accentuato il discredito per l’istituto monarchico.  In tale quadro, il nuovo ruolo  assegnato all’Assemblea senza contrappesi  e l’irrobustirsi della tesi di  arrivare presto alla Repubblica, portarono alla scissione  tra i deputati girondini di orientamento moderato (primavera 1792) e determinarono il completo prevalere dei sanculotti radicali. Ciò innescò l’esaltazione egualitaria del popolo indistinto al posto del cittadino. Man mano che acquisivano potere i giacobini fanatici delle idee di Rousseau, tra i francesi aumentava sempre più il ricorso all’esercizio della forza (che si accompagnava al razionalismo deterministico) mentre si lasciava in disparte l’effettivo dibattito delle idee e si trascurava molto la maturazione  civile.

Tutto questo  prese corpo negli avvenimenti del 10  agosto , quando, sotto la guida della Comune di Parigi in mano ai giacobini, la folla insieme a molti militari repubblicani assaltarono il Palazzo delle Tuileries dove il Re e la sua corte risiedevano da un triennio. Il Re si rifugiò nell’attiguo palazzo dell’Assemblea Legislativa ma i rivoltosi ebbero la meglio quasi subito massacrando diverse centinaia di guardie svizzere del Re.  Subito dopo anche l’Assemblea Legislativa accettò  la richiesta giacobina,  sostituendo il Re con un Consiglio Esecutivo e convocando le elezioni generali a suffragio universale maschile per la nuova Assemblea. L’esaltazione giacobina giunse poi all’apice dopo l’inattesa vittoria a Valmy dell’esercito pur raccogliticcio (20 settembre) contro la larga coalizione degli Stati europei che intendevano combattere la rivoluzione antimonarchica.

Nei giorni successivi, l’Assemblea Legislativa – chiamata ora Convenzione Nazionale – accentuò l’intenzione di costruire una nuova Francia in grande discontinuità con la precedente. Proclamò la Repubblica al posto del Regno, decretò l’inizio di una nuova era storica nel conteggio degli anni (ripartendo dall’anno I della Repubblica) e avviò la redazione di una seconda Costituzione francese. In quelle settimane venne deciso l’arresto del Re  e in seguito il suo processo , che si concluse con la condanna alla ghigliottina (gennaio 1793). Nel frattempo vennero conclusi i lavori per la Seconda Costituzione molto diversa da quella precedente.

Già il  preambolo riprendeva nella sostanza le idee rousseauiane attualizzate (seppure insieme ad altri aspetti  volti all’attenzione a problemi di libertà civile). Si inizia sostituendo la sovranità nazionale con la sovranità popolare espressa a suffragio universale. Si prosegue eliminando il principio della separazione dei poteri e attribuendo alla Convenzione Nazionale, siccome esprime la volontà del popolo, sia il potere esecutivo che il potere legislativo. In seguito si definiscono tutti gli uomini eguali per natura (concetto puramente teorico estraneo al mondo reale)  e  poi si antepone l’eguaglianza a libertà, sicurezza e proprietà. Inoltre si adottano norme prescrittive del dover essere Ideale. Ad esempio si sanciva cha la legge non poteva ordinare se non ciò che è giusto e utile alla società; e che non può vietare se non ciò che le è nocivo. E si proclamava  pure che quando il Governo viola i diritti del popolo, l’insurrezione è per il popolo e per ciascuna parte del popolo il più sacro dei diritti e il più indispensabile dei doveri. Insomma, un modo di concepire la realtà in toni aulici e netti, senza dare  spazio a sfumature nelle regole e nei comportamenti. Qualcosa cioè che rientra più in quadro stereotipato lontano dal vero e piuttosto espressione della pretesa di imporre la propria volontà agli altri.

Nel mese di aprile 1793, il potere esecutivo venne affidato, oltre che al Consiglio dei Ministri, ad un nuovo organo, il Comitato di Salute Pubblica, con effettivi ampi poteri. Sempre in quelle settimane, la Seconda Costituzione  venne presentata e anche largamente approvata in un referendum. Però non venne davvero mai applicata, visto che tre mesi dopo la composizione del Comitato di Salute Pubblica venne modificata (entrandovi quale presidente Robespierre), che non riteneva la Costituzione abbastanza incline alla Rivoluzione. Quindi venne deciso che il governo sarebbe stato “rivoluzionario fino alla pace“. Con tali modalità si giunse presto al periodo del Terrore con il Triumvirato di Robespierre, che visse nel sangue all’insegna della più roboante demagogia egualitaria (furono centinaia di migliaia gli arrestati per attività controrivoluzionaria; di cui oltre 16.000 ghigliottinati e decine di migliaia morirono  mentre altre decine di migliaia morirono in prigione. L’ossessione di Robespierre era la minaccia dei nemici interni. Alcuni membri ella Convenzione Nazionale, preoccupati di  essere le  prossime vittime,  denunciarono preventivamente Robespierre a fine luglio 1974. Lo arrestarono con l’aiuto delle truppe della Convenzione e subito dopo ghigliottinarono lui e diversi suoi amici.  La morte di Robespierre pose fine alla dominazione giacobina e dette inizio alla cosiddetta reazione termidoriana (termidoro, nel calendario rivoluzionario dell’epoca, era il nome del periodo tra il 17 luglio e il 18 agosto).

I Termidoriani avevano,   riguardo all’evolversi delle passate fasi della Rivoluzione e ai progetti per il futuro, una composizione moltissimo variegata sia quanto a provenienza che a formazione. Realisticamente avevano colto che la massa dei cittadini rifiutava la concezione rivoluzionaria giacobina e pertanto proponevano il ritorno ad un governo stabile  nonché rispettoso delle regole e della libertà economica. A tal fine, eliminarono il più possibile l’impronta giacobina nelle istituzioni a Parigi e nella provincia francese, negli aspetti giuridici (abrogando la legge sui sospetti e sulla carcerazione prima del processo)  , nelle esecuzioni ( nel mese di agosto i ghigliottinati furono 6 contro i 343 di luglio) e in quelli umani (eliminando, pure fisicamente non di rado, o comunque trattando  con dileggio,  chi era stato giacobino). Al tempo stesso, il clima politico assai meno giacobino indusse al rientro in patria molti seguaci del Re che avevano trovato rifugio all’estero.

Nella medesima ottica antigiacobina,  nel febbraio 1795 i termidoriani dichiararono  la libertà di culto, ponendo fine alla Chiesa Costituzionale e separando Stato e Chiesa per la prima volta in Francia. Questa libertà di culto venne estesa pure ai ribelli della Vandea, che si erano rivoltati a causa della repressione rivoluzionaria del cattolicesimo. Tuttavia, nell’inverno ’94-95 le condizioni socioeconomiche non potevano raddrizzarsi d’un colpo, e quindi persisteva abbastanza malcontento da consentire ai restanti ambienti  giacobini di tentare un colpo di coda. Una loro sollevazione a Parigi del 1° di pratile (20 maggio) chiese alla Convenzione la distribuzione del pane e l’entrata in vigore della Costituzione del 1793. La sollevazione parigina aveva l’appoggio della Guardia Nazionale, ma venne repressa alla svelta dalle truppe della Convenzione e finì nel trimestre successivo con accese rappresaglie in tutto il paese contro i restanti giacobini.

I Termidoriani, non avendo intenzione di far entrare in vigore la Costituzione giacobina del 1793, ne redassero una nuova (agosto 1795) , prefiggendosi di evitare l’onnipotenza dell’Assemblea o di un suo esponente. Perciò la nuova Costituzione, stabilito all’inizio che “la legge è uguale per tutti”, affiancò una dichiarazione dei doveri (che includeva il rispetto dell’autorità) a quella dei diritti. E cambiò gli organi dello Stato. Il legislativo venne composto da due camere, i Cinquecento che formulavano le proposte e gli Anziani che quelle proposte potevano solo o approvare o bocciare. L’Esecutivo era un Direttorio  composto da 5 membri non sfiduciabili, scelti dagli Anziani in una rosa di 50 nomi formata dai Cinquecento. Ogni anno un membro del Direttorio decadeva a rotazione. Inoltre vi era una Tesoreria dello Stato nominata dai CInquecento Il corpo legislativo veniva eletto ogni tre anni in due fasi dai cittadini contribuenti (come nella Costituzione del 1791).   Le varie Assemblee avrebbero eletto i magistrati nei rispettivi territori. Da ricordare che questa Costituzione fu il modello che i francesi imposero negli anni seguenti alle varie repubbliche italiane.

5.5 Cambi di idee nella Rivoluzione, prosecuzione – Negli anni successivi al 1795, le  idee sul come costruire le istituzioni francesi continuarono a marciare lungo la linea della Terza Costituzione e ancora una volta non ebbero uno sviluppo univoco. Non per caso produssero prima il Consolato di Napoleone, poi un’ulteriore Costituzione nel 1799, dopo sfociarono nella formazione dell’Impero e ancora dopo nelle guerre europee, che si conclusero con la restaurazione.

Queste  vicende storiche sono talmente note nei loro dati effettivi, da non richiedere in questa sede ulteriori specificazioni al fine di approfondire aspetti del filone politico culturale seguito in Francia: nel percorso per arrivare prima alla Rivoluzione e in seguito per la struttura delle Istituzioni, il ruolo del cittadino, il peso della violenza nelle relazioni pubbliche. Risulta di una evidenza innegabile che quel filone si dipanò all’interno dell’illuminismo. Però intese l’illuminismo in un’accezione rattrappita, ben poco attenta a quanto significasse nella sua parte evolutiva.

L’illuminismo, nell’occuparsi delle cose del mondo, venne ridotto al valorizzare il ruolo della ragione  umana, solo al fine di meglio consentire al potere della maggioranza esistente al momento di applicare la tradizionali consuetudini del gestire la convivenza. Non ne venne colta la forte attitudine evolutiva. Non si cercò mai di aprirsi al confronto sperimentale delle idee e dei progetti individuali in un clima di maggiore libertà nelle relazioni umane, anche a livello istituzionale. La riprova più esplicita si trova forse nel totale cambiamento nel campo del diritto. Venne rimossa integralmente ogni fonte di diritto consuetudinaria o locale o d’esperienza professionale o di giurisprudenza (costituenti una prassi  di raccordo con la vita quotidiana) per essere sostituite dalla sola normativa della legge votata dall’Assemblea valida per tutti e in ogni momento (che unificava il diritto ma insieme lo cristallizzava favorendone l’applicazione preferita dai gestori del potere ed inibendone l’adeguarsi al tempo).    Da tale chiusura al confrontarsi sperimentale sulla realtà, ebbero origine le continue svolte politico culturali, ciascuna all’insegna della ragione al momento prevalente nell’Assemblea ed accompagnate dal progressivo ricorso alla violenza fisica pressoché esclusivo – divenuto perfino, ad un certo punto, parossistico e disumano –  per dirimere i conflitti di idee e di progetti.

Ciononostante, il mito libertario secondo cui la Rivoluzione di fine ‘700 avrebbe impresso una spinta innovativa,  per decenni dilagò al di là dei confini della Francia, arrivando in tutta Europa e insediandosi stabilmente. Peraltro  restò privo della capacità di riflettere sui limiti gravi, le contraddizioni e le arretratezze che pure aveva introdotto nella vita istituzionale e nella storia della libertà civile in Europa. Al punto che gli effetti negativi di questo mito libertario rimangono tutt’oggi. Di quell’epoca molti insistono ancora oggi nel valorizzare gli aspetti peggiori: voler governare la convivenza in termini illiberali trascurando i cittadini a favore (di fatto) delle élites e del dover essere. 

6.  La capacità di rinnovarsi di continuo stando ai fatti – 6.1 La caratteristica degli Stati Uniti. Nel descrivere quanto avvenuto nel primo quinquennio della Rivoluzione francese, ho messo in evidenza i punti in cui sono nette le distanze dall’esperienza degli Stati Uniti nel campo del far maturare la legislazione per convivere. Come ho già sottolineato, in Francia non venne colto il profondo meccanismo politico culturale espresso dalla Dichiarazione d’Indipendenza. E principalmente non fu colto il significato di cosa comportasse l’amalgama dei cinque principi da essa introdotti.

Da allora l’amalgama di quei principi è riuscito ad evitare che gli Stati Uniti, nonostante le difficoltà umane del convivere, cadessero in contraddizioni istituzionali irrimediabili sotto il profilo della libertà dei loro cittadini. E la Costituzione degli Stati Uniti – con i soli 27 emendamenti apportati attraverso la meditata valutazione sperimentale degli avvenimenti, dal 1787 ad oggi –  mantiene un funzionamento eccellente, mostrandosi ancora in grado  di governare  tensioni civili che finora rientrano nei conflitti domestici tra diversi, fisiologici  all’esercitare la libertà.

La stessa cosa non è avvenuta con i nipotini della Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo, fin da subito assai ondivaga negli effetti. E, nei due secoli da allora, neppure  è avvenuta a livello mondiale con le svariate altre proposte avanzate nello stesso periodo. Proposte mosse da ambizioni epocali tra loro differenti, anzi contrapposte quanto ad impostazione ideale. Però tutte intente a disegnare criteri politico istituzionali con due caratteristiche. La prima essere atti a strutturare una società umana, di livello maturo nel relazionarsi e dotata di un minimo di risorse. La seconda l’essere criteri improntati all’inimicizia più o meno esplicita verso la libertà individuale, la diversità di ciascuno, l’autonomia di ogni cittadino, il libero mercato.  Ebbene,  tutti questi criteri  alla prova della storia, in tempi più o meno lunghi e con percorsi più o meno tragici, sono completamente naufragati  nelle promesse e pure nelle illusioni. Inoltre va detto che sono criteri palesatisi del tutto  incapaci di stare al passo con i continui avanzamenti della scienza nel conoscere di più il mondo.   

Non azzardando bensì applicando il metodo sperimentale, si può fare una solida supposizione. Il motivo per gli esiti fallimentari dei criteri tanto difformi da quelli dei documenti costitutivi degli Stati Uniti, consiste nella loro più o meno totale disattenzione alla libertà politica, al cambiare  senza radicalismi e al ruolo del cittadino individuo nel valutare spesso, mediante il voto, i risultati ottenuti da chi li governa nonché le proposte sul tavolo riguardanti il futuro.  Tale supposizione non solo trova pieno riscontro in quanto avvenuto da fine ‘700 in poi, ma è pure confermata, meno direttamente ma sempre in pieno, prima dalla nascita della Comunità Europea nel 1957 e attualmente dalla natura della minaccia che incombe sull’Occidente.

6.2 – La Comunità Economica Europea e l’UE. Per inquadrare meglio la nascita della Comunità Europea, va ricordato che in Italia, già negli anni ’10,    la questione  Europa era posta da un  liberale, Einaudi (futuro Presidente della Repubblica), e da un socialista non marxista di rilievo, G.E. Modigliani (esecrato da Lenin già a quell’epoca, e dagli anni ‘40 messo all’indice dai comunisti). Poi, nel 1941 a Ventotene tre confinati oppositori al fascismo, Colorni, Rossi e Spinelli, redassero in forma organica un Manifesto per sostenere l’unificazione federale dell’Europa. In particolare  illustrarono il perché in futuro   “la linea di divisione fra i partiti progressisti e partiti reazionari cadrà non lungo la linea formale della maggiore o minore democrazia, ma lungo la nuovissima linea che separa coloro che concepiscono, come campo centrale della lotta, le forme del potere politico nazionale e quelli che vedranno come compito centrale la creazione di un solido stato internazionale come strumento per realizzare l’unità internazionale.       

Finita la Guerra, l’idea di fare l’Europa crebbe,  ma il Manifesto di Ventotene restò lettera morta. In Italia Einaudi scrisse nella primavera 1948 che “il solo mezzo per sopprimere le guerre entro il territorio dell’Europa è di imitare l’esempio della costituzione americana del 1788, rinunciando totalmente alle sovranità militari, al diritto di rappresentanza verso l’estero ed a parte della sovranità finanziaria”. Lungimirante ma allora solitario. Nel maggio 1950,  il tema  venne rilanciato dal  Ministro degli Esteri francese Schuman,  cattolico, che propose di integrare le industrie del carbone e dell’acciaio. Un’impostazione tradizionale, anche se nel testo illustrativo aperta  alla convinzione che ” l’Europa non sarà costruita tutta insieme;  sorgerà da realizzazioni concrete che creino anzitutto una solidarietà di fatto“.

In ogni modo, l’anno successivo sei stati (Belgio, Francia, Germania Occidentale, Italia , Lussemburgo, Olanda) realizzarono questa proposta (CECA). Però nei quattro anni seguenti, non si sviluppò la convinzione espressa nel piano. Non solo la CECA rimase settoriale ma in più venne perseguita la strada  tradizionale di dar vita alla Comunità Europea di Difesa, CED, ancor più legata agli Stati esistenti (nonostante De Gasperi  tentasse di allargarne struttura e compiti). CECA e CED si richiamavano alle pratiche istituzionali decise dalle diplomazie che disponevano sul modo d’essere dei contraenti, talvolta introducendo embrioni di organi sovranazionali, però sempre al di fuori dalle scelte dei cittadini. Dunque assai distanti dal federalismo americano esistente da  170 anni. Nel 1954 il tentativo della CED fallì perché il suo  statuto non fu ratificato dalla Francia e di conseguenza dall’Italia.  

La costruzione dell’Europa iniziò con il Ministro degli Esteri liberale Gaetano Martino che  riunì la Conferenza di Messina con gli altri cinque Ministri degli Esteri della CECA ( giugno 1955) e dopo tre giorni di confronti tesi, ottenne una dichiarazione improntata ad una logica differente da quella federalista usuale, perché indicava un’Europa dei cittadini che iniziava dalla vita economica quotidiana. Questa linea portò nel 1957 ai Trattati di Roma della Comunità Economica Europea (firmatari i sei paesi della CECA) e in parallelo dell’Euratom, con un’impostazione che richiamava l’esperienza della Dichiarazione di Indipendenza del 1776, addirittura  con una consapevolezza maturata nel frattempo: quella del procedere a passo a passo sulla strada della libertà dei cittadini europei (la disposizione specifica per l’elezione diretta dell’Assemblea Parlamentare venne realizzata nel 1979). L’art. 2 del Trattato scriveva “La Comunità ha il compito di promuovere, mediante l’instaurazione di un mercato comune e di un’unione economica e monetaria e mediante l’attuazione delle politiche e delle azioni comuni di cui agli articoli 3 e 4, uno sviluppo armonioso, equilibrato e sostenibile delle attività economiche, un elevato livello di occupazione e di protezione sociale, la parità tra uomini e donne,……”. 

Insomma, i Trattati di Roma sono una cosa ben diversa dal Manifesto di Ventotene. Soprattutto nel metodo dell’operare politico. Non arrivarono a porsi  il problema della rinuncia immediata alle sovranità da parte dei contraenti ma innescarono meccanismi di libera circolazione che potenziassero al massimo le relazioni tra cittadini, non solamente economiche, e nella sostanza introdussero la necessità del tempo per consentire ai cittadini di assuefarsi ai cambiamenti  Procedere appunto a passo a passo sulla strada della libertà dei cittadini europei.

Viceversa l’Europa sognata a Ventotene era in chiave socialista nella convinzione passatista  che la “rivoluzione europea dovrà essere socialista” eche “la metodologia politica democratica sarà un peso morto nella crisi rivoluzionaria…..Attraverso questa dittatura del partito rivoluzionario si forma il nuovo stato e attorno ad esso la nuova democrazia”.  Non a caso , prima e dopo i Trattati di Roma, il PCI attaccò in modo furibondo in Parlamento la prospettiva dell’Europa e continuò  a farlo per un ventennio. Finché il successo del costruire la Comunità, in termini economici e politici nel coinvolgere i cittadini, indusse i comunisti a mutare posizione , iniziando a diffondere l’abbaglio dell’Europa nata a Ventotene. Nonostante  la storia vera fosse un’altra.

I problemi per lo sviluppo coerente dei Trattati di Roma sono iniziati dopo la caduta del muro di Berlino (novembre 1989) e si sono manifestati dal Trattato di Maastricht (febbraio 1992) in poi. I paesi aderenti – inebriati come gli altri di Occidente per la sconfitta dell’ Impero Russo –  in superfice fecero passi avanti apportando ai Trattati le modifiche indispensabili per cambiare il nome da CCE in Unione Europea, per Istituire la cittadinanza europea, per rafforzare il Parlamento europeo, per varare l’unione economica e monetaria, premessa della moneta unica, per  avviare il Sistema europeo di banche centrali e per mantenere l’obiettivo di  “un’unione sempre più stretta tra i popoli dell’Europa”.  Tuttavia lo fecero potenziando la struttura burocratico istituzionale a livello europeo piuttosto che allargando il ruolo e il peso dei cittadini europei, come era avvenuto negli Stati Uniti. 

Il  trattato di Maastricht si basò su un quadro istituzionale unico, composto dal Consiglio degli Stati membri, dal Parlamento, dalla Commissione, dalla Corte di giustizia e dalla Corte dei conti. Inoltre istituì anche un Comitato economico e sociale e un Comitato delle regioni, ambedue con funzioni consultive. E intese pure svolgere una politica estera e di sicurezza comune e una cooperazione in materia di giustizia e affari interni. Peraltro tutti questi organismi non venivano  dal voto della cittadinanza europea  ma dagli accordi e dalle nomine  dei tavoli interstatali nonché dalle scelte politico diplomatiche  della Commissione e dalla scelte gestionale dei funzionari di Bruxelles.

Progressivamente si consolidò  la tendenza a costruire un’UE sul modello  tradizionale degli Stati di potere di una volta, restii a valorizzare i giudizi e gli indirizzi dei cittadini (infatti, nella UE,  il solo organo votato dai cittadini è il Parlamento, al quale tuttavia sono assegnati poteri assai limitati e che non governa). Rapidamente si abbandonò la rotta tracciata dalla Dichiarazione di Indipendenza e dalla Costituzione degli Stati Uniti. Una dozzina di anni dopo Maastricht,  In linea con tale abbandono, erano già almeno tre i punti di regresso in rapporto al peso della cittadinanza europea (e quindi di allontanamento dalla rotta della Dichiarazione di Indipendenza).

La corsa a far entrare nuovi membri nell’UE, che dai dodici di Maastricht nel 2004 erano divenuti il doppio esatto (negli Stati Uniti occorsero 47 anni per  raddoppiare i membri della Federazione, da tredici e ventisei), il che era frutto della frenesia di mostrarsi capaci di attrarre (e quindi potenti), anche senza valutare prima a fondo la situazione politico istituzionale del richiedente. 

Una moneta, l’Euro, introdotta nel Trattato di Maastricht quale traguardo da raggiungere nel rispetto di Criteri di Convergenza previsti nello stesso Trattato. A parte che il traguardo non è obbligatorio (la Danimarca si chiamò subito fuori), la stortura consiste nel fatto che i Criteri non indicano alcuna procedura  per  dotarsi  della medesima struttura fiscale e neppure per creare un mercato europeo dei capitali.  Senza la medesima struttura fiscale, la moneta unica è una costruzione artificiale senza anima di libertà civile. E purtroppo ancor oggi nel 2024, la struttura fiscale europea non c’è e i membri UE aderenti all’Euro non sono neppure i tre quarti di tutti gli aderenti. 

L’atteggiarsi dell’UE e delle grandi catene di comunicazione    come se l’UE fosse già uno Stato sovranazionale, mentre non lo  era e per più versi. Anzi, la mentalità che ne derivava faceva danni anche a livello della politica nazionale, siccome induceva nei rispettivi cittadini una sensazione di intenti oppressivi da parte delle strutture dirigenti dell’UE.

Questi tre punti di regresso non riregredirono nel quinquennio seguente. Prevalse l’approccio legato alle cancellerie degli Stati membri e delle burocrazie di Bruxelles, che tentò senza riuscirvi  di fare modifiche ai Trattati  con una nuova Costituzione UE in linea con gli indirizzi di Maastricht. Questo approccio venne sconfitto in due referendum in Francia e in Olanda. Allora, si ripiegò su un nuovo Trattato a Lisbona (entrato in vigore a novembre 2009) ,  nel quale restarono due indirizzi di Maastricht disattenti al coinvolgere i cittadini. Uno, l’estensione del ricorso alla votazione a maggioranza qualificata in seno al Consiglio Europeo. E due, far divenire il Consiglio europeo un’istituzione a pieno titolo con un proprio presidente. In pratica, un abbandono sempre più chiaro dell’UE dei cittadini per rafforzare quella degli Stati e degli accordi tra di loro.

Di fatto, lo sviluppo dell’UE iniziò a frenare ,  volgendo al ribasso (oggi il declino dell’UE è comprovato dai numeri, anche se si tenta invano di negare). E’ una prova che non potenziare il ruolo dei cittadini e la loro autonomia, fa  diminuire  i risultati assicurati dall’adottare la libertà dei cittadini avviata dalle istituzioni degli Stati Uniti a partire dal 1776. Ed è una chiara conferma della forza della libertà.

6.3. La libertà imperiale estranea allo spirito del 1776. Quanto alla seconda conferma della supposizione espressa alla fine del paragrafo 6.1. circa il ruolo essenziale della libertà dei cittadini nel governare, è bene riflettere sul fatto che, nell’ultimo quindicennio, la linea politica seguita sia nell’UE sia nel prevalente approccio in occidente, ha mancato di rispetto ai  fondamentali caratteri delle loro istituzioni.

6.3. a Il mancato rispetto nell’UE – Per quanto attiene all’UE, oltre al fattore negativo del completo disinteresse fino ad oggi verso il dare più peso ai cittadini nella presentazione delle liste elettorali europee e nella rappresentanza Parlamentare – e già non è poco – nei primi due terzi di questo periodo le strutture europee sono state prese dall’urgenza ossessiva di somministrare la ricetta dell’austerità nei casi di bilanci in disordine. Una ricetta sbagliata, che ha preteso di risolvere il problema, restringendo la libertà economica del paese interessato. In pratica peggiorando la condizione economica. In effetti, i conti in ordine sono necessari in una convivenza. Ma non per imporli a un certo Stato, bensì per attivare in quello Stato il dinamismo economico degli scambi.

Invece l’austerità proseguiva sulla linea iniziata a Maastricht, della rigidità delle cose da fare prescritta da chi stava più in alto nell’Unione, con il forte rischio di essere stupida nel concreto. Un atteggiamento che finisce per essere incompatibile con l’innovazione sperimentata  frutto dei liberi confronti tra una varietà di proposte sul libero mercato e dell’applicazione di una fiscalità flessibile in ambito UE. Nonostante la proterva sicurezza degli alti gradi, l’austerità ha prodotto risultati restrittivi in campo economico, oltretutto con riflessi frequenti (talvolta pesanti) nelle relazioni democratiche. Da un certo momento, l’austerità è stata  fronteggiata con il sostegno, fino a quanto fosse necessario, del sistema della BCE, che nella gestione dei fondi introdusse il realismo aperto in grado di evitare le peggiori gelate nelle relazioni civili indotte dall’austerità. E negli ultimi anni, in occasione della pandemia COVID, la nuova Presidente della Commissione mise da parte l’austerità e adottò la politica  dei fondi europei comuni per aiutare tutti i membri dell’Unione di fronte all’emergenza sanitaria. Una svolta nell’ottica di riallinearsi alle finalità di un’Europa attenta ai cittadini.  

Tuttavia, l’epoca dell’austerità ha lasciato una sua traccia permanente in un  organismo quale il Meccanismo Europeo di Stabilità, MES, estraneo per natura al diritto UE. Di fatti, in certe particolari condizioni di bisogno, un ruolo di assoluto rilievo nel negoziare i prestiti è affidato un organo a tre, la Commissione UE, la BCE e il Fondo Monetario Internazionale, dei quali già la BCE non è un organo interno dell’UE  e il FMI è addirittura fuori dall’Europa. Perciò il MES  è nella sua struttura, senza dubbio, un organo  assai lontano dai cittadini. E il fatto stesso che il MES, nell’epoca d’oro dell’austerità, sia stato approvato dal Parlamento Europeo e dal Consiglio Europeo, conferma la forte disattenzione esistente  al tema spirito del 1776. Inoltre fa capire la sostanziale inadeguatezza   della attuale riforma del MES in corso e che l’Italia non vuole approvare senza che il MES sia modificato. Oltretutto la disattenzione allo spirito del 1776 non si limita neppure al MES. Il sistema UE prevede anche la possibilità che il Consiglio d’Europa partecipi all’elezione del Presidente della Commissione UE. Il che è un’ulteriore potenziale contraddizione con il criterio di far compiere le scelte UE ai cittadini invece che alle burocrazie   autoreferenziali europee.  

6.3. b Il mancato rispetto da grandi attori – La mancanza di rispetto ai  fondamentali caratteri delle libere istituzioni edificati alla fine del ‘700, emerge chiara anche dall’esame della politica seguita nell’ultimo quindicennio da attori di gran rilievo in occidente, quali la NATO e diversi paesi protagonisti dell’agire politico. Già nel periodo dopo Maastricht era venuta fuori la tendenza della NATO a marciare in proprio (mentre all’epoca esistono numerose testimonianze dei leader  degli Stati, secondo cui lo scioglimento nel 1991 del Patto di Varsavia, aveva fatto promettere dall’Occidente che la NATO, anche se fosse restata in vita, non si sarebbe mai più  espansa né cercato di farlo). Negli anni, la marcia  in proprio si è  irrobustita  nel sottofondo, ma la svolta c’è stata con la segreteria Stoltenberg (2014). Non solo la NATO si è espansa verso l’est Europa, ma in Ucraina si è impegnata sempre più nel sostegno agli ucraini avversari della Russia, contribuendo a far sì che non rispettassero il Trattato di Minsk2 da loro firmato  ad inizio 2015 insieme a  Russia, Francia e Germania, il cui punto centrale era l’obbligo per l’Ucraina di fare una riforma costituzionale che concedesse l’autonomia alle sue regioni orientali (i separatisti del Donbass e del Lugansk). La NATO  soffiò sul fuoco perché ciò non avvenisse, riuscendo nell’intento. Tanto che, quando l’Ucraina cambiò la Costituzione, non adempì all’obbligo. Intanto, gli stessi ambienti appoggiarono la candidatura dell’attore Zelensky (divenuto noto dopo il 2015  per una serie TV  in cui faceva la parte di Presidente dell’Ucraina, serie poi premiata negli USA e in Germania). Con una campagna di quattro mesi, la candidatura di Zelensky  ebbe successo nell’aprile 2019 (il suo nuovo gruppo sfiorò la metà dei voti) e subito il neo eletto sciolse il Parlamento .

Il neo Presidente  intensificò ancora i rapporti con gli Stati Uniti con la richiesta di fare ingresso nella NATO. Poco prima di Natale del 2021, Zelensky accusò un oligarca ucraino di aver pianificato , con l’appoggio di Putin, un colpo di Stato contro di lui; gli accusati lo smentirono duramente, controaccusandolo di preparare un attacco alle regioni orientali del paese, russofone, e di coltivare in patria metodi neonazisti. Le continue tensioni proseguirono all’inizio 2022 , nella convinzione di Zelensky  che fosse un’isteria di massa pensare ad un’invasione russa. Però il 21 febbraio Putin riconobbe l’indipendenza dei territori separatisti (quelli ai quali l’Ucraina avrebbe dovuto dare l’autonomia in base al Minsk2) e  autorizzò una missione in quei territori per garantire le popolazioni russofone. Il 22 febbraio, le truppe russe occuparono i territori indipendenti. Due giorni dopo, Zelensky invitò i cittadini russi a dissentire apertamente contro la missione di Putin.

Da allora gli scontri armati tra russi ed ucraini, parzialmente estesi al territorio ucraino, sono proseguiti senza tregua. Oggettivamente ciò è stato possibile solo per l’enorme impegno della NATO, dell’UE (spinta dagli Stati baltici conoscitori del significato di subire il “pacifico” dominio dell’autocrazia russa), degli Stati Uniti, dell’Inghilterra, del Canadà nel dare sostegno militare ed economico all’Ucraina e alla politica del Presidente Zelensky. Non solo. Questo enorme impegno, mediante le note sanzioni alla Russia, ha anche tentato di isolare la Russia e di metterne sia in difficoltà l’economia che la capacità in campo militare. Dopo due anni, va definito un tentativo non riuscito. Non solo la Russia è a giugno 2024 la quarta economia al mondo quanto a parità di potere d’acquisto, ma la pressione dell’Occidente ha indotto la Russia a stipulare grossi accordi internazionali per forniture di armamenti e anche a stringere patti di reciproca  difesa con altre autocrazie (innazitutto dalla Cina, dall’Iran  e, come non avveniva da due decenni, dalla Corea del Nord). Per di più la politica delle sanzioni alla Russia non è stata condivisa da oltre i 3/5 dei paesi del mondo e di fatto ha mostrato il sostanziale isolamento dell’Occidente nel lanciare fulmini contro la Russia. In aggiunta, purtroppo, i mezzi di comunicazione sguazzano nell’evocare i complotti dei nemici, raccontando di Zelensky che, nella surreale recente riunione in Svizzera per la pace, afferma che il Trattato di Minsk2 fu una pausa voluta da Putin per preparare l’invasione del 2022. Insomma,  la politica NATO non ha centrato gli obiettivi e i mezzi di comunicazione lo velano.

Un simile stato di cose, contrasta in radice con lo spirito del 1776 e la sua capacità di agire sperimentata in quasi due secoli e mezzo. Si badi bene. Di questo stato di cose non si può farne una colpa agli Stati governati dall’autocrazia, perché per loro è fisiologico contrastare ovunque gli Stati liberi,  ricorrendo alla disinformazione sistematica dei cittadini e talvolta alla forza militare . Il problema è costituito dai comportamenti incoerenti dell’Occidente. Il fattore distintivo dell’Occidente è porre prima di tutto la libertà del cittadino individuo , ciascuno diverso e con gli stessi diritti legali, che esercita di continuo il proprio spirito critico per aumentare la conoscenza. Di conseguenza, la libertà occidentale è fondata sui continui scambi di idee e di iniziative tra cittadini diversi.  Tale  concezione della libertà aperta, nulla ha a che vedere con la concezione alternativa della libertà di tipo imperiale, che vuole l’unità del potere e rifugge la diversità del vivere.

La libertà dell’Occidente è consapevole che esistono ed esisteranno autocrazie dedite a bandire la libertà dei cittadini dalle proprie istituzioni. Ma dovrebbe essere altrettanto consapevole che la pretesa di eliminare quelle autocrazie trasformerebbe la libertà degli scambi in una libertà imperiale, che rinnega la sua stessa essenza. La libertà fondata sugli scambi è connessa strettamente al praticare il sistema della concorrenza garantendolo in ogni occasione. Ne consegue che nei paesi occidentali, e in specie l’UE nata sul ruolo affidato al cittadino, gli interventi istituzionali vanno concepiti come un correttivo – soggetto alla valutazione elettorale – quando si formano nodi provocati dall’insufficiente funzionamento del criterio scambi così come del criterio concorrenza nel meccanismo della libertà tra i cittadini individui (nodi che, se non corretti, porterebbero ad un insufficiente grado di libertà per il cittadino, fisica e spirituale).

Allora è una grave contraddizione con lo spirito del 1776, violare apposta il criterio degli scambi in nome di principi che privilegiano un’imposizione ideologica piuttosto che il realizzarsi degli scambi.  Ad esempio, è stato un errore grave la propensione espansiva della NATO acutizzatasi nell’ultimo decennio e focalizzatasi nella presenza in Ucraina volta a sollecitare le tensioni con la Russia (pericolose proprio perché paese autarchico). E ora sarebbe molto sbagliato non rispettare i tempi previsti per l’ingresso nell’UE in modo da potere accelerare l’ingresso dell’Ucraina (oltretutto un paese discusso in tema del praticare la libertà nelle relazioni interne).

7 . L’insegnamento permanente della Dichiarazione di Indipendenza  – E’ opportuno ripensare spesso alla Dichiarazione di Indipendenza. Ha dato per prima solide indicazioni, organiche e concrete, per sviluppare l’utilizzo della libertà del popolo, estendendolo dal livello del singolo cittadino – dove già si era insediata con il ‘600 inglese e con l’illuminismo – ad istituzioni composte o solo da molti cittadini nello stesso territorio oppure da una federazione di altre istituzioni di cittadini ciascuna in territori più limitati e contigui, dotate di un ordinamento omologo.

In questo articolo ho indicato via via i punti essenziali di tali indicazioni. I  cinque cardini della Dichiarazione di Indipendenza che ho descritto al paragrafo 3, indicano il fulcro del meccanismo (in costante aggiornamento) per poter convivere in condizioni aperte e reciprocamente rispettose. L’esperienza sul campo fatta  da quell’epoca prova che lo sono ancor oggi, in misura certo non inferiore. Ecco perché sono preoccupanti i numerosi sintomi di indebolimento di importanti istituzioni messi in evidenza e che coinvolgono il clima politico culturale, non solo i meccanismi istituzionali.  

Nel settore del clima politico culturale, il sintomo di indebolimento più inquietante  è l’attitudine di gran parte dei mezzi di comunicazione. Invece di  svolgere la loro funzione di fornire ai cittadini notizie verificate, sono dominati dall’ossessione di anticipare le notizie. Con tale vincolo, esercitano un mestiere non loro. Trascurano i fatti per sostituirli con previsioni costruite solo sulla propaganda di moda al momento e sugli interessi dell’editore. Comportarsi così, in una democrazia imperniata sulla libertà individuale,  arreca un danno assai forte ai meccanismi del libero convivere. Perché il libero convivere si fonda sulle contrapposte valutazioni fatte dalla miriade di individui tra loro differenti in base alla realtà così come osservata. E queste valutazioni vengono distorte in modo duro quando, dai mezzi di comunicazione, non emerge la realtà quale è. Insomma quando, invece della realtà, si mostra un palcoscenico dove ogni cosa è un artificio. Una messa in scena che esprime l’ideologia che suppone una vita immobile sui modelli di qualcuno o qualcosa (situazione perfino agevolata dal pur sacrosanto uso dell’Intelligenza Artificiale, che quindi implica ulteriori riflessioni).  In ogni caso un’ideologia irreale e opposta a quanto ha insegnato la Dichiarazione di Indipendenza.

I sintomi di indebolimento nel settore dei meccanismi istituzionali sono vari. La devastante accresciuta attenzione per la libertà imperiale al posto della libertà degli scambi; la pretesa, secondo le circostanze, di ridurre la democrazia libera, che è indivisibile, soltanto alla politica oppure soltanto all’economia; l’ancor vasto propendere ad affrontare i problemi della democrazia in termini di  valori emotivi e non di conflitto nelle regole tra progetti espressione della libertà dei conviventi; l’ignobile esaltazione antiisraeliana pressoché ovunque radicata, anche ai vertici dell’ambiguo ONU, che aiuta chi vuol eliminare quello Stato violando i principi di rispetto per gli altri umani, e che ha impedito agli ebrei la presenza al Gay Pride 2024 fingendo di non sapere che i gay dalla Palestina si rifugiano in Israele; la “cancel culture” dilagante in paesi importanti,  che rifiuta nel profondo la natura delle cose per celebrare il ritorno alla tradizione del libro sacro e per non tener conto del tempo che passa; l’insistenza nello scegliere sistemi di etichettatura alimentare a semaforo per dare presunte indicazioni salutiste sul cosa mangiare, procedura che equivale al premere per l’abbandono del criterio usato da ogni cittadino sulla base di consolidatissime tradizioni culturali e locali;  il demagogico diffondere il principio dell’uguaglianza degli esseri umani non circoscritta ai diritti legali individuali, creando così una luminosa speranza che nega la realtà e che pratica l’assistenzialismo prodromico all’ appiattire invece dell’aiuto ai più deboli che assicura la possibilità di esprimere il proprio contributo individuale.

Sono tutti sintomi di indebolimento nel richiamare gli insegnamenti dei documenti fondativi gli Stati Uniti. Che si è tradotto nel relegare assai indietro il tema del mantenere  libero il complesso  delle relazioni nei rapporti tra i cittadini conviventi. Dato da cui nell’UE – già predisposta per un retaggio tradizionale e variegato nelle radici – è derivato il sostanziale insabbiarsi della produttività in senso lato, culturale ed economico. Perché la produttività è principalmente spinta dalla libertà attiva tra i cittadini (che per esprimersi davvero ha bisogno di un ordine del convivere organizzato con il fine della libertà mediante i confronti tra i progetti individuali e non con quello dell’ingabbiarla nell’illusoria certezza di parole d’ordine da perseguire). Ebbene, tale insabbiamento è pernicioso. Fin dall’epoca iniziale del Medioevo con il rattrappirsi della circolazione dei traffici nel Mediterraneo e l’affermarsi della guerra santa islamica, è sempre accaduto che il contrarsi del relazionarsi inibisce la crescita successiva e favorisce progettualità alternative di altri.

Ora il concetto stesso di libertà imperiale è una contraddizione in sé. Poiché la libertà indica  l’imperniarsi sui liberi contributi diffusi per conoscere di più, per produrre e creare nuovi equilibri complessivi nel tempo, mentre imperiale indica la precisa volontà di proseguire l’esercizio del potere esistente e ritenuto un ordine saggio in mano ad alcuni gruppi supposti un’élite affidabile invece che alla libertà dei cittadini, quasi il tempo non ci fosse. Insomma, l’inclinazione alla libertà imperiale è stata in sé  una malattia grave in quanto ha messo da parte lo spirito del 1776. Con  una conseguenza ancora più grave, anche se scontata. La pratica della libertà imperiale non è stata in grado di far espandere l’Occidente, di fatto rinchiudendolo nei suoi confini in relazione  al resto del mondo.

Non è finita qui. In questi anni, e in specie di recente,  il resto del mondo non è rimasto a guardare stando fermo. Soprattutto le autocrazie più grandi  non hanno usato per affermarsi il loro status, hanno preso iniziative concrete in molte zone della terra (di tipo economico e di tipo militare) e hanno dedicato risorse nonché cervelli alle nuove tecnologie, in aspetti strumentali essenziali  per l’innovazione (quali i semiconduttori). Per loro è agevole comportarsi così, appunto perché, essendo autarchie, non hanno il problema  né se lo pongono di rapportarsi con i loro cittadini autonomi, siccome il gruppo dirigente decide tutto e ritiene di esserne in grado.

Inoltre tra gli Occidentali sussiste una differenza. Che nella loro storia gli Stati Uniti, proprio perché seguaci dei loro documenti costitutivi, sono stati finora capaci di fare la cosa giusta dopo aver commesso moltissimi errori, mentre l’UE non ha esibito la stessa caratteristica. Quasi dimentica delle proprie origini, l’UE si  mostra oggi indebolita, fragile ed incline ad essere un subsistema americano contrapposto all’autocrazia vicina per territorio. Così l’UE, in diversi settori economici, è in ritardo sia rispetto agli Stati Uniti predominanti sia rispetto all’attivismo propulsivo delle autocrazie. Il modo che ha scelto per reagire al problema – attuando strategie difensive e meramente protezioniste –  è per natura inadatto a vincere. L’UE deve piuttosto adottare lo spirito libero del 1776, aprendo alle idee innovative e coinvolgendo i cittadini su norme adatte alle  aziende tecnologiche e al loro espandersi, anche attraverso adeguati partenariati internazionali. Pure gli Stati Uniti  devono riscoprirlo lo spirito libero del 1776.

Viceversa l’Occidente nel complesso non sta percorrendo questa strada. Anzi procede al contrario. Dal 2017 al 2022 (ultimi dati disponibili) in Occidente l’intervento dello Stato per indirizzare l’economia è cresciuto di sette volte  e così ha raggiunto un livello assai più alto di quello nelle altre aree mondiali (di fatto da 11 a 60 volte  secondo l’area paragonata). Siccome l’intervento dello Stato distorce la concorrenza a livello internazionale danneggiando gli Stati con bilanci meno robusti, ciò chiarisce il motivo per cui l’Occidente  è in forte difficoltà nello stringere amicizie con Paesi del cosiddetto Sud.

L’Occidente dovrebbe sempre privilegiare gli scambi, non le barriere, dato che la libertà punta al multilateralismo tra i singoli soggetti e non alle dogane. L’Occidente dovrebbe sempre privilegiare anche l’altro più nascosto aspetto costitutivo del 1776, il tempo reale che passa. Peraltro per la ragione opposta a quella di allora.

Allora, prima della Dichiarazione di Indipendenza, la cultura prevalente tendeva a non considerare il tempo congelandolo nell’eterno. Oggi, al contrario, ci si illude che la vita acceleri e che i fatti siano più veloci, ragion per cui si crede che il tempo aumenti il suo ritmo. Discende da qui l’accettazione passiva dell’informazione inflazionata e l’abitudine ai frettolosi giudizi estremizzati. Però si tratta di una mera illusione.  Nella concretezza del corpo umano, i ritmi del tempo sono immutati. Il fondamentale esercizio dello spirito critico individuale non è accelerabile (al di là delle differenze funzionali tra gli individui). Ugualmente non è accelerabile il tempo di modifica delle caratteristiche della struttura umana. Che, si badi, richiede una fase più lunga rispetto al tempo  di aggiornamento delle istituzioni del convivere (un riscontro è che l’istinto alla violenza nelle persone umane resta radicato quale residuo di comportamenti ancestrali, mentre nelle istituzioni è nel complesso in fase di avanzata riduzione). Siccome in apparenza sembra il contrario, l’ampia corrente di chi non apprezza i documenti costitutivi statunitensi, pensa sia possibile mutare a piacimento  le istituzioni secondo il volere dei potenti e non secondo  le scelte maturate dai cittadini. Ma l’esperienza  non funziona così.  

In generale, lo spirito del 1776 serva a guardare avanti, non a celebrarlo.

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