Nel quadro del Green Deal, la Commissione europea si impegna a riformare il regolamento Fronte-pacco (1169/2011) per garantire ai cittadini una dieta più sana e sostenibile. Per la Commissione è urgente intervenire con politiche pubbliche per ridurre la cattiva nutrizione, l’obesità e le patologie a essa legate. Tra le proposte avanzate vi è la controversa introduzione di un sistema armonizzato di etichettatura dei prodotti, in particolare del Nutriscore (che qui non descrivo ma rimando a siti dedicati). Questo sistema a semaforo non è efficace ed è pericoloso perché riduce la libertà individuale, inibisce il senso critico e le conoscenze e minaccia uno dei fattori cardine dell’evoluzione e dello sviluppo: la diversità.
Vale la pena ricordare che non esiste studio scientifico che ne dimostri l’efficacia. Per questo, accetto solo e parzialmente l’obiezione per cui è poco diffuso. Al contrario, abbiamo una serie di solidi argomenti scientifici che dimostrano l’inefficacia dell’algoritmo su cui si basa il Nutriscore (tutti disponibili online). Mi basta segnalare che il Nutriscore è progettato per ridurre l’obesità, ma non ne considera le cause. Infatti, si limita a indirizzare il consumatore a ridurre alcuni nutrienti (grassi saturi, sale, e zucchero), e favorirne altri (proteine, vitamine, etc.). Questi però non sono la causa dell’obesità – grassi e zuccheri sono fondamentali in una dieta bilanciata – che va ricercata nel DNA, metabolismo, stile di vita, uso di farmaci, etc. L’obesità e la cattiva alimentazione sono riconducibili all’individualità della persona, che invece il Nutriscore ignora – non potrebbe essere altrimenti – e pretende di indicare a tutti ciò che fa bene o fa male.
Qui sta il problema. Il Nutriscore manca di base sperimentale. Al contrario, la scienza è strumentalizzata per imporre un’idea fissa e determinare cosa è giusto o sbagliato. Siamo nella cornice di uno Stato totalitario, in cui un gruppo di scienziati-sacerdoti, evitano di sperimentare, ma proseguono ciecamente sulla loro strada manichea. Non a caso è stato inventato in Francia (seppure sul semaforo britannico che però non è obbligatorio). Questo modello fisso, il cui algoritmo è modificato solo per ragioni politiche, è progettato per indirizzare il consumatore a comportarsi affidandosi ciecamente alle linee guida dello Ente etico superiore e supremo e all’uso ideologico della scienza (da parte degli scienziati eletti). Si tratta di un evidente indebolimento della libertà di scelta. Questa si fonda sul senso critico e quindi sulle conoscenze necessarie a compiere scelte consapevoli. Dovrebbero preoccuparsene anche i socialdemocratici che si battono per un’emancipazione delle masse attraverso l’educazione. Qui è lo Stato che sceglie per conto dei consumatori. Lo Stato liberale dovrebbe invece mettere il consumatore, attraverso l’educazione alle conoscenze, nelle condizioni di scegliere consapevolmente.
Disconoscendo la diversità individuale, il Nutriscore finisce per abiurare la sana concorrenza. Imprese e imprenditori alimentari sono forzati a inseguire l’algoritmo per non perdere quote di mercato. Al di là delle pratiche scorrette (già in atto e per cui qualche Autorità regolatoria dovrebbe intervenire), si finisce per abbandonare le differenti ricette locali (ritenute non sane dai sacerdoti della scienza) per inseguire una generale omologazione alimentare. È stata definita come l’iPhonizzazione alimentare, cioè la ricerca di una dieta universale, che va bene a tutti, ovunque. Va bene soprattutto ai grossi gruppi che, in barba alla concorrenza, possono permettersi di inseguire economie di scala e economie di locazione. Non fa bene alle piccole e medie, non solo italiane, ma di ogni dove.
Non insisto oltre, ma rimando ai lavori sulla dieta personalizzata che smontano alle fondamenta la necessità del Nutriscore
E’ molto interessante il serrato dibattito che si sta svolgendo su La Nazione-Il Telegrafo circa i due interventi del Vescovo a proposito della politica livornese e le successive repliche molto accorate fatte distintamene da due personalità PD delle istituzioni (che si dichiarano cattoliche) e poi da un altro cattolico impegnato in politica. Interessante ma tenuto dagli intervenuti del tutto fuori del confronto su tematiche civili. Per il semplice motivo che il Vescovo ha tutto il diritto di dire quello che vuole (siccome in Italia esiste la libertà di culto e lui è un ministro della fede) ma per il suo stesso ruolo non ha altro titolo per intervenire quale soggetto attivo sulle decisioni in merito alle relazioni del convivere. Viceversa il Presidente del Consiglio Comunale, il Presidente del Gruppo PD nella medesima Assemblea e l’altro cattolico figlio d’arte, attribuiscono alle parole del Vescovo il valore di giudizio politico criticandole appunto nel merito politico.
Un comportamento simile costituisce una ferita grave ai rapporti democratici. Aggravata per di più da un’insistenza che pare perfino coordinata al fine di segnare un privilegio per i cattolici. Prima di tutto perché fuoriesce dal perimetro della Costituzione (art. 3 comma 1) e inoltre perché crea confusione tra il dibattito all’interno del mondo dei credenti cattolici e quello quotidiano fra tutti i cittadini, cattolici e non, impedendo di conseguenza la chiarezza del confronto sui temi concreti nelle relazioni di convivenza tra diversi. Oltretutto, si tratta di una ferita che produce effetti perversi anche sul terreno degli abituali schieramenti politici, in quanto fa trasparire la volontà di imporre le proprie idee tramite il conformismo pubblico, il che fa schierare all’opposto tutti coloro che al conformismo non sono favorevoli. Così criticare il Vescovo per le sue aperture all’on. Salvini (espresse fin dal 2018), è un’indebita miscellanea religioso politica che fa indignare anche i liberali, i quali della Lega sono avversari da decenni.
Nel complesso, quando è garantita la libertà di religione, del dibattito civile non deve far parte il personale credo religioso , pena il far regredire la convivenza ad un livello istituzionale assai arretrato. Il che, in un mondo alle prese sul come affrontare le tangibili sfide sempre nuove all’autonomia del cittadino, è un lusso che non. ci possiamo permettere.
Ho letto solo stamani (ieri il file non si apriva) la risposta che hai dato a Luca Mercalli. La trovo molto centrata. Mercalli sarà un anche un bravo climatologo ma perché ne conosce le tecniche, non perché abbia compenetrato il senso dello sperimentare. Tanto che è assillato dall’imporre le proprie convinzioni a prescindere dal coglierne gli effetti nei vari campi. Anzi, questo suo modo di comportarsi, che ha molto poco dello scientifico, mi fa sorgere forti dubbi anche sulle sue capacità di climatologo (e infatti nel settore non tutti condividono le sue posizioni). Meno male che La Stampa ha pubblicato la tua ficcante risposta, cosa non ovvia visto lo spazio e la prontezza con cui di solito vengono appoggiate le varie pulsioni illiberali. Mi fa particolarmente piacere, dato che secondo me, propagandare le tesi impositive senza riguardo per l’efficacia dei loro risultati, è al giorno d’oggi il maggior pericolo per la libertà dei cittadini in Occidente.
Commento alla lezione di Roberto Valeri sul tema “Che cos’è il tempo secondo la fisica moderna” organizzato dall’Associazione Nonno Point a Livorno giovedì 25 maggio
Questo dibattito ha avuto il merito di riflettere sul concetto di tempo, questione che ritengo essenziale. Eppure la mia conclusione è un po’ diversa di quella del conferenziere. Per illustrare questa diversità, parto da un indizio nel sommario che c’è sull’invito al dibattito e poi da ulteriori indicazioni nei cinque interrogativi sottostanti.
L’indizio sta nella frase “Nella fisica classica il tempo è un dato immutabile indipendente da ogni fenomeno fisico”, frase che vien contrapposta alla situazione nella fisica moderna. A me pare invece che la contrapposizione sarebbe esatta (in quanto non variamente interpretabile) se il testo fosse “nella misurazione della fisica moderna il tempo dipende da ogni osservatore”. Perché mutare la seconda parte della frase (circoscrivendo l’indipendenza alla misura dell’osservatore) la fa divenire conforme ai dati sperimentali ( e quindi consente di rispondere correttamente anche ai successivi cinque interrogativi), mentre il suggerire che nella fisica moderna il tempo non sia indipendente da ogni fenomeno fisico (perché dipendente da ogni osservatore), è ambiguo e porta ad un errore basilare, che ha effetti depistanti anche sugli interrogativi successivi. Interrogativi che infatti è possibile formulare solo partendo dall’errore di non seguire il metodo sperimentale (cosa che è la fonte degli interrogativi stessi).
Viceversa, limitarsi ad introdurre il concetto di misura dell’ osservatore, riconduce alla realtà sperimentale, visto che non c’è un esperimento che dimostri l’indipendenza in generale del tempo da ogni fenomeno fisico. Del resto il rilievo di Einstein, nella sua relatività ristretta, per cui osservatori in condizioni di moto diverse, hanno una diversa percezione del tempo di quanto osservano, è cosa molto diversa dall’affermare che il tempo non è immutabile (estendere la frase a tutti i fenomeni fisici è arbitrario, anche se non casuale, rientrando nella logica portata a generalizzare in quanto nega la realtà individuale). Insomma, proporre una legge fisica capace di fare un passo avanti nello spiegare il cambiamento delle cose nel tempo (mediante l’ipotesi che sarebbe il tempo a non essere immutabile), perpetua la ricerca millenaria di un disegno del mondo eterno stabilito dall’essere supremo.
Allora, posto che, per tutto ciò, limitarsi alla misura dell’osservatore è la scelta giusta, resta non tanto l’interrogarsi sulla natura del tempo (che nella sostanza sperimentale è finora chiara), quanto sul come sia possibile introdurlo adeguatamente nelle strutture matematiche che usiamo per descrivere il mondo circostante. Poiché, nella matematica giuntaci fino ad oggi, il tempo matematico è una teorizzazione che non possiede le caratteristiche del tempo fisico (di fatti il tempo della matematica attuale è reversibile e neppure procede in avanti senza pause). A tale interrogativo operativo, personalmente non ho ancora una risposta. Mentre invece rilevo che nel complesso la conoscenza non è restata ferma. Nell’ultimo secolo la fisica ha fatto passi avanti, seppure incompleti. Di fatti, la meccanica quantistica – che si fonda sull’aver capito che l’energia non è continua (era la tesi tipica della fisica classica) bensì si trasmette in pacchetti distinti di quanti – ha poi inglobato il concetto di probabilità e a livello microscopico funziona. Neppure il concetto di probabilità esaurisce la questione tempo fisico, ma intanto si discosta dal determinismo. Indica che il mondo non si fonda sulle certezze immutabili, che risultano strutturalmente impossibili, siccome il medesimo stato iniziale può avere sviluppi diversi. Inoltre, il concetto di probabilità smonta l’ipotesi che si può conoscere un fatto fisico solo se e quando si misura, cioè con l’intervento dell’osservatore. La probabilità contenuta nell’equazione di Schrodinger non significa più che il moto effettivo è indefinito. Significa che la probabilità si rappresenta in questa forma, la quale non prevede il futuro in termini deterministici e indica da un lato come potrà presentarsi il futuro e dall’altro come è stato il passato.
Per chiudere, aggiungo che impostato correttamente il problema con l’uso della dizione misura dell’osservatore, i cinque quesiti hanno una risposta. Vale a dire. Non si può sapere se il tempo ha avuto un inizio, perché non possiamo sperimentare niente al riguardo. Non esistono prove sperimentali del fatto che il tempo si dilati (a parte l’intervento dell’osservatore) o che dipenda dalla gravità. La freccia del tempo è un dato di fatto, e va solo verso il futuro perché la sua natura è presiedere all’evolvere del vivere. Che è un altro dato di fatto.
In sintesi, è indispensabile concentrarsi su come riuscire a trattare il tempo nel sistema che lo riproduce sulla carta. Del resto, dobbiamo solo convincerci che, a differenza di una volta quando l’obiettivo era trovare il libro sacro definitivo, al giorno d’oggi la sperimentazione è incessante e non finisce mai. Altrimenti si regredisce alla sterile logica del libro sacro definitivo.
Documento inviato a sua richiesta al Presidente della Fondazione Einaudi Giuseppe Benedetto concernente un compromesso tra la mia lettera del 19 aprile scorso e i testi politici in preparazione da parte della LiberalDemocratici Europei – LDE
I liberali per le elezioni UE del 2024 e per il dopo
I principi
In base all’esperienza, i liberali si riconoscono in tre parole: libertà, individualismo e diversità. E nelle regole pubbliche che, di volta in volta, sono indispensabili perché queste tre parole siano rispettate nel convivere. Il mondo è composto da individui liberi diversi al passar del tempo. Perciò il cambiamento è la fisiologica modalità di funzionamento della vita sulla terra, che di continuo ci circonda. Dunque rifugge dai testi sacri, dall’evocare l’unità indistinta, dal perseguire il collettivismo, dal pretendere la comunità, dal cercare il potere elitario. Invece si impegna costantemente per costruire istituzioni imperniate sui singoli cittadini che esercitano il rispettivo spirito critico.al fine di rendere migliore la convivenza nel tempo.
L’Europa costruita dai cittadini
Nel 1957 l’Europa nacque su impulso di un liberale italiano scegliendo di svilupparsi sulla quotidiana attività dei cittadini, che sono i rapporti economici. Oggi può riprendere una prospettiva di sviluppo dando ai cittadini europei la chiave delle scelte caratterizzanti l’UE quale società che opera per ampliare il ricorso alla libertà. Esser determinati nel riaprire il cantiere della costruzione UE è urgente per i liberali, perché, contrariamente a quanto cianciano i fautori dello Stato potere che si impone su ogni cosa, non esiste ancora un’UE sovraordinata agli Stati Membri al di là delle materie previste nei Trattati. Il punto politico è far maturare progressivamente la rinuncia degli stati, in settori sempre più ampi, ai rispettivi privilegi sovrani.
Costruire l’Europa dopo la pandemia
Le urgenze pandemiche hanno indotto la UE a riprendere il cammino dell’impegnarsi in atti politici diretti e così ad aprire per la prima volta al finanziamento comune di progetti di risanamento delle strutture profonde dell’economia dei paesi membri. Per i liberali, un simile impegno deve proseguire iniziando da una trasformazione istituzionale che dia più peso ai cittadini fin dalla presentazione delle liste elettorali europee e alla rappresentanza Parlamentare. In pratica una trasformazione che faccia maturare la convergenza delle varie economie dei paesi membri per arrivare al dotarsi della medesima struttura fiscale (altrimenti la moneta unica è una costruzione artificiale senza anima di libertà civile) , per completare il mercato europeo dei capitali (un’esigenza ineludibile nell’ottica di coinvolgere i cittadini), che smetta di utilizzare organismi, quale l’attuale Meccanismo Europeo di Stabilità, estranei per struttura al diritto UE (i prestiti negoziati da un organo a tre, la Commissione UE, la BCE e il Fondo Monetario Internazionale, dei quali la BCE non è un organo dell’UE e il FMI è estraneo all’Europa; quindi assai lontano dai cittadini), che operi una rapida riduzione del ruolo del Consiglio d’Europa in decisioni della Commissione UE e che non attui la procedura, esistente e finora mai applicata, di far partecipare il medesimo Consiglio ad eleggere il Presidente della Commissione. Insomma, i liberali vogliono costruire l’UE sulle scelte dei cittadini e non su burocrazie autoreferenziali europee
L’Europa e il fenomeno migratorio
Per i liberali, la sfida principale dei cittadini europei nei rapporti con gli stati extraeuropei è come affrontare il persistente incremento dei fenomeni migratori in dimensioni assai superiori al passato. Nell’UE dei cittadini, gli ingressi irregolari in ciascun paese da fuori UE costituiscano un problema per l’intera UE. Pertanto, si dovranno convenire a livello UE – sempre adottando il metodo della libertà, cioè il coinvolgere i cittadini europei e l’affidarsi alle loro decisioni – le tipologie normative e gli interventi materiali da perseguire al fine di mantenere una sostenibilità territoriale, di garantire che chi arriva in UE non sia né svantaggiato né privilegiato, di attivare con i paesi di provenienza una collaborazione adeguata per contenere i flussi migratori iniziando dal contribuire al miglioramento al loro interno delle condizioni di vita dei loro cittadini.
L’Europa in prima linea per la libertà negli scambi
Per i liberali, l’Europa deve applicare una coerente concezione della libertà fondata sui continui scambi di idee e di iniziative tra cittadini diversi. L’UE, a differenza delle attuali università americane, non reprime le divergenze di opinione, come faceva l’inquisizione. La concezione della libertà aperta nulla ha a che vedere con la concezione alternativa della libertà di tipo imperiale. Del resto, la forza dell’Occidente consiste nella libertà degli scambi entro la diversità mentre la sua malattia sta nella libertà imperiale, che vuole l’unità e rifugge la diversità. La libertà dell’Occidente è consapevole che esistono ed esisteranno autocrazie dedite a bandire la libertà dei cittadini dalle proprie istituzioni. Ma è altrettanto consapevole che la pretesa di eliminare quelle autocrazie trasformerebbe la libertà degli scambi in una libertà imperiale, che rinnega la sua stessa essenza. La libertà fondata sugli scambi è connessa strettamente al praticare il sistema della concorrenza garantendolo in ogni occasione. Ne consegue che nell’UE gli interventi istituzionali vanno concepiti come un correttivo – soggetto alla valutazione elettorale – richiesto dal manifestarsi di nodi provocati dall’insufficiente funzionamento del criterio concorrenza nel meccanismo della libertà tra i cittadini individui (nodi che, se non corretti, porterebbero ad un insufficiente grado di libertà, fisica e spirituale, per il cittadino). Allora è una grave contraddizione in termini di politica liberale, violare apposta le norme della concorrenza in nome di principi che privilegiano un’imposizione ideologica piuttosto che il realizzarsi degli scambi. Ad esempio, sarebbe molto sbagliato prolungare l’accordo per far uscire il grano dall’Ucraina ad un prezzo “bellico” che blocca il grano prodotto da diversi stati membri UE oppure non rispettare i tempi previsti per entrare nell’UE in modo da potere accelerare l’ingresso dell’Ucraina.
L’Europa e l’approvvigionamento energetico
Per i liberali, è urgente indurre l’UE ad impegnarsi con decisa lungimiranza perché i cittadini europei dispongano di energia in quantità sufficiente per ogni esigenza del vivere. Il che significa, anche qui, esaminare di continuo tutte le possibilità di risolvere il problema energetico utilizzando le varie conoscenze disponibili, ovviamente tenendo conto delle conseguenze ambientali derivanti da ciascuna tecnologia adottata, senza mai cedere ai rigurgiti dirigisti. I liberali sottolineano che un esame simile va fatto senza pregiudizi ideologici relativi ad ogni fase della ricerca (quindi una sperimentazione che stia ai risultati e non alle convinzioni e ai desideri) e senza voler imporre nessuna strategia ritenuta più efficace (quindi non ricorrendo a strategie obbligatorie).
L’Europa e la difesa militare
L’indispensabile maturazione del processo di costruzione dell’UE dei cittadini, relega nettamente nelle retrovie la questione molto cara ai sostenitori della libertà imperiale, vale a dire il dar vita alla forza di difesa UE integrando le forze armate dei paesi membri. Un esercito UE è impensabile prima del completamento della trasformazione istituzionale in cui prevalga il peso ai cittadini. Fino ad allora le competenze della difesa rimarranno ai singoli stati membri.
Le alleanze alle elezioni Europee 2024
I liberali dovranno impegnarsi perché nel 2024 , per le Europee in Italia , si presenti una lista nella prospettiva della libertà individuale nella diversità. Per giungervi, saranno necessari compromessi purché si mantenga l’indirizzo complessivo a partire dall’aderire al gruppo ALDE-Renew Europe, vale a dire quello della cultura liberale. E purché l’appartenenza alla cultura politica liberale appaia ben chiaro a livello dei mezzi di informazione, data l’inutilità elettorale della presenza del termine liberale nei documenti interni della lista. In sostanza, il dibattito sulla formazione del Terzo Polo va rovesciato. La questione politica di quale programma per il 2024 precede gli aspetti dei rapporti nazionali tra IV, Azione e Led.
Scelte coerenti nei comportamenti politici in Italia
Per i liberali i comportamenti nella politica interna debbono ovviamente essere coerenti con la politica dell’UE imperniata sui cittadini. Sia nel periodo fino alle elezioni del 2024, sia nella prospettiva successiva. Partendo innanzitutto da scelte di governo capaci di affrontare il principale problema italiano da risolvere, la scarsità delle risorse a disposizione. Ciò costituisce un vincolo ineludibile, all’origine delle difficoltà per i governi nello sciogliere i nodi che provocano nei cittadini delusione e dunque favorisce il loro astensionismo. La sfida del debito è appesantita dalle dinamiche demografiche in atto, poiché il ridursi del numero degli italiani – che in ogni caso non potrà essere nel breve periodo compensato dal flusso migratorio – rende ancor più ardua la possibilità che l’auspicata crescita reale del reddito nazionale basti da sola ad ammortizzare quel debito. Oltretutto, negli ultimi 20 anni, il reddito in Italia è cresciuto in media meno che non negli altri paesi europei.
Diminuire il debito. Per i liberali, la riduzione del debito pubblico comporta un periodo non breve di crescita della spesa pubblica (al netto degli interessi) con un ritmo nettamente inferiore alla contestuale crescita del PIL. Perciò il liberali chiedono di intervenire su direzione e volume dei flussi finanziari da e verso lo Stato in modo da restituire dinamismo alla società italiana agevolandone l’impegno produttivo e lo spirito d’impresa. I liberali chiedono di ridurre ancora il peso delle istituzioni e dei gruppi amicali nel mercato e di eliminare sacche di privilegio e la concorrenza sleale, curando la vendita del patrimonio non produttivo dello Stato e degli enti territoriali, mantenendo la golden power solo per evidenti ragioni di sicurezza nazionale. I liberali chiedono che la spesa pubblica scenda progressivamente entro il 2030 sotto il 40% del PIL, riducendo in specie la spesa corrente. A tal fine vanno in particolare rivisti i finanziamenti degli enti pubblici territoriali, della sanità pubblica e dell’assistenza sociale.
Una spesa pubblica più efficace.Per quanto riguarda gli enti pubblici territoriali, l’autonomia differenziata non è la soluzione adeguata: occorre invece la responsabilità fiscale degli enti locali nel quadro di un’autonomia impositiva rispettosa degli obiettivi generali di finanza pubblica. Per la sanità pubblica e l’assistenza sociale, deve essere potenziata la loro funzionalità tramite controlli dissuasivi dei loro centri di spesa, con criteri di efficienza analoghi ai settori privati e con il lasciar spazio all’iniziativa privata (concorrente nei servizi medici) trasferendone in parte il relativo onere. Così la spesa sanitaria complessiva (pubblica e privata) dovrà portarsi ai livelli medi europei. Infine i liberali chiedono una riforma dell’INPS che separi l’assistenza dalla previdenza.
Un fisco più giusto.I liberali chiedono che la pressione fiscale si riduca a meno 40% del PIL, in parallelo al diminuire del debito pubblico ed inoltre che si riequilibri il peso fiscale tra rendite e lavoro e si eliminino le ingiustizie nel prelievo fiscale tra categorie di lavoratori. I liberali vogliono il riordino dei tributi locali, inclusa la riforma del catasto. Vogliono il riallineamento ai livelli europei dell’imposizione indiretta. Vogliono una fiscalità di impresa che incentivi l’investimento in via ordinaria. Vogliono abolizire l’IRAP, senza addizionali per le società di capitali. Vogliono forme di concordato preventivo pluriennale tra lavoratori autonomi, imprese e Fisco, in una logica premiale. Vogliono infine un taglio strutturale del cuneo contributivo accompagnato dallo stop a ogni nuova misura di prepensionamento.
Un’energia sicura e un ambiente sostenibile. In materiaambientale ed energetica, i liberali sostengono sul piano interno l’uscita progressiva e ragionata dall’uso delle fonti fossili e sul piano esterno, negli approvvigionamenti, il ridurre la dipendenza da Paesi geopoliticamente non occidentali e parte di organizzazioni autocratiche potenzialmente alternative all’occidente. I liberali intendono sostituire i vincoli autorizzativi esistenti, con l’introduzione del silenzio-assenso in molti settori (ricerca di idrocarburi; impianti fotovoltaici, di energia rinnovabile; desalinizzazione dell’acqua di mare; costruzione dighe e bacini idrici; impianti di produzione di energia da rifiuti non differenziati e compost; impianti di riciclaggio di rifiuti urbani differenziati; rigassificatori). Con tale obiettivo, i liberali ritengono essenziale che ad ogni livello la pubblica amministrazione divenga sempre più in grado di esercitare bene e con rapidità i controlli, al fine di vigilare sulla corrispondenza degli impianti in costruzione alle norme giuridiche e scientifiche. I liberali sono favorevoli alla partecipazione italiana ai progetti in corso in UE per studiare il ritorno al nucleare; e ad un piano di investimenti pubblici coordinato nell’ambito del PNRR (fino al 2026) e della transizione energetica UE con particolare riferimento a: produzione di idrogeno “verde”, anche da nucleare; produzione di biocarburanti, per i settori di consumo ove saranno consentiti.
Un’Italia dinamica e innovativa . I liberali puntano a creare un clima economico favorevole all’iniziativa privata e all’adottare le indicazioni del progresso scientifico. Di conseguenza sono a favore di: liberalizzare i contratti a tempo determinato, di eliminare la causa nel rinnovo dei contratti a tempo determinato, di estendere la facoltà di ricorrere a contratti di lavoro somministrato con le agenzie interinali, di estendere la possibilità di ricorrere al licenziamento economico anche senza dichiarare lo stato di crisi. Sono a favore della piena parificazione dei soggetti pubblici e privati accreditati a politiche attive del lavoro. Sono a favore di estendere le indennità previste dai contratti collettivi al lavoro autonomo e parasubordinato, con riordino delle aliquote contributive attuali a carico del beneficiario. Sono a favore di una legge sulla rappresentatività delle organizzazioni sindacali ai fini del riconoscimento della validità erga omnes dei CCNL Sono a favore del riallineare alle normative europee la ricerca scientifica applicata, a cominciare dai settori delle biotecnologie e delle emissioni elettromagnetiche. Sono a favore del restringere la responsabilità per danno erariale degli amministratori (anche privati) ai casi di dolo specifico accertato. Sono a favore del non restringere le procedure di gara e il numero delle stazioni appaltanti. Sono a favore dell’integrale rispetto degli impegni assunti con l’UE in materia di concessioni e licenze. Sono a favore del liberalizzare l’attività commerciale cittadina, nel rispetto delle normative urbanistiche. In generale, salvo situazioni eccezionali e comprovate, preferiscono l’affidare a gara i servizi pubblici locali, non favorire l’esercizio in house dei medesimi servizi, attivare la concorrenzanell’offerta di beni pubblici intermedi (reti infrastrutturali) e finali. Insomma, occorre uno Stato che sia regolatore, non produttore e gestore. Un’Italia dinamica ed innovativa è la strada per garantire al cittadino di disporre almeno del minimo vitale.
Irrobustire lo Stato di diritto. I liberali sono per l’integrale applicazione della Riforma Cartabia del processo civile. Sono per la riforma del processo penale limitando le autorizzazioni alle intercettazioni telefoniche ed ambientali ai soli gravi reati; difendendo la presunzione di innocenza mediante il divieto della diffusione delle intercettazioni; e quello della prescrizione, graduato per reati, fissando tempi rigorosi per il rinvio a giudizio; riducendo la facoltà della Pubblica Accusa di ricorrere in appello in caso di assoluzione in primo grado. I liberali chiedono la separazione delle carriere tra magistratura giudicante e magistratura requirente; nonché di prevedere criteri di merito nella carriera dl magistrato. Chiedono di limitare il ricorso alla custodia cautelare in carcere e di introdurre il GIP collegiale per la conferma di misure cautelari diverse dalla detenzione domiciliare.Chiedono di rivedere la penalizzazione dei reati minori, estendendo la giustizia riparativa; di ricalibrare le pene per i reati economici, ampliando le pene pecuniarie; di configurare l’abuso di ufficio solo come dolo o colpa grave; di dichiarare estinto il reato di omesso/ritardato versamento IVA e ritenute in caso di adempimento successivo. I liberali chiedono un pieno riequilibrio del rapporto tra Stato e contribuente, durante tutte le fasi del contenzioso tributario.
Potenziare l’istruzione. I liberali sono per una scuola pubblica fondata sul merito, sull’autonomia, sul pluralismo e sulla formazione dei cittadini, che non sia chiusa ad interagire con fondazioni ed imprese private quali le parificate. Sono per combattere l’abbandono scolastico e universitario. Sono per la riforma dello stato giuridico degli insegnanti pubblici, introducendo criteri privatistici che premino impegni e capacità dei più meritevoli. Sono per la detraibilità delle spese sostenute dalle famiglie per il diritto allo studio, anche degli asili nido. E condividono le iniziative delle Regioni, a valere sul proprio bilancio, di sostegno al diritto allo studio di famiglie e studenti, senza discriminazione dell’offerta formativa. I liberali sono favorevoli al potenziare un’istruzione che si rinnovi nel corso della vita di ciascun cittadino, soprattutto perché la conoscenza è la radice principale dei contributi che l’impegno lavorativo fornisce alla convivenza, andando con ciò oltre il prodotto della sola rendita. Il conoscere e lo spirito d’impresa sono il motore dello sviluppo del convivere. La libertà politica ne è la precondizione fisiologica mentre la libertà economica ne è una conseguenza insopprimibile.
La formazione delle libertà. In Italia l’esistere di una formazione autonoma liberale, è inaggirabile per garantire che i conflitti nella convivenza non siano dominati dai non liberali o ancor peggio dagli illiberali , i quali sono fautori per natura di sistemi non rispettosi dei criteri sperimentali e propri delle tre parole libertà, individualismo e diversità attraverso le regole.
settima parte del testo CRONOLOGIA ESSENZIALE DEL LIBERALISMO
3.11 I liberali in vari paesi a fine ‘800.3.11 a) I governi Gladstone.In Inghilterra, dopo i libri di Stuart Mill (che ho trattato al paragrafo 3.8 c) e l’opera di Darwin, nonché le considerazioni sull’evoluzionismo e sui rapporti con il liberalismo (trattati al paragrafo 3.8 d), spicca l’azione, iniziata a dicembre 1868, dei quattro governi di William Gladstone nell’arco di 25 anni, che produssero una robusta impostazione liberale.
L’allora sessantenne Gladstone, era entrato ai Comuni trenta anni prima, tra i conservatori di Peel in un ruolo minore nel governo. A quell’epoca sosteneva posizioni protezioniste, a favore dell’anglicanesimo e contro il separatismo, ma pochi anni dopo, messo ai vertici della Camera di Commercio, iniziò a convertirsi al libero scambio e un po’ alla volta divenne fautore del ruolo equilibratore dell’istituzione statale. Trascorse l’inverno ’49-’50 a Napoli e tornato in patria pubblicò con clamore due lettere al Primo Ministro in cui denunciò il sistema carcerario borbonico. E, sempre in base all’esperienza italiana, pochi mesi dopo, espresse il parere che il potere temporale del Papa era condannato a finire. All’inizio del 1853, Gladstone divenne Cancelliere dello Scacchiere nel governo di coalizione di Lord Aberdeen (tra parte dei conservatori, i liberali, i seguaci del defunto Peel e un gruppo di tendenza radicale). Nel nuovo incarico Gladstone ridusse l’imposta sul reddito ed estese agli immobili la tassa di successione.
Negli anni seguenti, mutati i rapporti parlamentari, Gladstone rifiutò di entrare nel nuovo governo dei Conservatori e si avvicinò sempre più ai liberali, divenendo ancora Cancelliere dello Scacchiere con il governo liberale di Palmerston nel 1859. In questo incarico strinse un trattato di libero scambio con la Francia, abolì i dazi su quasi 400 articoli e rivide ancora l’imposta dul reddito. Nel 1865 Gladstone divenne leader dei parlamentari liberali e riuscì a fare allargare la legge sul suffragio. L’anno dopo divenne capo del partito liberale. Nel 1868 vinse largamente le politiche e divenne Primo Ministro.
Nel nuovo ruolo, Gladstone affrontò prima di tutto il problema dell’Irlanda cattolica, riuscendo a far approvare una legge di separazione stato chiese, e l’anno dopo una legge agraria a garanzia dei fittavoli fornendo loro crediti per acquistare dei terreni. Su un piano più generale, completò le riforme elettorali sancendo il voto segreto, apportò importanti mutamenti nell’amministrazione civile (rendendo aperto a tutti l’ingresso mediante concorso) e nell’istruzione elementare (instaurando un sistema tuttora esistente nei suoi aspetti di fondo), stabilì che lauree ed incarichi universitari prescindessero dalla religione e in Irlanda abolì i test religiosi per entrare all’università.
Nel 1874 i conservatori vinsero le elezioni, Gladstone lasciò la guida dei liberali ma continuò un’intensa attività parlamentare d’opposizione, segnatamente in politica estera contrastando la linea conservatrice favorevole all’Impero Ottomano e ai rapporti egemonici inglesi in India. In vista del turno elettorale successivo, Gladstone si impegnò iniziando dalla Scozia e attaccò il governo per la politica di annessione nella Repubblica del Transvaal. Così riportò nel 1880 un’importante vittoria nelle urne e formò il suo secondo governo. Nei mesi successivi, pose fine alla sollevazione nel Transvaal concedendo l’autogoverno ai predominanti boeri (coloni sudafricani di origine olandese). Intanto proseguì le riforme agrarie per agevolare l’acquisto dei terreni in Irlanda, spingendosi a non contrastare ai Comuni la richiesta irlandese dell’autonomia interna (“home rule”) e introducendo norme speciali sugli affitti agrari. Negli anni successivi l’Inghilterra si impegnò molto nel Nord Africa, in conseguenza dell’apertura del Canale di Suez che riduceva di settimane il percorso dal Mediterraneo all’India (inaugurato a fine 1869 dopo un decennio di lavori della Compagnia del Canale, i cui azionisti erano l’Egitto per il 44% e la Francia per il resto soprattutto tramite un diffuso azionariato popolare).
A metà degli anni ’70, l’Egitto, all’epoca appartenente all’Impero Ottomano, non riuscendo nell’espansione verso l’Etiopia, si trovò costretto a cedere la propria quota della Compagnia del Canale all’Inghilterra (nel ’75). Così ben presto l’Egitto divenne una sorta di protettorato franco inglese, anche per l’estrema debolezza degli Ottomani. Ciò provocò crescenti agitazioni tra contrapposte fazioni interne, finché, nel febbraio 1882, una di queste si risentì per l’influenza straniera asserragliandosi nei forti di Alessandria. Per evitare di perdere il controllo di Suez, il governo Gladstone e i Comuni, insieme alla Francia, inviarono là una loro flotta, subito seguita da un corpo di spedizione, per riportare l’ordine (e proteggere materialmente i luoghi del Canale). L’afflusso degli europei, tuttavia, esasperò l’opinione pubblica egiziana e nell’estate, per diverse settimane, vi furono scontri armati , fino ad una vera e propria battaglia con una delle due fazioni, presto vinta dagli inglesi.
Il governatore ottomano dell’Egitto riacquistò il potere interno, però supervisionato dai britannici (precisamente il Console Generale e il Comandante Capo dell’esercito egiziano aiutato da un gruppo di alti ufficiali inglesi). Così ebbe inizio il dominio britannico sull’Egitto, che durerà un trentennio. Da sottolineare che, secondo la linea di Gladstone, la gestione del traffico attraverso il Canale di Suez venne stabilita all’insegna della libertà di passaggio nelle sue acque in ogni circostanza, solo vietando operazioni di guerra nel suo territorio e dintorni, ma consentendone l’uso anche alle diverse nazioni belligeranti (in pratica facendo del Canale di Suez un esempio di vita non dipendente dal potere).
Intanto, a sud dell’Egitto, nel Sudan, andava sviluppandosi una robusta avanzata dei fautori del rinnovamento islamico, che volevano pure il ritorno istituzionale al Corano e il liberare il Sudan dagli ottomani. Nell’estate 1882 l’esercito dei redentori dell’Islam riportò una vittoria di rilievo, cui seguirono altri successi nei due anni seguenti. Trattandosi di una guerra di tipo religioso, il governo inglese propendeva per la cautela e scelse di evacuare le truppe anglo egiziane. La manovra non riuscì e d’altra parte il Governo non usava del tutto il pugno duro. Intanto, a livello interno in Inghilterra, Gladstone estese il diritto di voto ai lavoratori agricoli maschi. Peraltro, il rovescio subito in Sudan dall’esercito inglese indebolì molto Gladstone in casa. Questo stato di cose gli fece perdere a giugno 1885 l’appoggio sul bilancio di oltre metà dei deputati irlandesi e così Primo Ministro passò ai conservatori.
Comunque, alle elezioni generali del novembre successivo, dopo una campagna che Gladstone imperniò sull’autonomia dell’Irlanda, i liberali ottennero più voti e più seggi, ma non la maggioranza assoluta da soli. Gladstone formò il suo terzo governo all’inizio del 1886 e ad aprile presentò un progetto di Home Rule e un altro che stabiliva l’acquisto dei latifondi in Irlanda da ripartire tra gli agricoltori che fossero affittuari. Un programma di questo tipo fece esplodere il gruppo parlamentare dei liberali. Se ne staccò un gruppo di fautori dell’unione dell’Irlanda all’isola inglese e così il voto favorevole al programma del gruppo irlandese non bastò per approvarlo. Di conseguenza a luglio 1886 si tornò al voto con uno schieramento innovativo. I liberali unionisti si allearono con i conservatori. Numericamente il partito liberale di Gladstone prevalse di nuovo con il 46% dei voti, ma nella distribuzione di collegio l’alleanza conservatori unionisti arrivò al 51% (di cui il 14% di unionisti) trasformato nel 59% dei seggi dal sistema elettorale. Stabile il Partito Irlandese.
Il Governo tornò ai conservatori con il supporto dei liberali unionisti, ma Gladstone e il Partito Liberale si opposero alle misure repressive del Governo e proseguirono nella campagna a sostegno del Home Rule. Furono sei anni di apertissimo scontro politico, con un odio tra le due fazioni assai marcato. Alle successive elezioni (1892), i liberali unionisti più che dimezzarono e la coalizione con i conservatori perse nel complesso quasi cinque punti e soprattutto nella distribuzione degli eletti nei collegi arretrò di quasi tredici punti fra gli eletti. I liberali , con l’apporto dei deputati irlandesi, avevano una maggioranza di una quarantina di seggi. Fatto il suo quarto governo, Gladstone avanzò una nuova norma per l’Home Rule, rafforzata con il dare ai deputati irlandesi il diritto di votare ai Comuni sulle questioni non puramente britanniche. Si ripetè tuttavia quanto era avvenuto prima. Cioè la norma venne approvata alla Camera Bassa e bocciata da quella dei Lord. Ormai ottantacinquenne, Gladstone lasciò il governo e un anno dopo anche il Parlamento.
La vicenda di Gladstone è particolarmente significativa per più motivi. Prima di tutto per la spiccata qualità del personaggio , capace di grande tenacia nell’individuare le strade atte a superare gli ostacoli che si frapponevano al realizzare norme di libertà civile. Poi per le notevolissime capacità nel campo finanziario, che lo hanno reso quasi senza rivali tra gli uomini di stato inglesi: attentissimo all’esigere il corretto funzionamento dell’amministrazione ed inoltre in grado di coinvolgere i cittadini in tali problematiche. Infine assai legato all’osservare i fatti concreti e al trarne insegnamento, anche a costo di mutare un suo parere antecedente, quindi naturalmente in contrasto con l’impostazione tipo clima imperiale, all’epoca di gran moda ed ossessionata nel conservare immutata la tradizione. Con simili qualità, Gladstone fu incline ad uno sguardo lungo per affrontare i nodi dell’esercizio della libertà. Ad esempio, all’idea della Home Rule si convertì alla svelta, non appena ebbe studiato il problema nei suoi dati reali. Così riuscì ad inquadrare il tema dell’Irlanda già decenni prima che iniziasse progressivamente ad essere riconosciuto. In logica analoga fu sempre incline nei conflitti internazionali a trovare una soluzione al di fuori delle armi, che erano un ostacolo naturale al diffondersi della pratica della libertà.
Va infine sottolineato che il voto inglese del 1886 e del 1892, fu l’apogeo del successo del Partito Liberale nelle urne e l’inizio del suo declino senza freni. Riflettere sulla svolta fornisce lo spunto per cogliere il meccanismo delle cose. Allora l’immediato fattore scatenante fu l’indirizzo a favore dell’autonomia dell’Irlanda. Sul punto si scontarono due atteggiamenti con i quali il liberalismo è alle prese in ogni momento. Vale a dire la propensione a valorizzare l’esprimersi della libertà in ogni convivenza (nella fattispecie il favore all’Home Rule) e il legare le decisioni dell’insieme dei conviventi alle libere scelte degli individui che lo formano (il votare al riguardo). Quando il voto non premia l’indirizzo liberale, cresce contestualmente la necessità dell’impegno politico dei liberali per aumentare il diffondersi delle norme per valorizzare la libertà dei conviventi nell’esercizio del senso critico. E ciò richiede un’insistenza coerente e il dar tempo per la maturazione tramite ulteriori osservazioni.
Va aggiunto poi che nella fattispecie la frattura tra i liberali fu causata del separarsi tra i fautori della libertà prima di ogni altra cosa e chi metteva la libertà dopo la tradizione e il privilegio al ruolo della nazione originaria. Insomma, tra i liberali comunque e chi è sensibile al liberalismo solo in seconda battuta, riconoscendo molta importanza alle istanze della conservazione. Siffatta frattura non si sanerà da allora. Soprattutto perché la ricerca della libertà richiedeva ormai strade più complicate, meno agevolmente apprezzabili tra i cittadini. E perché stavano arrivando sulla scena idee politiche non liberali, che però illudevano di arrivare alla liberazione intesa non nei termini provvisori ed individuali della libertà, bensì nei termini ideologici definitivi di un eterno paradiso raggiungibile solo accettando la verità di qualcosa e rinunciando allo spirito critico dello sperimentare la concretezza della realtà. Si pensi in particolare al laburismo che andava assumendo il ruolo di movimento progressista svolto fino ad allora dal liberalismo.
3.11 b) I liberali in Italia a fine ‘800 – Soprattutto in Germania e in Italia , ma anche in Francia, la presa elettorale del liberalismo declinò quando, ormai realizzata l’unificazione nazionale, divenne centrale la questione del come rafforzare la struttura dello stato. In Italia non va dimenticato che la Chiesa vietava ai cattolici la possibilità di partecipare alla vita pubblica, il che frenava il formarsi di un ceto imprenditoriale e giustificava l’inerte cautela dei dirigenti provenienti dagli antichi stati.
Va aggiunto che, soprattutto nel meridione, il diffondersi di una mentalità liberale era ostacolato dalla propensione centralistica della struttura amministrativa d’origine piemontese e dal venire a galla del fenomeno del brigantaggio già preesistente da lungo tempo, rivolto contro il malgoverno e contro le oppressioni fiscali e burocratiche. In ogni settore si procedette all’unificazione dei codici, delle prassi, dell’istruzione, delle forze armate (includenti i volontari garibaldini), dei debiti pubblici degli stati preunitari, della normativa fiscale. La politica della Destra Storica, al governo fino al 1876, era di tipo liberale moderato (Primi Ministri come Ricasoli, Farini, Minghetti, Lanza), fondata sul libero scambio, sul togliere le dogane, sull’ inserire l’economia italiana, nel sistema europeo. Furono necessarie molte infrastrutture, fatte con le risorse raccolte con la vendita dei beni ecclesiastici, con la pressione fiscale e con l’indebitamento pubblico. Tuttavia una pratica finanziaria molto rigorosa portò a metà anni ’70 al pareggio di bilancio, considerato la premessa indispensabile per uno sviluppo moderno. Nel 1876 prevalsero i contrari al dirigismo centralistico del governo e all’eccessiva presenza statale in economia. Si formarono per un quindicennio – sempre in un clima abbastanza liberale, reso possibile dal fatto che all’epoca non c’erano i partiti ma convergenze di culture affini – governi della Sinistra Storica, sostenuti da maggioranze variabili (il trasformismo teorizzato da Depretis , un altro moderato) , comprendenti diverse mentalità , da quelle moderate e liberali a quelle d’origine democratica e agli ex-mazziniani, maggioranze che perseguivano riforme caute. La Sinistra Storica proseguì nell’allargare la base elettorale e giunse a rinnovare il codice penale ed ad abolire la pena di morte. In politica estera, la Sinistra Storica stipulò nel 1882 la Triplice Alleanza con Austria e Germania, che restò fino alla prima guerra mondiale nel 1915.
La propensione alla variabilità di linea politica e allo spendere in modo eccessivo (il cuore della Sinistra Storica), iniziò a vacillare con il progressivo distacco di parlamentari. Dopo il 1886, abbandonò la Sinistra Storica un deputato piemontese, Giovanni Giolitti che non condivideva né l’insistere sul trasformismo né la spesa facile, e che inoltre riteneva opportuno rendere il Parlamento più attento ai cittadini, in specie i più deboli, nella prospettiva di amalgamare meglio i differenti stati sociali. Nel volgere di cinque anni, dopo le elezioni del dicembre 1890, la tradizionale Sinistra Storica non fu in grado di ricostituire la maggioranza e tornò il governo di un esponente della Destra storica in un’ampia coalizione, caratterizzata in politica estera dal rovesciamento della tendenza espansionistica in Africa seguita fino ad allora e, in politica interna, dalla politica di forte riduzione delle spese (in particolare quelle militari). Nella politica interna tale governo della Destra Storica non ebbe molto successo e a maggio 1892 governo cadde su un progetto di riduzione appunto delle spese in campo militare.
Tornò un Primo Ministro che proveniva dalla Sinistra Storica ma con accentuate caratteristiche liberali, il deputato Giolitti. Il suo Governo (che sarà il primo di diversi altri) si distinse per il comportamento tollerante verso le ribellioni in Sicilia e sul modo di avversare il socialismo (che in quell’estate si unì nel costituire il Partito dei Lavoratori, divenuto nei due anni successivi Partito Socialista Italiano, autodefinitosi “partito di classe”). Il Governo Giolitti rifiutò di intervenire contro i fasci siciliani dei contadini (in quanto reagivano alla miseria senza avere veri disegni politici) e non combatteva il partito dei lavoratori bensì le sue correnti anarchiche e violente. Perciò fu molto criticato dai conservatori. Anche sul tema degli strumenti politici rappresentativi, Giolitti svolgeva riflessioni in termini liberali, nell’osservare che il governo rappresentativo non può procedere regolarmente senza partiti organizzati su programmi chiari e precisi. Altrimenti dovrà appoggiarsi a mutevoli maggioranze, attorno ad interessi speciali e locali.
Durante l’anno successivo, gli oppositori del Governo Giolitti l’attaccarono non sui suoi programmi e neppure su proposte di intervento da fare, bensì sul richiamo alla morale del bene comune. Da oltre un decennio, la Banca Romana andava erogando prestiti disinvolti agli ambienti di rilievo della Capitale, dalla Casa Reale, a ministri e a politici. Tanto che il Governatore della Banca, Tanlongo, persona legata agli ambienti della Roma clericale, fu proposto per l’incarico di Senatore del Regno (in seguito non convalidato dall’Aula). Tali relazioni improprie vennero a galla con scandalo e fu istituita una commissione parlamentare di inchiesta voluta anche dal Governo, la quale nel novembre 1893 sancì che Giolitti, per i suoi rapporti con Tanlongo, era il solo responsabile politico dello scandalo (il che era singolare visto che certe pratiche erano in essere da oltre un decennio e Giolitti era in carica da pochi mesi). Il giorno seguente Giolitti rassegnò le dimissioni del Ministero. Ma negò di aver avuto un ruolo particolare e nei mesi seguenti presentò alla Camera una consistente documentazione a riprova dei rapporti con la Banca Romana di molti deputati, inclusa la famiglia del Presidente del Consiglio della Sinistra Storica predecessore e successore. In sostanza, lo scandalo della Banca Romana fu la prima manifestarsi in Italia della pratica di affrontare aspetti della gestione pubblica tramite l’esaltare il bene comune senza approfondire le circostanze prima di affrontare il merito. Al punto che nel 1894, al processo, l’avvocato di Tanlongo non contestò i fatti delle accuse bensì che costituissero reati, sostenendo che si trattava solo di irregolarità dovute ad esigenze economiche pubbliche e a pressioni del Governo. E così il cliente venne assolto.
In quegli stessi anni e fino al termine del decennio, iniziarono ad apparire gli scritti di Benedetto Croce, che, per oltre i cinquanta anni successivi, resterà un faro del pensiero liberale, avviando una riflessione approfondita anche sul fatto che il dibattito politico si svolgeva soprattutto tra i sostenitori, marxisti e conservatori, dell’allargamento dell’intervento impositivo dello Stato. Quindi su una linea contraria a quella del liberalismo, che concepisce lo stato come garante del libero esercizio della libertà di cittadini autonomi.
3.12 – Mutamenti nelle relazioni a fine ‘800. 3.12 a) Più ruolo ai cittadini.Le dinamiche già avviate nei decenni precedenti proseguirono con forti accelerazioni, essenzialmente dovute all’interagire reciproco tra la crescita ininterrotta della conoscenza scientifica, l’infittirsi delle invenzioni di strumenti d’uso quotidiano e il manifestarsi della seconda rivoluzione industriale. Un andamento del genere incentivò nella convivenza il ruolo autonomo dei cittadini individui. E ciò rendeva via via più necessario introdurre norme e maniere adatte a migliorarne di continuo le possibilità di manifestarsi attraverso il sistema della libertà tra diversi.
3.12 b) Principali scoperte. Nella seconda metà ‘800, i grandi balzi della conoscenza scientifica cominciano dalle 20 equazioni dello scozzese Maxwell, trovate nel 1864 sulle interazioni tra campi elettrici e magnetici, usate un ventennio dopo per descrivere la luce. Nel 1869 il chimico russo Mendeleev presentò la tavola periodica degli elementi chimici, vale a dire una classificazione degli elementi che mostra come le loro proprietà chimiche e fisiche si ripetano con regolarità una volta ordinati gli elementi secondo i valori crescenti delle loro masse atomiche. Mendeleev si accorse che tale regolarità, talvolta, si interrompeva e perciò nella tavola inserì spazi vuoti per future scoperte di nuovi elementi, che si sono poi verificate molte volte negli ultimi 150 anni. Tra il 1878 e il 1882, il medico tedesco Koch scoprì prima il ruolo patogeno del bacillo dell’antrace e poi le cause della tubercolosi nonché il modo di rilevarne l’infezione. Nel 1888, in base alle equazioni di Maxwell, il tedesco Hertz scoprì le omonime onde elettromagnetiche, artificiali o naturali. Negli stessi anni, l’austriaco Boltzmann , un fisico matematico, fornì un contributo storico nella teoria cinetica dei gas e sul secondo principio della termodinamica (sosteneva una cosa importantissima, e cioè che l’esistenza della materia non si spiega partendo dalle idee ma sono quest’ultime ad essere attivate dall’osservare la materia). Nel 1895 il fisico tedesco Roentgen individuò i raggi X come radiazione elettromagnetica ad alta frequenza.
Nel gennaio del 1896, ad un seminario sui raggi X, il francese Becquerel, studioso sperimentale della fluorescenza, suppose una connessione tra questa e gli invisibili raggi X, nel senso che i materiali fluorescenti emettessero anche raggi X. Per verificare, usò dei sali di uranio che, dopo esposizione alla luce solare, erano fluorescenti. Quindi avvolse lastre fotografiche in un involucro di carta nera impermeabile alla luce, piazzò i sali di uranio sopra l’involucro, espose questo pacchetto al sole e poi sviluppò la lastra. Nello sviluppo spiccavano le sagome dei cristalli di uranio. Inizialmente Becquerel ipotizzò che i sali fosforescenti di uranio esposti alla luce solare emettessero una radiazione capace di impressionare la pellicola, come i raggi X (lo comunicò subito all’Accademia delle Scienze). In seguito,obbligato dal cielo plumbeo durato cinque settimane, Becquerel ripose in un cassetto la lastra già preparata come al solito (ponendo sull’uranio anche una croce di metallo da rilevare) ma senza esporla al sole. Nonostante ciò, quando aprì il cassetto, si accorse che l’immagine della croce aveva impressionato in modo nitido la lastra. Dunque la radiazione che passava attraverso l’involucro opaco, non dipendeva dall’assorbire la luce solare ma dall’uranio in sé. Una studentessa di Becquerel, Marie Curie (una polacca quasi trentenne naturalizzata francese) coniò per la radiazione il termine radioattività. La stessa Curie, e il marito Pierre, partendo dal constatare che l’uraninite (il minerale da cui proviene l’uranio) risulta più radioattiva di quel che potrebbe essere se composta solo di uranio, continuarono ad esaminare tonnellate di uraninite, riuscendo, due anni dopo, ad isolare un altro componente quasi quattrocento volte più radioattivo dell’uranio, che venne chiamato polonio (in onore della patria della Curie). Proseguendo nell’esame, non molto tempo dopo i Curie isolarono un altro componente ancor più radioattivo, il radio (e Marie si rifiutò di brevettare il procedimento per estrarlo, onde non ostacolare la ricerca, il che esprime una concezione aperta del conoscere). Nel 1897, l’inglese Joseph Thomson scoprì l’elettrone, la particella generante la corrente elettrica, una scoperta che schiuse le porte alla ricerca sulla struttura interna dell’atomo. Nell’ultimo anno del secolo, il fisico tedesco Max Planck intuì che l’energia luminosa fosse emessa ed assorbita tramite piccoli pacchetti di energia, i ”quanti”, intuizione che si dimostrerà fondata e costituirà il nucleo della fondamentale fisica quantistica nel secolo seguente, tesa a spiegare il comportamento alle dimensioni microscopiche.
Tra i grandi scienziati di fine ‘800, va poi ricordato il grande matematico (ma non solo) francese, Henry Poincaré, il quale, nel solco del predecessore, il collega tedesco Riemann, contribuì in modo decisivo all’accettazione delle geometrie non euclidee , inventò la topologia algebrica, in sostanza fu il padre della topologia moderna. Trattò quasi tutti gli aspetti della matematica di allora , sviluppandone diverse parti. Come studioso del problema dei tre corpi, fu il precursore della teoria del caos.
3.12 c) Invenzioni di oggetti e procedure. Il lievitare della scienza in sé, si accompagnò al brulicare di invenzioni di oggetti e di procedure che, in modo variegato, incidevano parecchio sulla vita quotidiana dei cittadini. Solo per fare un sommario elenco indicativo. Nel 1856 il francese Pasteur dimostrò che i microrganismi erano la causa delle infezioni e non un loro prodotto e inventò la pastorizzazione , nel 1866 il norvegese Nobel inventò la dinamite, nel 1876 l’inglese Bell brevettò il telefono e il francese Tellier iniziò l’era delle navi frigorifere per trasportare merci deperibili dagli USA in Europa, nel 1878 venne introdotta la bollitura degli strumenti chirurgici, nel 1879 l’americano Edison brevettò la prima lampadina elettrica con filamento resistente, nel 1880 una Ditta inglese produsse il primo tipo di carta igienica, nel 1883 fu inaugurata a Milano la prima centrale elettrica italiana, nel 1884 l’irlandese Parsons costruì la prima turbina a vapore, nel 1885 il tedesco Benz progettò la prima automobile con motore a combustione interna, nel 1886 un altro tedesco Daimler costruì il primo veicolo a motore a 4 ruote, nel 1887 lo svizzero Muller e il tedesco Fick inventarono separatamente le prime lenti a contatto indossabili (seppure ancora appoggiate su tutto il bulbo oculare), nel 1892 il tedesco Diesel inventò l’omonimo motore, nel 1895 i fratelli francesi Lumiere lanciarono l’attuale “cinema”, nella tarda estate dello stesso anno l’italiano Marconi applicò la trasmissione a distanza mediante onde radio, nel 1899 l’industria tedesca Bayer brevettò l’aspirina, sulla scia dei lavori di Pasteur, la lista degli agenti infettivi era praticamente completa.
d) Seconda rivoluzione industriale. Infine nell’ultima parte dell‘800 ci fu il terzo soggetto dell’interazione accelerante dei modi della convivere, la seconda rivoluzione industriale. Fu un fenomeno frenetico a livello transatlantico, che intanto vide aumentare gli abitanti nelle città mentre nelle zone rurali le superfici coltivabili crebbero della metà . Poi furono piazzati cavi sottomarini che consentirono al telegrafo di collegare l’Europa e le Americhe , mentre il telefono permetteva di comunicare senza necessità di decrittare. Erano quasi cancellate le distanze, al fine scambiare messaggi,. Inoltre cominciò la disponibilità, conseguente le scoperte , di assai maggiori quantità di energia e di strumenti per utilizzarle.
Con le scoperte cui ho già fatto cenno sopra e con altre invenzioni come quelle dell’italiano Pacinotti, si diffuse l’elettricità, un’energia utilizzabile quando serviva, trasferibile alla velocità della luce, utile per lavorare ed anche per riscaldare. E che al contempo rendeva possibile disporre di luce per ventiquattro ore, nelle case, in strada e nelle fabbriche. Inoltre, le trivellazioni avviate negli Stati Uniti iniziarono a fornire il petrolio, prodotto dalla sedimentazione millenaria di materiale organico, che divenne il carburante principe e per decenni restò nelle mani di una sola società al mondo. Un altro settore di enorme sviluppo fu quello siderurgico, in cui nuove metodologie di lavorazione negli altiforni (principalmente il forno messo a punto un po’ alla volta dal tedesco naturalizzato inglese Siemens e dal francese Martin integrato poi con il convertitore dell’inglese Bessemer ) riuscirono a consentire, eliminando le impurità, la trasformazione della ghisa liquida in acciaio, un materiale resistente alle alterazioni, essenziale nell’industria manifatturiera, nella costruzione di condotti, nell’industria alimentare e a far nascere il cemento armato, l’anima dei grattacieli.
Nel periodo ’70 – ’95 , tutte queste profonde innovazioni, dal modo di produrre a quello di trasportare, determinarono una fortissima spinta produttiva, creando offerta in eccesso sulla domanda e provocando un crollo dei prezzi del 30 – 40 % in ogni settore. Questo crollo dei prezzi falcidiò le forme di impresa incapaci di adeguarsi o aventi dimensione troppo piccola per farlo. Ciò attivò un processo di concentrazione intenso, agevolato pure dal meccanismo dei prestiti bancari, fondato quasi solo sul patrimonio posseduto e non sul progetto commerciale attivato. Ciò faceva delineare molte aggregazioni industriali, commerciali, finanziarie, di vari tipi (monopoli, oligopoli, cartelli) , comunque tese a limitare la concorrenza.
Peraltro, essendo indiscutibilmente chiaro che la concorrenza era un aspetto determinante dell’essere una società libera, il pericolo monopolistico venne subito avvertito negli Stati Uniti, i quali già nel 1890 emanarono la legge anti monopolio (Sherman Act). L’art.1 era “Qualsiasi contratto, accordo, in forma di trust o in altra forma, ogni collusione, tesi a restringere il commercio tra diversi Stati dell’Unione, o con nazioni straniere, sono illegali”. Quella legge, la prima al mondo, è restata per decenni un’eccezione (ad esempio, in Italia ne è stata introdotta una corrispondente esattamente 100 anni dopo, su richiesta dall’Europa e in termini assai più blandi). Applica l’idea, con base sperimentale. che la libertà dei cittadini individuo non può essere lasciata in mano a pochi, appunto perché riguarda tutti gli individui e la società deve essere aperta per migliorare la convivenza al passar del tempo. 3.12 e)In conclusione. Quanto avvenuto rapidamente nell’ultima parte del XIX secolo è un’ulteriore conferma del come sia del tutto irrealistico supporre che il mezzo per la convivenza sia leggere ciò che dispone un libro sacro o attuare un’ideologia che è immobile per fisiologia. Di conseguenza, è avvalorata l’ipotesi che il metodo liberale sia sostanzialmente corretto. Ma ciò vuol dire rispettare alcuni punti irrinunciabili. Che il metodo liberale stesso si fonda sulla sperimentazione della realtà, che non suggerisce mai dei comportamenti certi, che il suo imperniarsi su libertà, individualismo e diversità fornisce ipotesi da verificare e in più provvisorie, che funziona meglio delle altre ipotesi note purché si applichi abituando il cittadino a non fare pause nell’esercizio del proprio spirito critico.
Il mondo liberale e l’ampia parte di quello laico che inclina al liberalismo, dovrebbero approfittare della nuova attenzione suscitata a metà di marzo circa il ruolo civile della legge 222/1985 nei suoi molteplici aspetti. L’attenzione è stata risvegliata da un grosso articolo su l’Espresso che ha approfondito un tema – quello del vero rapporto tra Repubblica Italiana e Stato del Vaticano – tenuto ai margini da un’ipocrita concezione della democrazia civile , irrispettosa anche di sentenze della Corte Costituzionale consolidate. A questo punto, per il mondo liberale e l’ampia parte di quello laico, si tratta di ragionare su quel rapporto al fine di impedire che si allarghi l’ipocrita concezione della democrazia civile, o preferibilmente al fine di diminuirne l’effetto.
Per tale ragionamento, occorre partire dalla legge 222 del maggio 1985 sui Beni ecclesiastici e sul sostentamento del clero cattolico. Una legge che regolamenta il settore nel diritto italiano, alla luce di quanto pattuito nel rinnovato Concordato sottoscritto il 18 febbraio ‘84. Questo Concordato ha abrogato tutte le norme di quello del 1929 non esplicitamente riprodotte (per esempio quella che definiva la religione cattolica sola religione dello Stato italiano). Il tema beni ecclesiastici e finanziario è trattato all’art. 7 comma 6 e 7 che istituisce una Commissione Paritetica per formulare la disciplina della materia (il che fornisce l’implicita conferma della volontà della Repubblica di farsi carico degli oneri finanziari del clero). Quanto elaborato da tale Commissione venne poi approvato in un protocollo aggiuntivo sottoscritto nove mesi dopo, 15 novembre 1984, con il testo sulla materia affidata. La ratifica del Concordato avvenne con la legge 121/1985, e la ratifica del protocollo con la legge 206/1985. Non esistono altre leggi di ratifica di questi accordi internazionali. Eppure i clericali puntano ad allargare l’ambito giuridico della loro influenza.
La tesi dei clericali è che la 222/1985, normando temi in materia concordataria, sarebbe una legge di tipo costituzionale (dicono rinforzata). Una tesi sostenibile solo applicando la concezione clericale secondo cui le norme dello Stato Italiano, nelle questioni interne, non prevalgono sul Concordato (nonostante che la Corte Costituzionale , a partire dalla famosa sentenza 203 del 1989, abbia sancito in modo inequivoco la laicità dello Stato e la sua non confessionalità quale garante della libertà di religione). Insomma una concezione che vorrebbe regredire di secoli, nel tentativo di giustificare la compartecipazione del Papa alla gestione del potere civile terreno. Per fortuna la realtà è un’altra.
La legge 222/1985 riproduce il testo del protocollo del novembre 1984 ratificato con una legge antecedente, ed è stato necessario farla poiché, trattandosi di una materia vivente nella quotidianità, per dare valore nel diritto italiano a quelle norme, era indispensabile una specifica legge nazionale. Non a caso ci fu una ampia e non breve discussione parlamentare per varare la legge 222/1985 che approvava a fini interni le norme sui beni ecclesiastici e il sostentamento finanziario del clero (tra le quali rientra il pezzetto sull’inoptato). Perciò la 222/1985 risponde a tale imprescindibile esigenza e, rientrando esclusivamente nel diritto italiano, ha la natura di legge ordinaria, modificabile con le normali procedure.
Riassumendo, con la 222/1985 il Parlamento rimane pienamente sovrano nel decidere come gestire l’8xmille, vale a dire come finanziare il sostentamento della Chiesa. Non ha fondamento giuridico l’interpretazione clericale secondo cui la 222/1985 sarebbe una legge rafforzata (e dunque modificarla richiederebbe una procedura costituzionale), dal momento che nell’ordinamento italiano non esiste davvero il concetto di legge rafforzata. Le norme sono costituzionali oppure ordinarie. Non si possono arbitrariamente limitare i poteri delle Camere ed impedire loro di modificare una legge ordinaria come la 222/1985.
In tale quadro, l’impegno del mondo liberale e dell’ampia parte di quello laico incline al liberalismo, è utilizzare la rinnovata attenzione alla 222/1985 e spingere la funzione pubblica verso il suo ruolo originario (mentre lo indebolisce chi nega il divenire sempre più laico della la realtà). Ciò è fattibile senza toccare il principio del sostentamento al clero (procedura parlamentare molto ostica, richiedendo una modifica del Concordato) e affrontando esclusivamente un aspetto di diritto nazionale, che è poi l’obiettivo dell’Associazione Via Le Mani dall’inoptato titolare del sito www.vialemanidallinoptato.it. Eliminare l’ultimo periodo del secondo comma dell’art.47 della legge 222/1985. In sostanza abrogare le parole “ In caso di scelte non espresse da parte dei contribuenti, la destinazione si stabilisce in proporzione alle scelte espresse “ e con esse l’uso del sistema dell’inoptato nel finanziare la Chiesa.
Un simile obiettivo è importante non soltanto sotto il profilo finanziario per rimuovere procedure ingannevoli verso i cittadini, quanto soprattutto sotto il determinante aspetto politico costituzionale. Infatti quelle parole sono di fatto un raggiro del cittadino contribuente. Al quale in apparenza viene data la scelta di destinare il suo 8 x mille (che in via ordinaria spetterebbe all’Erario) ad uno dei soggetti religiosi compresi in un elenco prestabilito. Tuttavia, nella sostanza, qualora non ne faccia uso, è obbligato a condividere le scelte di ciascuno dei soggetti dell’elenco in proporzione alle scelte a favore di ogni soggetto espresse dall’insieme dei contribuenti. Da qui due conseguenze. I singoli cittadini che non scelgono l’8xmille, vengono assoggettati alle scelte di chi le ha fatte; e l’Erario rinuncia interamente ai soldi che gli spetterebbero in caso di mancata scelta. Nel complesso, non c’è un responsabile politico di avere erogato quei soldi e si rafforza la linea del fingere che i soldi li abbiano decisi direttamente i cittadini.
Abrogare la procedura dell’inoptato (ultimo periodo dell’art. 47 comma 2 della 222/1985) è un passo significativo – nel segno del rispetto della laicità istituzionale, che esclude privilegi e sotterfugi alle spalle del cittadino – per sconfiggere l’ipocrita concezione della democrazia civile. In uno stato laico, finanziare le confessioni religiose può essere deciso solamente mediante un regolare atto pubblico sottoposto al giudizio dei cittadini e non con un marchingegno oscuro che inganna il contribuente (oltretutto premiando di fatto una delle confessioni religiose, quella cattolica, con una procedura opaca, così opaca che, nata nel 1985 per sostenere le congrue, ha un meccanismo il cui ammontare, lievitando negli anni, porta al giorno d’oggi a finanziare molto di più).
Inoltre, eliminare la procedura sull’inoptato, rende chiara la destinazione dell’8xmille in base alla scelta fatta da ciascun contribuente e fa risparmiare l’Erario. Al contempo non impedisce che il Governo decida , in base a valutazioni circa l’ammontare effettivo dei finanziamenti alle confessioni, di erogare somme aggiuntive a quelle dell’8xmille. Costringendo il Governo a compiere tale atto qualora ritenuto opportuno, si ripristina il fisiologico funzionamento del sottoporre le sue scelte al giudizio elettorale dei cittadini non più soggetti al raggiro dell’inoptato. Il che è decisivo in una liberaldemocrazia. Abrogare questo marchingegno è dunque un passo circoscritto ma significativo per restituire alla Repubblica il ruolo essenziale di garantire l’esercizio della libera convivenza fondata sugli scambi di iniziative e progetti anche alternativi, da valutare sui risultati ottenuti e non sull’appartenenza o le amicizie di chi li propone.
Per tali motivi, è augurabile che liberali e laici portino al successo l’iniziativa dell’Associazione Via le Mani dall’Inoptato. Un’iniziativa che applica la laicità istituzionale contro le lobbies clericali e delle loro mentalità illiberali senza cadere in anacronistiche battaglie contro il Vaticano. E che è particolarmente significativa nel momento in cui l’Italia è chiamata a guarire la propria burocrazia da abitudini distorte che ostacolano fino ad impedirlo il corretto funzionamento della macchina pubblica. Abrogare l’inoptato imbocca la strada maestra per il funzionamento della libertà caratteristica dell’occidente e dell’originaria ispirazione europea, vaccinandola da ogni falsa suggestione perseguita dalle élites. Per tutto ciò è importante il risveglio del mondo liberale e dell’ampia parte di quello laico che inclina al liberalismo.
Considerazioni sull’iniziativa dell’Associazione Livornse Storia Lettere Arti inviate al Presidente Marcello Murziani
Caro Presidente,
giovedì pomeriggio ho presenziato alla riunione presso la Sala Cappiello per la presentazione del Progetto “La storia di Livorno con un click”. Un evento significativo nel percorso dell’ALSLA , da te illustrato fin dalla riunione dell’Assemblea tenuta diverso tempo fa in Via Borsi.
Già in quella riunione – e in seguito almeno una o due altre volte – ti feci presente che mentre era molto opportuno (e coerente) l’intento di inserire on line tutti gli elaborati prodotti dall’ALSLA negli anni al fine di diffondere molto di più tra i cittadini l’esprimersi della vita livornese nei suoi vari aspetti, viceversa non lo era la scelta di realizzare l’inserimento imperniandolo sulla vecchia concezione della rete delle Biblioteche (concepita per addetti e per appassionati, non per i cittadini) e non sulla dinamica potenzialità del web assai più raggiungibile per i cittadini normali ed imperniata sul diffondere l’uso del sito dell’ALSLA (in ovvia connessione OPAC). Usare tale potenzialità avrebbe raggiunto il duplice risultato di facilitare l’effettiva ricerca dei vari elaborati da parte dei cittadini e di restare coerente alla specificità del contributo ALSLA, espressione dell’attiva iniziativa culturale esterna al circuito delle pubbliche istituzioni cittadine fin dalle sue origini.
Nelle diverse occasioni tu ascoltasti le mie osservazioni con molta cortesia e manifestando interesse, ma , stando ai risultati, senza darvi seguito effettivo. Così “La storia di Livorno in un click” nasce come iniziativa con un netto marchio istituzionale all’interno della rete biblioteche OPAC. Enuncia di essere pronta ad aprirsi a nuovi contributi e prospettive, ma solo inquadrandoli nel filtro di quelle prevalenti relazioni istituzionali. Così l’ALSLA viene tenuta in disparte, non valorizzandone la soggettività e neppure la storica attitudine a far esprimere senza mediazioni le iniziative civili in quanto tali.
Ne è un esempio l’intervento nella Sala Cappiello dell’assessore, tra l’altro persona preparata e di buoni intenti. Ha ripetutamente citato il suo intervento nell’ampio dibattito apparso più volte su il Tirreno le scorse settimane sul tema delle carenze politico culturali della città. Ha insistito sul concetto che le amministrazioni, anche prima di lui, hanno fatto molto e che il nuovo Direttore del Museo della Città proseguirà su questa linea, proprio perché lui, non livornese, è estraneo ai contrasti esistenti a Livorno. Ma sta proprio su questo punto il nodo che ha causato il forte declino di Livorno negli ultimi decenni. L’incrollabile ritrosia a voler dar spazio al contrasto delle opinioni, di fatto privilegiando un conformismo istituzionale senz’anima, fuori dalla realtà che scorre.
Del resto, di tutto ciò si trova riscontro nel nuovo Progetto. Non solo nel meccanismo aggrovigliato da seguire (e non centrato sull’ALSLA) per accedere sul web ai testi da essa prodotti nei decenni, ma anche nel definire “fenomeno inaspettato” quella notorietà di Livorno a livello internazionale, da ritenere ben nota qualora si fosse davvero penetrato il senso libero ed aperto della Livorno delle Nazioni (qui ricordo che da anni ho segnalato che il motto in bella vista sulla testata del sito dell’ALSLA, “Diversis gentibus una”, contraddice l’anima dell’Associazione, dato che essa si caratterizza non per valorizzare un’inesistente “unità“ di Livorno, bensì al contrario per valorizzare la capacità del fare interagire le sue differenze culturali ed individuali).
In ogni caso, al punto in cui siamo arrivati, il mio auspicio – conseguente le osservazioni precedenti – è che tu voglia raddrizzare la barra e cogliere la nuova occasione che si presenta per rendere possibile all’ALSLA un mutamento di rotta e la ripresa del cammino originario. Nella nuova sede in Scali Bettarini 8 è prevista una biblioteca cartacea , che riduttivamente è stata definita ancillare rispetto alle Biblioteche Labronica e dell’Archivio di Stato (imparagonabili in quanto aventi funzioni differenti). Invece, questa nuova biblioteca, ponendosi anche come il fulcro di un rinnovato sito web ALSLA, può divenire agevolmente, potenziando lo stesso sito, il punto di riferimento mediatico per l’accesso diretto degli utenti (attraverso adeguati algoritmi sottostanti del sito) ai testi prodotti nei decenni e progressivamente installati sul sistema OPAC. Questo meccanismo restituirebbe all’ALSLA l’immagine corrispondente al suo ruolo, diffondendone la notorietà come tale e rimarcando l’attività extra istituzionale quale nuova espressione della diversità di cittadini privati che si occupano di problematiche legate alla convivenza storica nella città. Senza alcun conformismo verso la struttura istituzionele in atto.
Augurandomi che tu voglia comprendere il richiamo realistico delle mie considerazioni e possa agire per realizzare questo auspicio, ti ringrazio per l’attenzione
I liberali livornesi celebrano con deferenza il 25 aprile, il 78° anniversario dall’insurrezione nei territori ancora occupati dai nazisti e dai repubblichini Salò, lanciata dal Comitato di Liberazione Alta Italia in nome degli italiani e dei Volontari della Libertà. Questa data , fin dall’anno successivo resa festa nazionale, è l’emblema della partecipazione civile che determina il proprio libero avvenire. Si avviò così quel percorso democratico di differenti forze politiche , che nel giro di un triennio portò alla Repubblica, al voto per la Costituente e poi alla Costituzione. L’Italia si organizzò come società aperta tra cittadini diversi, portatori di iniziative autonome, con uguali diritti elettorali femminili e maschili, per dirimere gli scontri e scegliere gli indirizzi istituzionali. Questa fu l’etica della Costituzione, dedita allo sviluppo della persona umana, che si esprime attraverso la libertà dei cittadini. Dunque un’etica democratica, che vieta la ricostituzione del disciolto Partito Fascista e , per il primo quinquennio, l’elettorato attivo e passivo di quelli che erano stati i suoi capi, e perciò contro ogni progetto totalitario, autoritario, autarchico, di privilegio religioso. La Costituzione si è realizzata da allora, ha utilizzate le procedure previste (seppure non ancora tutte) con buon successo, agevolando la crescita politica ed economica del paese e, con il voto del settembre 2022, completando il suo percorso democratico del prevalere, di volta in volta nei decenni, dell’intero arco politico. Peraltro i liberali , che non hanno mai condiviso la cultura degli eredi di Salò maggioritaria nell’attuale legislatura, restano coerenti con la propria cultura, imperniata sulla libertà, sugli uguali diritti, sulla diversità individuale, sull’UE dei cittadini e sullo stare ai fatti. Perciò, nel celebrare l’anniversario del 25 aprile guardando al futuro, ritengono errato e perfino controproducente fare un’opposizione polemica sulle forzature più che sui contenuti di governo, al limite dell’autolesionismo. Proprio il 25 aprile deve stimolare il dibattere i contenuti dei rispettivi programmi, nonostante che i mezzi di comunicazione privilegino le risse mediatiche.
Gli ambienti liberali livornesi apprezzano che il Tirreno abbia dato rilievo ad una serie di articoli sul tema – ormai prorompente – della mancanza, nella vita pubblica di Livorno, di una riflessione approfondita sul perché non esista più la mitica città rossa di una volta e il futuro sia incerto. Peraltro, gli ambienti liberali ritengono che finora la riflessione non sia davvero arrivata a toccare il senso di questo cambio di epoca. Resta invischiata in vario modo in analisi e in quesiti tipici della logica della città rossa, a cominciare dal ridurre tutto al cercare di definire l’identità livornese. Oltretutto cercando risposte nei comportamenti di vari singoli protagonisti pubblici degli ultimi tre quarti di secolo (spesso facendo salti avanti e indietro nei decenni) e neppure sforzandosi di approfondire quanto emerge dall’osservazione pluridecennale degli avvenimenti che nello stesso periodo hanno condotto all’eclisse della città rossa.
La natura dell’eclisse – Nel considerare scontata tale eclisse, gli ambienti liberali non esprimono alcun pregiudizio anticomunista, nonostante la loro cultura appartenga ad un’area che non è mai stata comunista, seppur includendo un periodo nell’ultima legislatura Lamberti in cui è stata alleata del PCI a livello circoscrizionale nell’amministrare Livorno. Avallare tale eclisse è solo il portato dell’osservazione sperimentale di quanto è avvenuto in città nell’ultimo sessantennio, un passo alla volta ma senza interruzione. Livorno è precipitata nella quasi totalità delle classifiche in campo socio economico e di qualità della vita, subendo anche un calo demografico. Ciò non per un destino cinico e baro. Bensì per il frutto di due precise attitudini. L’una è l’adottare politiche che hanno costantemente anteposto l’ideologia ai bisogni e agli indirizzi dei cittadini nella loro diversità, l’altra è il rifiutare continuo e persistente di valutare ogni volta il risultato delle politiche adottate in modo da potersi correggere e mutare indirizzo. Simili attitudini immutabili hanno espresso la difesa ossessiva del potere esercitato dal partito dominante (PCI ed eredi) e dalle sue tentacolari connivenze, che hanno seppellito Livorno sotto una coltre di conformismo civile sempre più spessa e sempre meno reattiva. Accumulatasi nei decenni, specie dagli anni ’90 in poi.
Settori trascurati – L’utilizzo crescentemente ideologico delle tematiche del lavoro operaio non ha svolto un’azione propulsiva e protettiva in settori cardine. Quale il cantiere navale, crollato per mancanza di prospettive congiunte ad una sterile autoreferenzialità. Quale la cura superficiale della portualità, disattenta al ruolo internazionale in termini di traffici e di aggiornamenti tecnologici ed invece esauritasi in beghe di pollaio sulle banchine (fino a determinare carenze ben note, tipo i bassi fondali e gli ostacoli delle canalizzazioni elettriche). Quale gli scontri di retroguardia sui privilegi della Compagnia Portuali che hanno provocato gravi ritardi senza fermarne il netto declino. Quale le farraginose vicende delle Darsene, in particolare quella Europa, concepita senza porsi davvero il tema del suo effettivo utilizzo commerciale nell’ambito del commercio mondiale e dell’organizzazione aperta dello scalo che essa richiederà. Quale le sottovalutazioni e i ritardi nel potenziare i collegamenti ferroviari e viari complessivi dei traffici portuali con l’entroterra e perfino la dissennata rinuncia urbana al collegamento metropolitano esistente in sede propria con Pisa via Tirrenia. Quale l’incapacità di mantenere vitale il tessuto delle industrie, che ha finito per sfilacciarsi a ritmi serrati, inducendo una capacità produttiva assai ridotta e bassi livelli occupazionali. Quale la completa dimenticanza del settore del turismo (nonostante che la condizione assai favorevole dell’ubicazione e del clima cittadini indichi una propensione fisiologica) perché ritenuto un settore legato al modo di vivere capitalista e alla mutevolezza individuale, fattori in contrasto con i valori inclini al conformismo comunitario del lavoro operaio organizzato in precisi luoghi ad esso dedicati e controllabili (un pregiudizio gravissimo nella sua sterilità, iniziato cinquanta anni or sono quando le strutture sindacali e del partitone fecero colare a picco l’iniziativa del Marina realizzata assai tempestivamente da Comune e Provincia coinvolgendo anche gli imprenditori privati, quando iniziative consimili erano ancora quasi inesistenti sulle coste europee del mediterraneo).
L’illusione del sistema eterno – Nel complesso un sistema impermeabile al verificare la gestione del potere in base ai risultati ottenuti, per la ragione che il fine di quella mentalità non era il far funzionare meglio la società ma agevolare il blocco sociale prevalente e la celebrazione dei riti e delle parole d’ordine di quel potere ideologico, nell’illusione che sarebbero perdurati a prescindere dalle condizioni locali e internazionali mutevoli nel tempo.
La città è restata avvolta in una monocultura ideologizzante, chiusa ai rapporti sperimentali delle relazioni tra i cittadini, all’interno della città e ancor più con i territori limitrofi. Una simile cultura non poteva che provocare l’eclisse della città rossa. Ed è singolare – o meglio, preoccupante – che la riflessione a più voci che il Tirreno ha pubblicato, non giunga a rilevarlo. Persistendo su questa linea, la riflessione avrebbe solo la natura di un ricordo nostalgico per far risuscitare qualcosa che non c’è più e che non può più tornare. Del resto, tale assenza è uno stato di cose di cui erano percepibili avvisaglie almeno fin dai primi anni duemila e che si è palesato a livello istituzionale alle amministrative del 2014.
La svolta del 2014 – Allora, l’elezione del Sindaco del M5S ruppe all’improvviso il settantennio del dominio del partito della sinistra, manifestando il rifiuto dei cittadini , serpeggiante già prima, dell’esser amministrati da un gruppo politico accecato dalla propria autoreferenzialità e incapace (perfino non interessato) a sciogliere i nodi della convivenza civile e tanto meno a risolvere quelli della vita individuale dei cittadini.
Ovviamente quella rottura rese disperati i fedeli del potere immobilista (subito trasformatisi in fautori del restaurare) ma non servì al M5S per svolgere un programma amministrativo concreto di cui non disponeva, a parte la volontà di mutare registro. La nuova Giunta riuscì ad essere concreta solo nell’adottare indirizzi maturati in precedenti battaglie dei cittadini (tipo il no all’ospedale a Montenero oppure la revisione dell’intervento urbanistico su Piazza del Luogo Pio) ma restò presto intrappolata nella palude di funzionari e dipendenti municipali, l’effettiva spina dorsale del potere comunale lontano dai cittadini e vicino per convenienza all’ideologia dominante.
La Giunta M5S si trovò presto con le unghie spuntate, divenne il facile obiettivo di continue polemiche sindacali a carattere strumentale e fu indebolita da rotture nel gruppo consiliare. In pratica, le sole iniziative autonome riuscite alla Giunta, sono state due. La pur contestatissima vicenda del concordato preventivo AAMPS, che, andando in porto, salvò l’azienda sottraendola alle grinfie dei soliti privilegi amicali; e la questione delle modifiche statutarie imperniate sull’ampliamento referendario, che ebbero l’unanimità del Consiglio Comunale a fine legislatura ma che restarono contrastate dall’alta dirigenza dei funzionari contraria ad allargare il potere di intervento dei cittadini. Nel complesso, il M5S non fu affatto in grado di indicare ai livornesi una credibile prospettiva di governo per ottenere la conferma.
La restaurazione del 2019 – Alle elezioni 2019 è ritornato un Sindaco del PD ma non una nuova linea aperta ed univoca di gestire Livorno. Alcuni (come larga parte della macchina comunale e del partito) intendevano il ritorno come semplice restaurazione dell’epoca precedente, non scalfita dalla parentesi grillina, considerata incidente irrilevante. Altri (come il nuovo Sindaco, alcuni dello staff e della Giunta) equiparavano la continuità amministrativa con il mostrare facce rassicuranti ai livornesi. Quella ubbidiente alle indicazioni fiorentine della Regione per soddisfare loro interessi (almeno tre i casi, annullare l’area verde del Parco Pertini per rinnovare l’Ospedale senza rispetto urbanistico della zona, restare al vecchio inceneritore di 50 anni fa sacrificando l’impegno a ridurre drasticamente i fumi dei rifiuti, mettere in piedi un contenitore espositivo nei capannoni ex-filoviari avulso dalla vocazione culturale della città), una faccia ubbidiente adottata senza mai coinvolgere i cittadini mediante strumenti di partecipazione previsti dallo Statuto . E poi l’inventarsi l’onnipresente faccia di Livorno festaiola con una sequela di eventi celebrativi d’ogni genere diretti a imporre una distrazione di massa. Il tutto accompagnato, per completezza, dalla martellante insistenza di continui attacchi alla Giunta del M5S incolpandola di ogni cosa che non va (come l’aver deciso e materialmente avviata la nuova pavimentazione di Via Grande, subito bloccata dall’attuale Giunta e a distanza di quattro anni ancora ferma).
Insomma, la maggioranza in Municipio persiste nell’annunciare di continuo l’esecuzione a breve di ogni intervento previsto, senza che ciò avvenga. Non c’è bisogno di ricordare che i ragionamenti pubblicati sul Tirreno – seppure non incisivi a nostro avviso – non trovano riscontro nel dibattito politico culturale. Che invece è sempre più urgente e senza dubbio dovrebbe pure essere finanziato da parte delle Istituzioni per agevolare gli studiosi. Ma sarebbe un grave errore finanziare un’associazione che fa parte del nucleo dei nostalgici della città rossa, pronto a celebrarla senza mai esercitare lo spirito critico. Al punto da aver perfino avuto in programma una celebrazione della scissione del 1921 al Goldoni , tesa ad esaltare il centenario del comunismo a prescindere dal suo fallimento storico sperimentato. Con un simile dna non si può essere cultori della società aperta tra cittadini liberi e responsabili.
Cosa fare – Gli ambienti liberali livornesi ritengono che, per riprendersi dall’eclissi, Livorno debba prima possibile riscoprire il senso della propria origine di città delle diverse nazioni, capaci di confrontarsi e di collaborare senza cadere in trappole contraddittorie di unità che per natura si contrappongono al ritmo del cambiamento. Il dibattito sulla memoria deve imperniarsi sulla questione centrale del rendere possibile applicare la libertà del cittadino nella convivenza civile. Di conseguenza, riflettere sulla città rossa non più esistente significa osservare gli avvenimenti senza nostalgia, per cogliere i rapporti tra l’ambiente ed i cittadini nonché le relazioni dei cittadini tra di loro. Non per trovare un’eternità ideologica che resta fuori della vita, ma per cogliere il ritmo del cambiamento in cui si manifesta l’esercizio della libertà attraverso le iniziative individuali, da valutare in base ai rispettivi risultati indotti.
Livorno deve approfondire la propria vocazione. E mantenere la consapevolezza che potrà avere un futuro solo riconoscendo come la convivenza ruoti attorno a quattro fattori che non lo determinano ma lo rendono possibile. Scegliere in ogni momento regole adatte al realizzarsi della libertà nelle relazioni tra i singoli cittadini; accettare che ogni cittadino è individualmente diverso; garantire che ogni cittadino individuo abbia uguali diritti legali e possa esercitarli; verificare al passar del tempo che le istituzioni costruite realizzino la miglior convivenza possibile, consentendo a ciascuno di disporre delle risorse necessarie per cibarsi e per vivere. Il declino di Livorno deriva dal non essersi impegnati su questi quattro fattori, sostituendo l’ideologia irrealistica e la speranza di un libro eterno al fisiologico conflitto tra i conviventi, il solo che costruisce migliori condizioni di vita in tutti i settori.
Il voto del 2024 – Riscoprire tali quattro fattori, significa dare il massimo spazio istituzionale alle scelte dei cittadini e mai dare alla maggioranza un privilegio che soffochi i diritti delle minoranze. Pertanto, in vista del voto amministrativo della primavera 2024, va messa a punto una proposta programmatica imperniata su ciò. E siccome risulta chiaro come non esista una maggioranza precostituita né una formazione fortemente prevalente, è indispensabile iniziare dall’aggregare una coalizione tra forze diverse ma potenzialmente convergenti sul creare le condizioni per costruire quello spazio.
Tali condizioni minime sono evidenti. Quanto al candidato Sindaco, va scelto in modo da rappresentare un punto di equilibrio raggiunto su un cittadino di qualità indiscussa (non si possono usare le mitiche primarie causa l’ampiezza della coalizione), che si impegna ad applicare il programma della coalizione. Inoltre almeno sei punti programmatici. Uno, immediata revisione delle azioni in atto – iniziando dallo stravolgimento del Parco Pertini e dal mantenimento dell’inceneritore comprese le procedure di smaltimento dei rifiuti urbani – facendo decidere ai cittadini, prima di procedere , mediante l’uso dei referendum statutari. Due, pronta abrogazione dallo Statuto dei Consigli di zona privi di potere amministrativo reale, che così sono soltanto un inganno dei cittadini cui vien fatto credere di contare, mentre fanno da spettatori passivi delle decisioni dei gestori del potere. Tre un deciso impegno nel campo turistico valorizzandone lo spirito di innovazione. Quattro battersi per ribaltare la legge nazionale che tiene Livorno separata dal Porto. Cinque un’equa suddivisione degli assessorati in base alle competenze e al peso rappresentativo elettorale. Sei adottare su vasta scala la linea di promuovere il pensionamento anticipato tra i funzionari e i dipendenti così da smantellare le nostalgie per gli antichi rapporti di potere ed anche riscoprire il valore della competenza. Tali sei punti servono ad indurre le condizioni per il cambiamento amministrativo nella convivenza labronica.
Gli ambienti liberali auspicano – ritenendo teoricamente un’amministrazione d’impostazione conservatrice meno adatta ad invertire il declino – che la coalizione programmatica ora delineata arrivi a comprendere il PD , la sinistra d’opposizione, il M5S, i gruppi centristi e quelli laici. Senza predestinati e con il metro delle proposte. Peraltro, siccome per realizzarla occorre un’azione decisa e realistica in tempi stretti, così da superare rigidità e pregiudizi radicati, gli ambienti liberali ricordano che, nel caso non si arrivasse a tale coalizione, è normale prevedere che finisca per avere maggior peso la speranza di tornare a ribaltare l’esito del 2019, dando questa volta la vittoria al destra centro (che oggi gode anche di un clima nazionale favorevole) o da solo o alleato con nuove formazioni civiche (anch’esse fautrici del rinnovamento amministrativo). In tal caso, i nostalgici della città rossa che non c’è più, non dovrebbero inveire contro il fato. Chi è causa del suo mal pianga sé stesso.
In questa biblioteca i testi, gli interventi e i richiami alle iniziative vengono inseriti a ritroso partendo da oggi.
Quindi, siccome il periodo da coprire è assai lungo, per ora è certa la presenza dei documenti da oggi fino al 2002, dicembre.
Man mano saranno riportati anche tutti i testi, gli interventi e le iniziative degli anni precedenti.
RICERCHE sul materiale presente ad oggi
Inserendo nel riquadro “CERCA” una parola (un concetto, un oggetto, un avvenimento), un cognome, un nome (di persona, di associazione, di paese), un numero, la ricerca seleziona i testi, gli interventi e le iniziative che li contengono.