Progetto e gruppo dirigente PD

Progetto e gruppo dirigente sono strettamente connessi. Il progetto discende da quello avviato nel ‘95 e il gruppo dirigente è in sostanza quello di allora. E’ normale che si reggano e cadano insieme.

In origine Ulivo e ulivismo non erano la stessa cosa. L’Ulivo era la coalizione formatasi nella primavera ‘95 (fondatori anche i liberali) in alternativa politica alla Casa della Libertà. L’ulivismo era il sottostante disegno di Prodi e Parisi i quali hanno sempre concepito il contrapporsi a Berlusconi come premessa ad una formazione unica dell’intero centrosinistra in chiave bipolare. Noi liberali avvertimmo presto l’obiettivo mutante – dalla coalizione dell’Ulivo  all’ulivismo indistinto – e perciò, dopo Gargonza (marzo ’97), ci distaccammo pur restando nell’area. Per noi era ed è assurdo organizzare la convivenza basandosi sull’indistinzione culturale. Organizzare la convivenza significa irrobustire la capacità di ogni cittadino di esercitare la sua libertà individuale nella complessità del reale. Quindi, servono più distinzioni culturali e non meno, perché solo disponendo di un più ampio ventaglio di valutazioni si possono cogliere, nel tempo e con il confronto, i nodi di illibertà da sciogliere e i modi per farlo. Sono indispensabili partiti (diversi per filoni culturali) e poi coalizioni programmatiche di governo che indichino quali nodi affrontare, quando e come.

Dopo il 2003 l’indistinzione culturale ulivista ha assunto la forma di PD , un sindacato di potere nato senza altro progetto politico culturale che sé stesso. E mancando un progetto politico culturale per affrontare la realtà e districarla, si è ricorsi a diagnosi  insufficienti, se non errate, che giustifichino l’esistenza del PD e motivino la evidente difficoltà di governare.  Sugli esempi c’è solo l’imbarazzo della scelta.

Cominciamo dall’ossessione di Procuste: se la realtà non corrisponde ai desideri, si taglia la realtà. I dirigenti PD aspirano ad incarnare il destino mondiale di nuovi assetti. Non  ve ne è traccia neppure al livello europeo, più vicino per cultura e sociologia. Popolari, socialisti, liberali e più piccoli la sinistra, gli ambientalisti, la destra rigida, non pensano a rimodellarsi sull’indistinzione culturale PD. Eppure il PD nega scandalizzato che i propri esponenti possano restare in Europa ove sono oggi (diesse con socialisti e margherita con Democratici Europei, collocati, avendo 22 deputati, con i liberali, 68 deputati) , però non dice mai quale sia l’assetto alternativo. Poi c’è il caso dei nanopartiti. Nella coalizione Unione i partiti non ulivisti sono numerosi, irriducibili ed elettoralmente ben oltre un terzo del totale. E siccome, per i sondaggi, il PD nascendo si è indebolito, la tesi dei dirigenti PD è che non dipende  dall’immagine di sindacato di potere bensì dal numero eccessivo di partiti. Dunque la cura non sarebbe definire terapie credibili per i problemi, ma impedire che i partiti siano tanti  cacciando i nani. Si oscilla tra vari sistemi elettorali ma non per favorire il ritorno alla politica ( proposte, conflitti sulle proposte,  scelte e  controlli più consapevoli). Il fine è congelare l’esistente attorno ai partiti più grossi. Veltroni lo teorizza perfino. Ma non è la frammentazione che rende difficile la governabilità, è la grave carenza di progetto politico che incentiva la frammentazione.

Dopo c’è l’assonanza tra PD e FI sulle prassi decisionali. Ambedue leaderistiche e plebiscitarie. Ormai Berlusconi convoca i gazebo e Veltroni estrae di tasca le decisioni. Ambedue adottano il partito fluido, senza richiami culturali, che porta alla demagogia piramidale.  Ambedue rifiutano la politica quale conflitto secondo le regole. Se il governo non governa, è  colpa di piccoli alleati riottosi. Ma i problemi sollevati dalla sinistra antagonista sono molto spesso reali ( vedi questione salari bassi e questione della sdrucita rete di protezione sociale), anche se le soluzioni avanzate sono ultravetero. I problemi potrebbero avere soluzioni innovative. Non si cercano perché le vecchie contrapposizioni assicurano il consenso. La convinzione bipartisan è che i veri politici devono essere attenti al potere e non al progetto.

Bosetti si chiede se alcune affermazioni del PD sulla tv non suonino comiche. In genere fanno ridere gli imprevisti, qui non sono imprevisti, sono le conseguenze delle scelte fatte. Siccome la scelta sono gli interessi, si afferma che occorre reagire allo scadimento televisivo e innovare il servizio pubblico, poi si nomina responsabile PD della comunicazione Follini, che era il partito RAI già a metà anni ’80. Insomma, la non credibilità politica del gruppo dirigente PD non è incapacità di attuare il progetto, è aver scelto il progetto PD inadeguato per il paese. La difficoltà di definire  il PD consegue le impostazioni dei due partiti chiesa dai quali deriva, che fanno respingere d’istinto l’idea che la democrazia sia conflitto tra cittadini entro regole aggiustabili nel tempo per rapportarsi al reale. Allora dominava l’idea che l’esistenza di ciascuno fosse l’appartenere alla propria chiesa; ora che la chiesa è una sola, è dominante l’ossessione di includere tutti (esilarante ed istruttivo Crozza sui “ma anche” veltroniani). E l’eccessiva inclusività, ricorda Ambrosi, diventa un ostacolo peggiore del settarismo quando pretende di mettere insieme posizioni radicalmente eterogenee.

Il limite essenziale del PD consiste nella nascita gattopardesca.  Alle ideologie si è contrapposto l’avvento della indistinzione culturale, che non coglie il senso della crisi delle ideologie epperò, avendone dichiarata la fine, permette di non perdere gli agganci pratici delle vecchie militanze. Il senso della crisi delle ideologie sta altrove, nell’aprirsi al tempo e alla libertà individuale, nella costruzione che subentra all’utopia, nella scoperta della enorme variabilità delle identità degli individui e negli individui. Al contrario nel PD si confonde tra criteri per collaborare e coalizzarsi (che sono una cosa) e criteri di identità (che sono un’altra). Anzi, neanche collaborare e coalizzarsi prescindono dal conflitto regolato e sono un processo dall’esito non prestabilito. Risolvere i conflitti che si manifestano, è ben diverso dall’ ( illudere di ) impedire ogni conflitto assumendo un’identità indistinta e bandendo i nanogruppi. Né la sbandierata vocazione maggioritaria né l’essere grossi fanno identità politica. In verità si è equivocato sull’obbiettivo del maggioritario: non era il bipolarismo, era dare ai cittadini uno strumento per scegliere tra indirizzi di governo e poi per giudicarne la gestione. Perciò le coalizioni dovrebbero essere costruite per governare, non contro qualcuno. Ma la convergenza bipartisan sulle “coalizioni contro” ha posto le premesse dell’impotenza decisionale.

Insomma, l’indistinzione culturale trasforma la politica in mera battaglia di potere, estranea alla quotidianità del cittadino. Su ogni argomento. Anche sul tema laicità. Non per caso Ceruti, nella bozza dei Valori PD, ha centrato la  laicità modulo PD sul riconoscimento della rilevanza delle religioni nella sfera pubblica, non solo in quella privata. Così, aggira la dimensione individuale e quindi rinuncia alla laicità istituzionale. Tale formulazione non mira a sostenere che è rilevante la  libertà di esternare in pubblico il proprio credo (Odifreddi, collega di Ceruti, ha sostenuto questa sola libertà ed è stato assalito da tutti i clericali) quanto che è rilevante riconoscere alle gerarchie religiose uno status privilegiato nel fare leggi su materie cardine (quelle per consentire o no al cittadino di esprimere la propria variegata identità). I clericali fanno come se queste due accezioni di rilevanza coincidessero, mentre per i laici esse sono mutuamente esclusive. Nessun vero laico ha mai voluto eliminare la religione o trattato da avversarie le Chiese limitando l’esercizio del religioso. Gli avversari politici dei laici sono coloro che, esterni alle strutture religiose, impugnano la fede come fonte politico legislativa. Combatterli è l’essenziale ragion d’essere politica dei laici per puntare alla centralità del cittadino.  Invece l’ossessione dell’includere induce il PD al dialogo con Ferrara, che non reclama il fisiologico adeguamento della legge sull’aborto al progresso scientifico, reclama la moratoria della legge per attuare la tesi religiosa :  nella copula nasce l’individuo.

Mentre tra gli italiani crescono comportamenti laici, i “grossi”, PD e FI, blandiscono chi impugna la fede in politica in un clima svuotato di idee e conformista. Emblematiche del clima sono le Autorità de La Sapienza. Prima, per fregiarsi di conformismo all’inaugurazione dell’anno accademico, hanno fatto al Papa un invito del tutto fuori luogo perché in contrasto col tema della inaugurazione (contro la pena di morte) e non attinente un dibattito religioso; poi , incapaci di garantire all’ospite quella tribuna che gli avevano offerto (ma sarà colpa o dolo?), lo hanno trasformato in martire cui si è impedito di parlare (CL ha già chiesto libertà per il Papa). Un doppio sfregio ai laici perpetrato da una mentalità clericale inadatta a governare la convivenza. Non a caso, all’epoca del grande sviluppo civile, con leggi come divorzio, riforma del diritto familiare e aborto, l’indiscussa leadership, almeno su divorzio e aborto,  non fù dei gruppi che oggi sono ossatura e tessuti del PD ma dei gruppi laici che rimorchiarono un PCI recalcitrante e con i dirigenti cattolici, eccetto sul diritto familiare, quasi del tutto assenti.

In conclusione, la politica come indistinzione è il vecchio che ritorna. E l’amara realtà è che, più ritorna, più la battaglia al berlusconismo si svuota di contenuto. La Casa della Libertà sta vincendo la battaglia più importante, l’imporre nella società italiana tipici valori illiberali, quali il conservatorismo furbescamente bigotto e il successo senza merito come orizzonte individuale.

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