Cronologia del liberalismo – Capitolo 4 – 4.1, 4.2 a

ottava parte del testo CRONOLOGIA ESSENZIALE DEL LIBERALISMO

CAPITOLO  4

Il XX secolo

4.1 Il carattere iniziale del ‘900 –  Fin dai primi anni, il carattere distintivo del secolo fu la conferma e la ulteriore crescita della tendenza già emersa negli ultimi decenni. Nel convivere andavano potenziandosi e accelerandosi le scoperte – derivate dalle più ampie conoscenze disponibili – di nuovi strumenti di uso quotidiano nonché il sempre maggiore impegno negli studi scientifici di tipo sperimentale che portavano a  capire i meccanismi della realtà del mondo attorno agli umani (e quindi a sviluppare pure l’industrializzazione). In sostanza, si allargava il criterio dell’affidarsi allo spirito critico del cittadino per  penetrare il reale. Tuttavia, questo allargamento toccava ben poco le modalità  del come organizzare la convivenza tra i cittadini: la politica continuava a far ricorso a qualche libro sacro e a qualche ideologia (pregressa o nuova che fosse), e per decenni restò per lo più avvinta al solito ricercare in chiave di potere una soluzione stabile alle incombenze della vita. Una simile propensione è andata di pari passo al privilegiare il momento presente della vita e all’usare l’emotività come strumento essenziale per decidere cosa fare.

Beninteso, la propensione radicatasi nel ‘900 non si applica in ogni passaggio. Anche nella politica, vi sono stati settori in cui  crebbe l’affidarsi ai cittadini. Tipico quello delle suffragiste (era il nome dato all’ala moderata e maggioritaria dell’organizzazione femminile, mentre l’ala radicale era chiamata delle suffragette), vale a dire del movimento delle donne che richiedevano il voto politico.  In Inghilterra, già dagli anni trenta dell’800, le donne avevano diritto di voto nelle elezioni locali. Un trentennio dopo, ci fu la richiesta parlamentare del liberale Stuart Mill già prima citata, che portò nel 1869 al formarsi di un movimento per il suffragio femminile (nello stesso anno il medesimo movimento nacque negli Stati Uniti), che iniziò le rivendicazioni con limitati risultati per anni, poi sfociate nel ’97 e nel 1903 in due organizzazioni per ottenere il suffragio femminile. Nello stesso periodo, il suffragio femminile venne introdotto in Nuova Zelanda nel 1893 e all’inizio del 1900 in due stati scandinavi. Poi con l’aumento del benessere indotto dall’industrializzazione, in Inghilterra le azioni dimostrative a favore del suffragio femminile iniziarono ad incidere sempre più, fino ad assumere una consistenza di oltre duecentomila persone in pubbliche manifestazioni. La svolta ci fu nel 1913 con i disordini durante il Derby di Epson in cui perse la vita una suffragetta travolta da un cavallo, cui seguì un’ondata di proteste con l’innovativa pratica degli scioperi della fame, fronteggiata dalle autorità imponendo l’alimentazione forzata. L’importanza del ruolo delle donne lievitò durante la prima guerra mondiale per l’assenza fisica di gran parte degli uomini. Nel 1918 a   febbraio   l’Inghilterra dette il diritto di voto nazionale alle donne ultratrentenni e a novembre in Germania venne riconosciuto il diritto di voto femminile. Nel 1919 venne eletta tra i conservatori inglesi la prima donna deputato e nove anni dopo si arrivò al voto femminile generale in Inghilterra. Nel 1920 venne deciso il voto politico alle donne degli Stati Uniti. In seguito, nel secondo dopoguerra molti paesi (tra cui l’Italia) estesero il suffragio politico alle donne.

Complessivamente, negli ottanta anni in cui il tema voto femminile ebbe gran rilievo nel dibattito politico, fu predominante l’approccio della borghesia liberale del perseguire quel tema specifico, cioè di introdurre un diritto del cittadino fino ad allora non attuato, che perciò discriminava senza ragione tra cittadini di sesso diverso ma analoga struttura psico fisica. Da segnalare che un simile approccio è di tutto altro genere del femminismo nell’ultima parte del ‘900. Nel femminismo il presupposto diventerà, dietro l’esibito paravento di parità, il contrapporre maschi e femmine in uno scontro, a prescindere dalle specificità funzionali di ciascuno e dei meriti individuali, finalizzato ad imporre una indistinzione  di genere non corrispondente alla realtà (il che da la misura della distanza del femminismo dal liberalismo).

In ogni caso, a parte  eccezioni quale il suffragio femminile, nel ‘900 le manifestazioni di tipo liberale (affidarsi via via di più alle scelte dei cittadini individui) resteranno variamente rattrappite in campo politico, mentre  l’utilizzo della conoscenza scientifica (fondata sul metodo sperimentale dei ricercatori attivi, singoli o gruppi, e sul valutarne gli esiti da parte  degli altri) si è allargato nell’opinione pubblica in modo via via più stupefacente, sia in relazione ai meccanismi scoperti e condivisi sia per gli innovativi strumenti derivantine e messi a disposizione dei conviventi tutti i giorni. 

In sostanza, la scienza  ha acquisito stabilmente che il fulcro di una conoscenza più ampia è inevitabilmente legato all’attività individuale dei cittadini (per questo induce anche la crescita economica). La politica invece persiste nell’imperniarlo  sul realizzare  un disegno prestabilito da chi al momento detiene il potere, disegno avente per fine il bene di tutti, vale a dire un criterio che l’esperienza mostra non capace di far ottenere alla società risultati comparabili in tempi analoghi. Lo scoglio della   politica sta nel non accettare abbastanza il determinante valore delle scelte individuali rispetto ai nodi della vita reale e nel far prevalere per lo più il mito della visione rassicurante di una comunità di uguali senza conflitti. Questo sogno di una vita sicura e agevole, nell’ultimo quindicennio dell’800 e nel primo ventennio del ‘900, ebbe il nome non casuale di Belle Epoque. Un’epoca caratterizzata da importanti innovazioni ed invenzioni (oltre quelle già trattate, l’acqua corrente nelle case, le automobili, la radio, il vaccino antitubercolare, l’aereoplano), dall’avvento della produzione di massa, dei manifesti pubblicitari, del cinematografo, dello sviluppo artistico con l’Art Nouveau, con l’Impressionismo prima e poi con il Futurismo. Un’epoca che ebbe il centro internazionale a Parigi e nel quartiere di Montmartre, pullulante di artisti, con i suoi mitici locali. Un’epoca simbolizzata dall’Orient Express, il treno di lusso Parigi-Istanbul, protagonista di libri e di films, reso obsoleto solo  molti decenni dopo dall’affermarsi del collegamento aereo.

La Belle Epoque fu appunto il grande sogno ricorrente nella storia: poter bloccare la realtà ai propri desideri. Un sogno che nel profondo celava la pratica tradizionale dell’applicare un eterno libro sacro o ideologico, escludendo la logica sperimentale e il passar del tempo. E che di conseguenza trascurava i sommovimenti istituzionali della politica del vivere tutti i giorni. Sommovimenti parecchio turbolenti nel periodo inizio ‘900, oltretutto accelerati dal contestuale notevole dilagare nei vari paesi del messaggio socialista (nel 1905 in Russia le rivolte popolari formarono per la prima volta i soviet, assemblee di soldati, operai e contadini, inducendo lo zar Nicola II a concedere la Costituzione ed a introdurre un’assemblea rappresentativa, la Duma)  e della sua versione  comunista, che dettero nuova linfa al già esistente blocco dalle radici illiberali, cioè quello della cultura politica di impostazione religiosa figlia di un clero incontrollato. Da questo amalgama finirono per nascere gli opposti movimenti totalitari e nazisti oppressori dei cittadini per un ventennio.

4.2  I paesi in cui i liberali restavano ancora vitali – 4.2 a  In Inghilterra gli ultimi governi dei liberali. Dopo l’uscita dal governo di Gladstone, la regina Vittoria dette l’incarico di primo Ministro al liberale per lei sopportabile, Lord Archibald Primerose, dell’ala avente una concezione più imperiale. Questo governo durò 15 mesi (finì per il combinato disposto della rottura sull’Irlanda con gli Unionisti, dei dissensi sul progetto di Primerose di espansione della flotta e dell’inclinazione rinunciataria del Primo Ministro) e fu seguito da due governi conservatori per poco più di un decennio. Nel frattempo, la regina Vittoria era morta nel gennaio 1901 e nel 1902 le truppe inglesi prevalsero nel secondo conflitto anglo-boero (in corso da tre anni), allargando ancora l’Impero britannico. Poi, si verificarono crescenti dissidi tra i conservatori specie in tema di libero commercio (ostacolato da larghi settori del partito) e all’inizio dell’inverno del 1905, i contrasti indussero il Primo Ministro in carica, Lord Balfour, a dimettersi ,puntando sul fatto che l’incarico al liberale (dell’ala sinistra)  Campbel-Bannerman si impantanasse sui numeri parlamentari ristretti.

Viceversa, il governo Campbel-Bannerman andò subito alle elezioni , scegliendo una campagna contro il protezionismo e il militarismo. Nei primi mesi del 1906   i liberali (che qualche anno prima avevano stipulato con il nuovo Comitato Laburista un patto di reciproca desistenza) ebbero  la maggioranza dei voti più che raddoppiando i seggi ottenendo la maggioranza assoluta. Questa condizione parlamentare  consentì il varo   di un governo solido. Che nel giro di pochi mesi avviò un lavoro di riforme a carattere liberale. Vennero varate mense scolastiche gratuite, pensioni di vecchiaia, leggi sindacali più aperte, norme di lavoro in comunità per i giovani autori di reati,  preannunciata un’assistenza sanitaria gratuita. In politica estera, il governo riconobbe (con un artificio procedurale per evitare il veto dei Lords) l’autonomia agli stati Boeri, che avviò il processo di nascita tre anni dopo dello stato del Sud Africa.  Per impellenti ragioni di salute, Campbell-Bannerman si dimise ad aprile 1908 sostituito dall’altro liberale Asquith, all’epoca Cancelliere dello Scacchiere, seguace dei liberali di Lord Primerose e perciò incline in politica estera a sostenere l’impero inglese.

Il governo Asquith – con  Lloyd George nuovo cancelliere dello Scacchiere – nel proseguire la linea riformatrice liberale di attenzione ai diritti dei cittadini, incontrò presto delle forti difficoltà nei rapporti con la Camera dei Lords (che era ereditaria), finché essa  respinse il Bilancio per il 1909 (perché aumentava i fondi per la flotta e i servizi sociali) .  Allora il governo ricorse alle elezioni  nel gennaio 1910, che però non risolsero lo stallo. Asquith tentò invano di negoziare con i conservatori la modifica del diritto di veto dei Lords. Infine il Governo ottenne dal Re (che era divenuto Giorgio V) di poter sciogliere una seconda volta la Camera e la promessa di uniformare il colore politico delle due camere creando nuovi Lord. Le elezioni del dicembre confermarono l’esito del gennaio ma i Lord accettarono emendamenti  ai  Regolamenti Parlamentari che riducevano il loro diritto di veto (in specie sulle leggi finanziarie). Così, nel periodo fino al 1914, il governo Asquith realizzò il programma riformatore dei liberali rivolto ad allargare gli aiuti ai cittadini (assicurazioni sociali e sussidi ai disoccupati, una legge sull’uso dei fondi sindacali nel sostegno a un partito) , un programma che includeva tra l’altro la Home Rule sull’Irlanda (eccetto l’Ulster escluso al momento  per dar tempo allo svolgersi delle conferenze conciliative tra le due parti irlandesi).

In tutti questi anni il Premier mostrò in patria qualità di statista competente e di abile amministratore ma assai concorde con il proprio Ministro degli Esteri, Edward Grey  (titolare dell’incarico fin dall’inizio del governo Campbell-Bannerman) , il quale seguì sempre una politica estera molto riservata, senza mai fornire indicazioni sulla risposta inglese in caso di guerra da parte degli Imperi Centrali (Germania, Austria-Ungheria, Impero Ottomano). Mentre all’improvviso la possibilità bellica divenne reale. Di fatti,  a fine giugno 1914 l’assassinio a Sarajevo dell’Erede  al Trono d’Austria durante una visita ufficiale, provocò , dopo un mese esatto di valutazioni, la consegna di un ultimatum  in cui l’Austria accusava la Serbia di aver sostenuto il terrorismo , e che fu seguito dalla dichiarazione di guerra. Immediatamente l’Impero Tedesco invase il Lussemburgo e il Belgio e ciò obbligò il pur prudente Asquith a seguire la pubblica opinione inglese , che voleva fare entrare in guerra anche l’Inghilterra onde evitare una vittoria tedesca. Poi, il gioco delle alleanze formatesi negli anni precedenti finì per far schierare le maggiori potenze mondiali su due fronti contrapposti (la Triplice Intesa, Inghilterra, Francia e Russia, contro Impero Tedesco, Austro ungarico ed Ottomano)  ed ebbe inizio la prima guerra mondiale, con otto diecine di milioni di cittadini in armi.  Subito dopo, i Laburisti e i sindacati , in totale differenza con i socialisti del resto di Europa, decisero una tregua industriale “per por fine a tutte le controversie di lavoro esistenti e che, qualunque nuova difficoltà potesse sorgere durante la guerra, si facesse un serio tentativo per raggiungere un accordo amichevole prima di arrivare a uno sciopero o una serrata”.

L’Inghilterra – il cui Lord dell’Ammiragliato era Churchill, divenuto  liberale nel 1908 –  nei primi mesi si impegnò  essenzialmente nel mar Egeo orientale contro la Turchia in aiuto della Russia, utilizzando la Royal Navy per forzare la via d’accesso ad ovest di Istanbul, cioè lo stretto dei Dardanelli e il contiguo Mar di Marmara. Seguirono  alcuni insuccessi da cui sorsero forti dissidi nella catena di comando. Intanto, ad aprile 1915, il Ministro Grey riuscì a stipulare a Londra un Patto Segreto (si vedrà al paragrafo seguente il perché della segretezza) tra Inghilterra, Francia e Russia con l’Italia per indurre quest’ultima a rompere l’alleanza ultra trentennale con gli Imperi Centrali, compensandola con notevoli concessioni territoriali sulla costa adriatica orientale. Poco dopo, a metà primavera, i dissidi nella gestione della campagna nei Dardanelli, portarono ad avvicendare Churchill all’Ammiragliato ed allo stesso tempo Asquith allargò il Governo ad una Coalizione con i Conservatori, gli Unionisti e alcuni laburisti, ove Lloyd George era Ministro delle Munizioni. 

Non fu un successo. Fallì la spedizione dei Dardanelli, non ci furono progressi nel fronte occidentale. Nel frattempo, si agitavano in Europa le acque politiche con la prima conferenza internazionale socialista tra partiti di paesi in guerra, che si tenne a Zimmerwald, presso Berna a settembre, e che, sulla guerra, decise con ampia maggioranza il “né aderire né sabotare”. In generale,  l’andamento della guerra andava peggiorando per la Triplice Intesa. Pertanto a gennaio 1916, in Inghilterra venne rotta la tradizione e introdotta la leva obbligatoria. Poi nella settimana di Pasqua,  i primi di aprile, scoppiò una violenta rivolta a Dublino dei militari irlandesi che chiedevano  l’indipendenza dall’Inghilterra e proclamarono la Repubblica Irlandese Indipendente. In una settimana la rivolta venne sedata, ma gli irlandesi continuarono da allora a mobilitarsi per l’indipendenza anche clandestinamente, e l’ala più radicale, l’Irish Republican Army (IRA), iniziò una guerra di colpi di mano contro  la polizia e l’esercito britannico.

Sul continente, a fine aprile si svolse una seconda conferenza internazionale dei socialisti a Kienthal (sempre presso Berna) nella quale prevalse la tesi di Lenin “trasformare la guerra imperialista in guerra di classe“, non condivisa tra i socialisti italiani da G. Emanuele Modigliani. Mentre la guerra si concentrò da inizio luglio a metà novembre in un fronte di una quarantina di chilometri nel bacino del fiume Somme, nel settentrione della Francia, contiguo a dipartimento di Calais. In questa battaglia le perdite delle truppe inglesi furono terribili. Appariva sempre più chiaro che Asquith mancava di visione strategica in campo militare e ciò causò un’insoddisfazione diffusa affiancata da una martellante campagna di stampa (in mano ai conservatori). Così i primi di dicembre Asquith si dimise (restando a capo dei Liberali) e venne sostituito da David  Lloyd George.  Peraltro il rapporto politico tra i sostenitori dei due restò pessimo pure nel decennio successivo.

Lloyd George , esponente della parte dinamica dei liberali, fece un governo con i conservatori (cui assegnò gli Esteri con Balfour) e con i Laburisti (cui dette otto Ministeri). Come primo provvedimento, formò un piccolo Gabinetto di Guerra di cinque membri in sessione continua, al posto dei 23 fino ad allora. Il che dette un forte impulso alle decisioni. Decisioni di cui c’era davvero bisogno, visto che in Russia, nella settimana dall’otto di marzo (secondo il calendario gregoriano europeo), vennero al pettine i drammatici nodi della gravissima crisi economico sociale, compresa la conseguente carestia, fatti emergere dalla guerra con le sue reiterate sconfitte. In tale quadro, vista l’incapace ritrosia dello Zar Nicola II, prese il sopravvento una forma rivoluzionaria di tipo borghese mischiata alle richieste dei soviet, di avere più libertà e più attenzione alle necessità degli operai. Nicola II abdicò e in poche ore il potere passò dalla dinastia Romanoff ad un governo provvisorio della Duma (con Kerenskij agli Esteri) che confermò l’adesione alla Triplice e la permanenza in guerra. La determinazione operativa  di Lloyd George funzionò in particolare trovando l’appoggio dei conservatori, proprio lui così sensibile ai bisogni dei più deboli. Restava peraltro evidente la fragilità della situazione. E il  corpo grosso dei parlamentari liberali seguiva in nome delle esigenze belliche più che per convinzione.

Lloyd George subito dopo si dedicò a fronteggiare la minaccia dei sottomarini tedeschi, che riducevano alla fame l’Inghilterra. E non solo. Infatti, la scelta tedesca di attaccare nell’Atlantico le navi mercantili anche dei paesi non in guerra al fine di impedire i rifornimenti all’Intesa (e all’Inghilterra in specie), finì per spaventare gli Stati Uniti e pesò assai nella loro decisione di entrare in guerra in appoggio della Triplice Intesa (aprile 1917). Non solo perché la guerra sottomarina comprometteva molto i fiorenti traffici americani anche verso il Mediterraneo e il Medio Oriente, ma anche perché le strutture finanziarie USA stavano da tempo sostenendo la Triplice Intesa su larga scala in campo creditizio. Ed inoltre perché il Presidente americano, il democratico Wilson intendeva rompere con il tradizionale isolazionismo e rendere possibile far superare anche in Europa i vincoli degli esistenti imperi multinazionali, non abbastanza corrispondenti alle regole della libertà (in gennaio Wilson disse alla Camera “ogni popolo sarà libero di determinare la propria politica, dal più piccolo al più grande e potente”). Il contributo degli Stati Uniti fu notevole, in forze fresche (oltre un milione e mezzo di soldati) e in consistenti dotazioni belliche.

Ciononostante, in Inghilterra fu forte la carenza di cibo derivante dalla guerra sottomarina. Richiese un robusto aumento della produzione agricola e l’anno successivo il razionamento alimentare. In questo tipo di questioni operative, Lloyd George si mostrò davvero capace, del tutto libero dai condizionamenti della burocrazia (per niente apprezzata), determinato nell’agire e nell’attuare le scelte fatte. Con il passare del tempo, cominciò tuttavia ad emergere che Lloyd George non era altrettanto efficace nel campo delle grandi strategie, militari e politiche. Era scettico sulle alte gerarchie militari e ne autorizzò a fatica nell’estate del ’17 i piani di offensiva nelle Fiandre occidentali. Ma questa offensiva, durata un trimestre, registrò enormi perdite umane, senza raggiungere alcun obiettivo.

Poi venne un novembre intenso. Il 2 il governo Lloyd George, con una dichiarazione del Ministro degli Esteri Balfour, in uno stringato paragrafo di 67 parole, promise l’appoggio  “allo stabilirsi in Palestina di una casa nazionale per il popolo israeliano, senza pregiudicare i diritti civili e religiosi delle esistenti comunità non israelitiche”. Una dichiarazioni politica  importante, che adottava l’impostazione del movimento sionista e che porterà trenta anni dopo alla fondazione del moderno stato di Israele. Nei medesimi giorni si verificò un grosso mutamento da subito del quadro politico internazionale con la rivoluzione d’ottobre (il 7 novembre nel calendario gregoriano) in Russia, l’insurrezione di Pietroburgo,  che portò alla nascita della Repubblica Sovietica Russa e alla salita al potere dei bolscevichi con la presidenza di Lenin. La conseguenza immediata fu l’uscita della Russia dal conflitto mondiale con l’armistizio di Brest Litovsk (nella Bielorussia, dicembre 1917), la conseguenza in prospettiva fu la grande novità dell’affermarsi del marxismo leninismo , destinato a terremotare i rapporti all’interno del socialismo internazionale minandone  per decenni l’autonomia ideologica ed operativa (con l’eccezione dell’Inghilterra, in cui a gennaio 1918 il Partito Laburista si dichiarò contrario al marxismo) . 

Nel frattempo, in politica interna la Camera inglese  varò il mese successivo una nuova legge elettorale nazionale molto innovativa, introducendo il suffragio universale maschile e concedendo il voto alle donne abbienti oltre i trentanni.  Nel complesso il corpo elettorale passò da poco più di otto milioni a quasi 19 milioni (circa il 60% uomini). Nel frattempo, sul campo di battaglia, la situazione si deteriorava sempre più, in specie per i rapporti laboriosi tra il. governo e i militari inglesi. Alla fine  Lloyd George accettò la tesi di un comando unificato nella persona del maresciallo francese Foch (aprile ‘18), e da maggio l’andamento bellico si ribaltò, la Triplice Intesa lanciò una serie di attacchi contro i tedeschi esausti e in sei mesi  arrivò all’armistizio e alla vittoria, inizio novembre ‘18.

Lloyd George risultava molto popolare, ma più tra i conservatori che tra i parlamentari liberali, che erano visibilmente divisi tra i coalizionisti (quelli vicini al Primo Ministro) e quelli detti a “pianto libero” (vicini ad Asquith). Un mese dopo, in attesa che a gennaio avesse inizio la Conferenza di Pace a Versailles, furono indette le elezioni a conferma della coalizione (con Asquith recalcitrante). La coalizione di Governo (dunque i liberali coalizionisti) riportò una vittoria schiacciante (anche se Asquith perdette il suo seggio e venne ricuperato pochi mesi dopo in una supplettiva). Era peraltro evidente che la politica del Primo Ministro, considerata la netta spaccatura tra Lloyd George e i sostenitori di Asquith, era sostenuta soprattutto dai conservatori. Spaccatura acuita dai clamorosi risultati del voto in Irlanda: una piena disapprovazione per il governo di Westminster e il trionfo del  partito repubblicano del Sinn Fein (“noi stessi” in gaelico), che non volle neppure prendere possesso dei seggi ottenuti. In più, il Partito Laburista aveva superato seppur di poco il 20% dei voti ed inclinava sempre più  a posizioni politiche antiliberali, anche sotto l’influenza del nascente partito comunista inglese.

In una cornice simile, la scarsa propensione di Lloyd George a ragionare sull’evolversi delle materie politiche complesse, era destinata a misurarsi con il fatto che lui, essendo uno dei quattro grandi statisti di Versailles (il francese Georges Clemenceau, l’americano Woodrow Wilson e l’italiano V. Emanuele Orlando), avrebbe dovuto  assumersi una grande responsabilità per l’accordo di pace. E nonostante gli sforzi di realismo, venne coinvolto nel clima del tradizionale revanchismo da vincitori negli antichi scontri  di potere, disattento ai contraccolpi di quanto era imposto agli sconfitti. Il Trattato di Pace, firmato a giugno da oltre 40 Stati,   fu lodato in Inghilterra (in particolare dal Re Giorgio V), non venne mai ratificato dagli Stati Uniti (in particolare nella parte costitutiva della Società delle Nazioni, voluta da Wilson) ma fu stroncato con ragionata e puntuale nettezza  da un componente della delegazione inglese a Versailles, il professor John M. Keynes, rappresentante del Tesoro britannico. Il quale a fine dello stesso 1919 scrisse il volume “Le conseguenze economiche della pace” , in cui, con la capacità predittiva tipica dei liberali coerenti, mise a fuoco i gravi errori del Trattato. Riassumibili nella durezza e insensatezza delle condizioni imposte alla Germana sconfitta. Le condizioni dell’economia evoluta e della pace, vanno ricostruite e non vieppiù distrutte. Scrisse:  “assai pochi fra noi si rendono conto appieno della natura straordinariamente eccezionale, instabile, complicata e precaria dell’organizzazione economica dell’Europa occidentale durante l’ultimo mezzo secolo. Consideriamo alcuni dei vantaggi recentemente conseguiti come naturali e permanenti e tracciamo i nostri piani in conformità. Su queste false fondamenta noi fondiamo i nostri progetti di progresso sociale, perseguiamo le nostre ambizioni particolari e crediamo che ci resti ancora margine a sufficienza per alimentare, non per sedare, conflitti civili nella famiglia europea. Ma i rappresentanti dei popoli di Francia e d’Inghilterra corrono il rischio di completare la rovina cui la Germania diede inizio, con una Pace che, se sarà applicata, dovrà necessariamente indebolire, quando avrebbe dovuto restaurarla, quella delicata e complessa organizzazione per mezzo della quale soltanto, le genti d’Europa possono lavorare e vivere”. Insomma, “la guerra ha talmente scosso il sistema da mettere senz’altro in pericolo la vita stessa dell’Europa”. Sono considerazioni che manifestano la caratteristica capacità liberale di riflettere sulle conseguenze di ciò che si fa e di farlo usando  il metro della libertà. Una capacità liberale inesistente nel clima dominante a Versailles.

Contemporaneamente alla Conferenza di Pace, sul piano interno, Lloyd George si trovò alle prese con le conseguenze in Irlanda del voto del dicembre ‘18. Dal mese successivo gli irlandesi costituirono il nuovo Parlamento irlandese (dando vita alla Repubblica d’Irlanda)  e cominciarono la guerra civile con Londra. Dopo due anni e mezzo di guerra effettiva, nell’estate del 1921, Lloyd George, pur riluttante, ritornò all’impostazione di riconoscere l’autonomia che era stata di Gladstone e di Asquith, avviando i negoziati che all’inizio inverno  portarono a sancire l’indipendenza irlandese. Questa scelta non venne accettata dai Conservatori più tradizionalisti e avviò la frattura della coalizione di Governo. Frattura che nei mesi seguenti si verificò a causa di uno scandalo in tema di concessione di onorificienze. A ottobre i Conservatori ritirarono l’appoggio al Governo,  Lloyd George si dimise e a novembre ci furono le elezioni politiche. I Conservatori ottennero la maggioranza assoluta dei seggi, i Laburisti prevalsero sui Liberali (sempre divisi tra i Liberali di Asquith e i Liberali Nazionali di Lloyd George), e nel complesso i liberali arretrarono, in più dimezzando la percentuale di seggi (calando al 10%) rispetto a quella dei voti.  

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