Commento sul voto del 25 settembre

Intervento al Convegno organizzato da Critica Liberale il 30 settembre da remoto

Il voto è stato epocale non tanto perché ha vinto la destra, quanto perché ha consolidato il voto precedente. Una ampia fetta di italiani non tollera il modo di governare dell’elite culturale e burocratica  distaccata dai cittadini. Nel ‘18 ne aveva beneficiato il M5S, che da allora  circoli elitari ­­e mass media  hanno attaccato, al di là dell’oggettivo,  in quanto indisponibile a far proseguire il distacco dai cittadini. L’attacco è cresciuto dopo gli elitari al Governo nel ‘21. Poi hanno esagerato, allentando il modellarsi sui cittadini. Da qui la caduta del Governo e la nuova sconfitta elettorale. Non solo ha vinto la coalizione di  destra, ma ha vinto il M5S , dato già morto e sepolto, che ha mantenuto il 15,5 % , risultando il terzo partito, a soli tre punti e mezzo dal PD considerato pernio democratico. In più, la fetta di italiani che non tollerano l’emarginazione, è irrobustita  da 5 milioni di nuovi astenuti.

Sarà verificata la capacità del governo Meloni di correggere i principali errori nel rapporto con i cittadini. Come liberali dubitiamo parecchio che abbia tale capacità. Peraltro constatiamo   che intanto si è messo in moto un cambiamento    almeno per ridurre il peso elitario. Svolta sul cui funzionamento dovranno vigilare i cittadini, fuggendo  preconcetti  ideologici. Per chi applica la cultura delle libertà, i principali punti su cui vigilare saranno quattro.

Il primo: il consolidamento dei diritti civili, un cardine della libertà individuale nella convivenza tra diversi. Ovviamente intendendoli nel quadro delle norme vigenti e del fisiologico conflitto per attuarli, mai quale illiberale dottrina livellatrice imposta dalle elites tramite i mass media e i social.

Il secondo, il sostegno all’Occidente. Oggi si dice atlantismo, ma si equivoca poiché,  sparite URSS e Patto di Varsavia, Occidente significa praticare ovunque la libertà individuale focalizzata sugli scambi. Ciò è altro dall’essenza NATO, che nell’ultimo quindicennio si è ampliata in logica da guerra fredda. L’Occidente non può intendere la libertà come imperiale, poiché la libertà imperiale non tollera diversità di  Stati e di culture, congela il fecondo espandersi della libertà individuale, blocca gli scambi ed ha uno spirito prodromico alla terza guerra mondiale contro le autocrazie. I liberali non possono volerla, non perché   apostoli del pacifismo utopico, ma perché costruttori indefessi di libertà, con istituzioni scelte dei cittadini.  Oggi l’ Occidente incline alla libertà imperiale è un Occidente malato, lasciato solo da quasi i 2/3 degli Stati, i più popolosi. La libertà vive nel quotidiano, non sul bellicismo.

Il terzo punto è l’UE. I liberali si rifanno ai Trattati del  ‘57, al profondo cambiamento, avvio di una istituzione da  costruire a passo a passo sui rapporti tra i cittadini nell’economia quotidiana. Da allora, progressi  lenti ma robusti fino a Maastricht, e poi un  regresso al  sistema di potere tradizionale. Così oggi l’UE è indietro rispetto  l’originario nesso alla primazia dei cittadini degli stati membri e privilegia l’elite dei funzionari, che adotta lo statalismo e che si è allineata passivamente alla NATO, con ciò indebolendo la prospettiva del ‘57 e insieme il cuore dell’appartenenza all’Occidente. Tale arretratezza UE spicca su due temi, la mancanza di una forza militare e il non coordinamento fiscale pur richiesto dall’euro. Sui due temi, è ineludibile far maturare la disponibilità nei cittadini. Non esistono scorciatoie. Senza la modifica dei Trattati, i marchingegni degli elitari sprofonderebbero l’UE nella vecchia palude degli stati di potere. L’UE maturerà nella coerenza originaria solo se riprenderà a modellarsi sui  cittadini dei suoi membri, senza pretendere di essere uno stato unico sovranazionale. Lo scontro reale non è tra sovranismi ed europeismi, bensì tra due concezioni contrapposte nell’intendere l’UE, quella del ‘57 o quella del ‘92.

Il quarto punto, è la crescita in Italia. Impegnandosi a fondo in una politica energetica corrispondente alle esigenze civili del tutto trascurate finora. Poi  sfrondando la Pubblica Amministrazione  inefficiente, riattivando il mercato, aiutando i bisogni dei ceti medi. Perciò una netta deregolamentazione e una riforma del fisco,   volte ad incentivare la produttività del cittadino nell’ambito di legge, smettendo di privilegiare le procedure all’insegna di pericoli solo presunti, quali creare ricchezza, dar spazio alle iniziative  individuali ed essere uguali solo rispetto alla legge. Un esempio di rilievo è la riforma del mercato borsistico invischiato negli algoritmi. La funzione delle Borse Valori è legata in modo indissolubile alle valutazioni dello spirito critico dei cittadini, e non può ridursi ad un lancio di dadi, per di più sottoposto a manipolazioni incontrollabili.

Per svolgere meglio la vigilanza sui quattro punti, occorre che i liberali siano consapevoli di due questioni. La prima che apportare miglioramenti è di per sé temporaneo  e destinato a riproporsi in forme nuove. La seconda è che  se sapranno dotarsi di una formazione delle libertà improntata allo spirito critico individuale – la quale non confonde la continua ricerca di iniziative adatte per aggiornare la libertà con impostazioni non liberali volute dai possibili alleati pur imprescindibili nella convivenza – saranno in grado di influenzare meglio e talvolta di suscitare il mutamento contro la pretesa conformistica del limitarsi a  conservare il potere.

Comunque, seppur faticosamente, anche domenica scorsa ha fatto passi avanti la libertà della democrazia liberale, mai separata dalla diversità individuale dei cittadini e dal continuo conflitto secondo norme scelte al fine di verificare quali proposte funzioni meglio nel costruire le relazioni nella convivenza civile.

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