Il prof. Iacono ha scritto Il dominio legittimo degli oligarchi e l’ANPI ha commentato che in Italia la democrazia è centrata sulle oligarchie alla base del fascismo, invitando il professore a vigilare contro l’autoritarismo. Eccessivo, vista la tesi di Iacono: la tendenza al calo dei votanti è nella linea in atto nelle democrazie occidentali ma, appunto perché attitudine diffusa, deve spingere ad interrogarci sul “se invece di trovarci in una fase di crisi della democrazia, ci trovassimo nel pieno della realizzazione di una democrazia”, Quella come “mezzo per assicurare ad una oligarchia il potere legittimo di operare e comandare in una società di massa”. Di conseguenza il Professore, citato Schumpeter (“singoli individui ottengono il potere di decidere attraverso una competizione che ha per oggetto il voto popolare”), osserva che questa “democrazia avrebbe bisogno sempre di più dell’apatia politica e dell’ignoranza pubblica” e conclude che invece la democrazia è partecipazione.
Un tema simile merita un approfondimento. Facendolo in termini non ideologici, si arriva a conclusioni differenti. Il rapporto tra democrazia e partecipazione al voto, dipende dal ruolo dei cittadini. Dopo il pensiero liberale di Locke, si è capito che il motore del convivere è l’esprimersi della diversità individuale. La convivenza migliora man mano che si riduce l’autorità sul cittadino (considerato suddito ubbidiente) e si amplia la libertà del cittadino (il sovrano innovatore tramite il conflitto tra idee e progetti con il voto secondo le regole). Così nel tempo, attraverso lotte talvolta cruente, il voto si è diffuso insieme all’informazione, tendendo a sostituire l’autorità e la rivoluzione. La scelta elettorale vale per tutti i cittadini nel periodo operativo ma dopo si rivota.
L’essenza della democrazia è scegliere regole e iniziative in base ai fatti, non riprodurre la logica autoritaria del vero e del giusto. Il filo è la diversità di ogni cittadino. Quindi è decisivo garantire ad ognuno il diritto di partecipare al voto però non è un obbligo che ognuno partecipi nell’urna, altrimenti si reinserirebbe il veleno dell’imporre. Perciò sul punto non c’entrano gli oligarchi. C’entrano le valutazioni dei diversi cittadini, comunque legittime, e non si può arretrare sulla libertà individuale.
Resta che più liberi si è, più cresce la ritrosia al votare. Ora il non aver interesse in materia è fisiologia della diversità. Quella che cresce in Italia è la paura dell’inutilità del voto. Non accade per caso. Esiste la forte pressione mediatica che, riducendo la politica a spettacolo, urla contro gli sprechi della politica parlamentare e fa balenare il ritorno all’antico (autorità al posto della libertà). In aggiunta tratta solo di lotte di potere ed esclude sia il dibattito sulle idee che la visibilità di chi già prima non è visibile. Illude (con gioia delle consorterie vere) che basti gridare la protesta per ottenere il desiderato, mentre il voto-scelta tra cittadini diversi presuppone voler costruire meccanismi nel momento adeguati alle esigenze vitali di ognuno.
L’occasione di cura da cogliere è abolire il finanziamento pubblico ai partiti ed attivare forme non burocratiche per innescare l’aggregarsi di vari progetti da scegliere votando. Qui, sul favorire passione e visibilità del lavoro politico volto al conflitto democratico e sul patto di stare ai risultati delle scelte fatte, c’è il bandolo del rapporto tra strumento democratico e partecipazione correlata alla diversità individuale.