Scritto per la rivista NON CREDO n.18
Per i mass media i contrasti delle gerarchie vaticane, interni, con gruppi di fedeli o con autorità civili, sarebbero questioni di democraticità e di potere come i contrasti tra partiti. Occuparsi di tali contrasti rientra nell’attenzione ai fatti ma interpretarli così è un errore grave in chiave laica.
Prendiamo alcune vicende negli Stati Uniti. La Santa Sede, dopo una lunga inchiesta sulla Conferenza delle 1.500 madri superiori delle suore USA (LCWR), ha scritto che “l’attuale situazione dottrinale e pastorale della LCWR è grave e motivo di seria preoccupazione” ed ha incaricato l’arcivescovo di Seattle di vigilare per un rinnovamento paziente e collaborativo che porti a correggere gli statuti ed assumere programmi da lui stesso approvati. Infatti la Conferenza ha posizioni inaccettabili in tema di sacerdozio delle donne, di omosessualità, delle tesi del femminismo radicale incompatibili con la fede cattolica, di non intervenire su aborto e eutanasia, di non promuovete l’insegnamento della Chiesa sulla sessualità umana, di concludere le riunioni con interventi che contraddicono o ignorano il magistero, di contestare i vescovi, che sono gli autentici maestri della Chiesa nella fede e nella morale.
La questione di fondo sta proprio qui. In generale i vescovi americani si battono per un pubblico sostegno alle idee della Chiesa contro la riforma sanitaria (e relativa copertura contraccettiva), contro i matrimoni gay e contro l’aborto. Tutti temi su cui la classica posizione di neutralità istituzionale degli USA corrisponde al sentire dei cittadini ma cozza contro le posizioni della Chiesa. Così a Seattle, il vescovo locale vuole raccogliere firme contro una legge del rispettivo stato sui matrimoni omosessuali in vigore da giugno, ma non pochi consigli pastorali rifiutano di farlo adottando una posizione più laica.
I mass media mettono l’accento sulla disobbedienza serpeggiante tra i religiosi e tra i fedeli. Ricordano che in trenta anni le suore cattoliche americane si sono ridotte di 2/3 e hanno cercato di adeguarsi sempre più allo stile di vita delle coetanee. Quanto ai fedeli, richiamano il moltiplicarsi del dissenso di molti attivisti cattolici che negano la capacità delle posizioni della gerarchia nel costruire famiglie solide, comunità sane e un futuro migliore per i figli di Dio. Ad esempio, Gesù avrebbe accolto gay e lesbiche nelle comunità e del resto la legge – sancendo l’uguaglianza di tutte le unioni e la promozione di famiglie solide – garantisce un contratto per consentire ai partner di godere di una serie di diritti civili e umani senza cambiare diritti religiosi o il matrimonio cattolico.
Dagli articoli traspare stupore per la ferrea determinazione della gerarchia di proseguire il cammino. Si aspetterebbero un rapido adeguarsi di cui non esiste segnale. Sono increduli che le gerarchie vogliano chiudere almeno un quarto delle parrocchie (la maggiore ristrutturazione da oltre un secolo) anche per arginare la crisi delle vocazioni e per la minor partecipazione domenicale (così dall’Ohio vi sono stati ricorsi in Vaticano per tornare allo statu quo). Del resto studi hanno messo in chiaro la crescita dei non credenti oppure dei credenti non di Chiesa. Però i mass media non si accorgono che tutti questi parametri assomigliano ai rilevamenti di mercato, non fanno parte della concezione religiosa e non possono quindi servire a misurare la forza della Chiesa. I vescovi usano parole morbide nel predicare la necessità di guarire i sacerdoti dalla propensione a discutere l’insegnamento della vera giustizia sociale della Chiesa. Ma al tempo stesso sono fermissimi nel ribadire che la Chiesa rappresenta la verità del Dio in terra tramite il Papa e che il popolo di Dio è un popolo che testimonia e non sceglie con criteri democratici. Per cui il compito della Chiesa non è essere indulgente verso quello che pensano i fedeli ma guidare verso la verità divina.
Lo stesso errore di prospettiva – utilizzare azioni di cittadini per valutare la natura della Chiesa (che invece non è valutabile con il metro del conflitto politico) – viene commesso anche quando vengono riferite le tensioni in Inghilterra tra Stato e Chiese. In questo caso non si tratta di cittadini propensi ad una visione laica. Si tratta di cittadini che intendono manifestare la propria appartenenza religiosa sul luogo di lavoro in maniera giudicata impropria da vari giudici (secondo cui esibire una croce non è un obbligo della fede cristiana, per cui prevalgono le regole di lavoro) e che quindi sono ricorsi al Tribunale europeo dei Diritti umani. Diversi prelati sostengono vi sia una spinta per rimuovere i valori giudaico-cristiani dalla pubblica piazza, per trattare i credenti come bigotti, per licenziare i cristiani siccome manifestano la loro fede, comunque consentendo di braccarli ad attivisti omosessuali: così si comprometterebbe la libertà religiosa. Di conseguenza dei cardinali inglesi hanno promosso una campagna per diffondere tra i credenti l’uso di portare il simbolo della croce di Cristo sui propri abiti ogni giorno.
Ancora una volta i mass media confondono le questioni religiose con le questioni politiche della convivenza, non distinguendo le diverse situazioni e diritti, rendendo inseparabili valori istituzionali della convivenza da aspetti e ruoli religiosi. Nel fare cronaca, non si indica mai la circostanza essenziale. Che mentre i cittadini possono essere credenti e non credenti e le istituzioni devono garantire la loro libertà di scelta, le Chiese e le organizzazioni religiose hanno la libertà di sostenere le rispettive fedi anche se teorizzano tesi religiosamente in contrasto con le stesse libertà e anche se strillano sempre al complotto antireligioso. Ma che le due cose devono restare su binari separati. Le teorie religiose non devono far parte del confronto civile sul palcoscenico di una società libera.