1- L’accusa strumentale di anacronismo. Domenica 10 aprile, un editorialista principe (Polito) di una testata storica (Corriere della Sera), ha accusato di anacronismo i contrari alla politica della Nato sull’Ucraina. Con l’intento di esaltare la libertà occidentale, ha usato argomenti non corrispondenti alla realtà. Di fatti, il suo punto di partenza è negare che l’Europa sia divisa in blocchi ed anche che la Russia sia accerchiata dalla NATO. In più precisa che i sostenitori di tali due tesi hanno una mentalità da nostalgici della guerra fredda.
Sono accuse campate in aria (attribuiscono a terzi la propria mentalità) di un editorialista che, dismesso il senso critico professionale, le scrive strumentalmente al servizio degli ambienti che adorano la concezione materializzatasi trenta anni fa nello slogan “il comunismo è crollato, la storia è finita”. Lo slogan da allora è fallito quanto a realismo politico. Eppure tali ambienti si sentono orfani e non tollerano che l’occidente non venga riconosciuto come l’unico potere oggi esistente al mondo. Loro sono nostalgici di un’illusione (la fine della storia) che allora pensarono a portata di mano e che si è dissolta. Continuano a illudersi che la libertà dell’occidente sia un marchio imperiale, mentre non lo è perché per natura non può esserlo.
Alla prova della storia , il comunismo e l’URSS si dissolsero e si mostrò più efficace il metodo della libertà, ma non per questo mutò il modo di essere della libertà. La libertà dell’occidente non può, per sua struttura, essere un marchio imperiale, in quanto è legata indissolubilmente all’esercizio dello spirito critico di ogni cittadino, che è individualmente diverso e che può modificare i giudizi al passare del tempo. Era tale libertà che nel concreto aveva triturato le istituzioni del comunismo e dell’URSS. Questo è il punto. Il mondo continuò ad evolvere, ma non tutti in occidente condivisero questo dato sperimentale, e ci fu chi rimase legato allo slogan “il comunismo è crollato, la storia è finita”, restando orfano del suo fallimento.
2- Il falso storico sull’UE . Una conferma di ciò si ha nello scritto in esame del 10 aprile, nel preciso richiamo temporale: “quando è finito l’impero sovietico …. non esisteva ancora Facebook, Google era appena nata, Twitter e Instagram erano al di là da venire. Soprattutto non esisteva ancora l’Unione Europea, fondata a Maastricht proprio l’anno dopo”. Quest’ultimo periodo è in sé un falso storico. La Comunità Economica Europea esiste dai Trattati di Roma del 1957 (Belgio, Francia, Germania, Italia, Lussemburgo, Olanda) e nel 1992 a Maastricht (due mesi dopo la fine dell’impero URSS) i paesi membri rinnovarono i loro Trattati prendendo atto delle novità maturate in trentacinque anni, inclusi alcuni membri in più (che nel periodo erano divenuti 12, essendosi aggiunti ai sei iniziali Regno Unito, Danimarca, Irlanda, Grecia, Portogallo e Spagna) e il nome di UE. Tuttavia, il falso storico non è per caso. Polito lo usa per sostenere che l’UE, fondata dopo la fine dell’URSS, non appartiene al mondo della guerra fredda, bensì all’epoca della libertà definitivamente vincente. Questa interpretazione è un altro falso storico concettuale. Negli esiti ancor più grave, eppure corrispondente al modo di intendere il progetto UE praticato dopo Maastricht.
A partire da Maastricht, senza ve ne fosse chiara consapevolezza pubblica, il progetto UE mutò i caratteri dei Trattati di Roma originari. Anche nei sette anni precedenti vi erano state notevoli tensioni, tra chi voleva proseguire nella logica integrazionista per far crescere la collaborazione tra i cittadini e chi privilegiava i rapporti intergovernativi. Ma era restata prevalente la spinta ad un Atto Unico che progredisse verso l’Unione politica del nuovo rapporto tra i cittadini europei. Così si arrivò a Maastricht. Invece dopo Maastricht, sia per il tumultuoso periodo tra l’autunno ’90 e ’91 che aveva visto l’epocale riunificazione tedesca e lo scioglimento dell’URSS, sia per le dimissioni ad aprile ’92, dopo 18 anni, del Ministro degli Esteri tedesco (il liberale Genscher, che ritenne conclusa la sua opera dopo esser stato l’attivissimo sostenitore dell’integrazione per oltre un decennio), l’indirizzo politico UE iniziò a mutare. Si illanguidì il cardine dell’epoca precedente – che era il favorire la propria maturazione affidandosi alla crescita dei rapporti quotidiani tra i cittadini, a cominciare da quelli economici e della sicurezza in autonomia – e si rafforzò la tendenza ad immaginare di essere un super stato, naturalmente dedito ad ampliare le decisioni a livello dei governi dei paesi membri, senza preoccuparsi dell’ampliare le scelte più dirette dei cittadini. In pratica, in una dozzina di anni l’UE trasformò la natura del progetto dei Trattati di Roma, riportandola ad essere un’istituzione di potere tradizionale in mano alle sue burocrazie dirigenti. I cambiamenti più visibili furono l’aumento dei membri e la moneta unica.
Quanto all’aumento dei membri, i 12 di Maastricht divennero 15 a metà ’94 (Austria, Finlandia e Svezia), 25 esattamente dieci anni dopo (Cipro, Malta, Estonia, Lettonia, Lituania, Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia, Slovenia, Ungheria) e 27 a fine 2007 (Bulgaria e Romania). In pratica l’UE raddoppiò in un quindicennio, con la frenesia dell’ingrossarsi al posto dell’impegnarsi alla comune maturazione civile delle varie cittadinanze. Quanto alla moneta unica, fu l’emblema del supposto nuovo stato e pertanto venne introdotta alla stregua di procedura tecnica centralizzata avulsa dalla realtà economico finanziaria concreta nei rapporti tra i cittadini. Le storture di rilievo insite nell’euro si manifestarono subito (la mancanza di collegamento con una politica fiscale della UE e la mancata adozione dell’euro di alcuni paesi UE, da subito Danimarca e Svezia e da quando sono entrati, Bulgaria, Polonia, Repubblica Ceca, Romania ed Ungheria). Però non sono mai state mai corrette, proprio perché, nella frenesia del superstato, neppure percepite come tali. Storture foriere nel tempo di gravi disagi, tipo non avere previsto all’epoca dell’entrata in vigore (1 gennaio ’02) misure pratiche per impedire la lievitazione dei prezzi conseguente ad un’incontrollato cambio di valuta, oppure non riuscire, mancando la fiscalità dell’Unione, ad effettuare un’adeguata politica socio economica UE.
3- L’omissione strumentale sulla NATO. Lo strumentale falso storico di Polito sull’esistenza dell’UE, non riguarda solo l’UE in sé, ma si estende ad un altro soggetto chiave della guerra fredda (la NATO) omesso pur essendo determinante nei primi anni ’90 e nella vicenda Ucraina. L’Alleanza Atlantica nata nella primavera ’49 tra 12 paesi (dieci in riva dell’Atlantico, Stati Uniti. Regno Unito Canadà, Islanda, Portogallo , Francia, Belgio, Olanda, Danimarca, Norvegia, e due non in riva all’Atlantico, Italia e Lussemburgo), all’epoca di Maastricht contava 16 membri (due in più in riva all’Atlantico, Spagna e Germania, e due nel Mediterraneo, Grecia e Turchia). Il Trattato di Maastricht aveva come punto qualificante avviare per l’UE un processo di sicurezza in autonomia. Un punto non gradito ai paesi NATO fuori del nucleo UE. Soprattutto perché alla fine degli anni ’80 era stato siglato un accordo tra il Presidente USA Bush s. e quello sovietico Gorbaciov per cui la NATO avrebbe cessato del tutto di espandersi, accordo in base al quale lo scioglimento del Patto di Varsavia nel ’91 poneva il problema di un parallelo scioglimento della NATO. Peraltro, i paesi NATO fuori del nucleo UE non volevano lo scioglimento, e, quando la firma di Maastricht acuì il problema, iniziò un percepibile contrasto tra gli ambenti UE fautori di un occidente liberale e chi concepiva la libertà alla stregua di un marchio imperiale. Nelle stesse settimane di Maastricht fu rilevato che gli atti sulla sicurezza autonoma UE, correttamente fatti, non avrebbero impedito l’allargarsi NATO. Così avvenne. Negli anni successivi l’UE non ha davvero sviluppato il programma di sicurezza autonoma, mentre la NATO negli anni ’90 ha fatto la guerra in territori jugoslavi e poi si è allargata a Polonia, Repubblica Ceca e Ungheria (paesi non UE) , attivandosi infine per farle entrare nella UE, cosa conclusa nel 2004, insieme all’ingresso di Bulgaria, Estonia, Lettonia, Lituania, Romania, Slovacchia, Slovenia. Gli stessi stati entrarono anche nella UE salvo Bulgaria e Romania che vi aderirono tre anni dopo.
L’omissione nelle vicende NATO di oltre un quindicennio risulta tanto più strumentale nelle ricostruzione fatta nell’editoriale del 10 aprile , in quanto si accompagna all’omettere due ulteriori fatti storici decisivi per mettere in luce come le pressioni della NATO abbiano subito diversi scacchi nel tentativo di dare alla libertà il marchio imperiale. Uno è la non riuscita del realizzare una UE imperniata su una Costituzione non correttiva degli errori di Maastricht (trattato di Bruxelles in seguito firmato a Roma dell’ottobre 2004) ed anzi incline ad accrescere il potere degli stati piuttosto che quello dei cittadini. Il Tratto di Bruxelles non venne ratificata nel 2005 nei referendum in Francia e in Olanda, cosa che in seguito portò a ripiegare sul Trattato di Lisbona (2007 dicembre) in cui si ridusse ancora lo spirito del 1957 preparando all’epoca della concezione economica fondata sull’austerity. Il secondo scacco dell’attività per rafforzare la concezione della libertà occidentale in termini di libertà globalizzata e conformistica a guida occidentale, avvenne alla Conferenza internazionale sulla sicurezza di Monaco di Baviera, nel febbraio del 2007.
4- La svolta di Putin alla Conferenza di Monaco. La concezione della libertà occidentale in termini di libertà globalizzata e conformistica crollò perchè Putin fece un discorso in cui espresse la motivata e completa insoddisfazione russa per il comportamento degli USA e della NATO nei sette anni della sua presidenza (quali le menzogne acclarate per giustificare il rovesciare Sadam Hussein), e annunciò che Mosca avrebbe preteso un ruolo partenariato in un mondo multipolare, insieme alla Cina e non subordinato a Washington.
Il crollo reale non fu l’esplicita dichiarazione di Putin – una conferma di quello che l’occidente liberale sostiene da molti decenni – , fu il fatto che, contrariamente alle aspettative, risultò contestato lo slogan “il comunismo è crollato, la storia è finita” e l’idea della libertà come marchio imperiale da tutti riconosciuto. Così anche quando nell’agosto 2008 la Russia, applicando la teoria di Putin esposta l’anno prima, intervenne militarmente in Georgia per aiutare la provincia dell’Ossezia del Sud e bloccare l’aspirazione ad entrare nella NATO del governo centrale insediato dai servizi segreti USA, il braccio armato dell’Occidente continuò con le sue trame. Non faceva pressione sul mondo orientale attraverso il sistema della libertà di scambio tra i popoli a presidio delle relazioni internazionali e invece continuava ad allargare l’adesione alla NATO in Albania e in Croazia (2009) e a stabilire un rapporto sempre più stretto con l’Ucraina mediante il partenariato esistente già dal ‘97 e approfondito nello stesso 2009. In più. Si verificarono negli anni immediatamente successivi le manovre assistite dalla NATO nelle cosiddette primavere arabe e in LIbria
5- Le vicende in Ucraina. Il contrasto politico in Ucraina fu prolungato ed acceso incentrandosi sullo stare più con la Russia oppure con l’Occidente. A fine 2013 primi 2014, scoppiarono proteste in piazza quando il Presidente Yanukovych si rifiutò di firmare l’accordo libero scambio con l’UE e preferì fuggire lasciando campo libero ai nazionalisti filo-occidentali (un movimento variegato comprendente anche gruppi dichiaratamente neonazisti). In parallelo, nella regione meridionale della Crimea si svolse poche settimane dopo un referendum promosso dai russofoni (contestato dalla Corte Costituzionale ucraina) che stabilì di tornare nello stato russo. La Russia sancì subito la secessione della Crimea dall’Ucraina e l’annessione alla Federazione Russa.
Nel frattempo il governo di Kiev adottò sistemi analoghi a quelli russi, prima sopprimendo partiti di opposizione, poi introducendo una legge marziale di divieto delle manifestazioni in dissenso. Contestualmente, la regione del Donbass, nell’Est dell’Ucraina, intendeva seguire il procedimento della Crimea e due province, Donetsk e Lugansk, si proclamarono indipendenti, cosa che dette inizio ad una guerra civile con il governo di Kiev, che attaccava i separatisti ed esaltava la collaborazione di reparti nazisti, quali il battaglione Azov.
La lotta armata nel Donbass provocò l’intervento pacificatore tra Ucraina e Russia della Francia e della Germania, e tra i quattro venne raggiunto l’accordo di Minsk2 (febbraio 2015). Dal punto di vista russo , il punto principale era l’impegno dell’Ucraina di inserire nella propria Costituzione l’autonomia rafforzata per le regioni russofone del Donbass. Le tensioni politiche all’interno dell’Ucraina restavano comunque forti, specie nello stesso Donbass, in specie sulla questione del rapporto con la NATO (anche perché questa aveva un’organizzazione operativa assai presente sul territorio con dispiego di mezzi finanziari e di personale). Fatto sta che l’autonomia promessa continuava a non venir realizzata, nonostante i solleciti di Mosca. Dopo qualche anno la Costituzione venne modificata per inserire l’aspirazione all’ingresso nella NATO (il lavorio delle strutture dell’Alleanza funzionava), ma nessuna decisione sull’autonomia rafforzata. Nel frattempo la NATO si era estesa al Montenegro. La linea nazionalista ucraina si è rafforzata con l’arrivo alla Presidenza di Zelensky , un regista ed attore , che iniziò ad avere rapporti con Putin , rimarcando il suo essere molto filo NATO e filo UE. In un’area esterna al Mar Nero, la NATO si allargò pure alla Macedonia del Nord . Da parte sia Zelensky, ancora nel 2021, proponeva che l’Ucraina entrasse nella NATO e nell’UE e rifiutava di adempiere al Trattato Minsk2. Il che è un comportamento che confligge in pieno con la pretesa di equiparare il desiderio ucraino di autonomia al realizzare il principio di libertà, che, secondo i fautori del marchio imperiale, l’Occidente dovrebbe aiutare acriticamente per respingere l’attacco di Putin.
6- La libertà distorta nell’editoriale del 10 aprile. Il falso storico sull’UE, l’omissione sulla realtà della NATO, il fingere che la vicenda Ucraina si limiti al martirio seguito all’attacco russo, rendono l’editoriale del 10 aprile qualcosa di molto pericoloso per i cittadini, in quanto propaganda il rifiuto degli avvenimenti quali sono davvero. Questo in generale, anche se scimmiotta la campagna anti-russa dei media contro musicisti, direttori d’orchestra e cantanti, ben diversa dall’acquiescenza avuta all’epoca nei confronti degli Stati Uniti dopo la loro invasione e distruzione dell’Iraq. Quanto al liberalismo, poi, è un patetico tentativo di stravolgerne i principi.
La libertà non può mai essere concepita come marchio imperiale. L’idea di imporre la libertà è una trappola, poiché l’imposizione della libertà nega la libertà stessa, in quanto annulla autonomia individuale e diversità, tentando di istituire una idea di libertà fissa. Eliminare Putin non servirà a trasformare la Russia in una democrazia liberale. L’esperienza storica mostra che è solo attraverso il confronto critico che l’idea di libertà e di diversità dei liberali matura nella convivenza.
Nel conflitto ucraino l’Occidente sta palesando, emotivamente, un’idea sbagliata di come diffondere la libertà. Segue il modello degli Stati Uniti e perfino della NATO, che sono modelli impositivi statici, addirittura con quello NATO che da per scontato il ricorso alla forza invece del libero scambio. Pretende che l’Ucraina sia una democrazia liberale, solo perché aspira alla libertà (e nonostante violi gli impegni assunti, censuri in TV la Via Crucis del venerdì Santo perché non abbastanza antiputin e non voglia ricevere il Presidente Tedesco perché era tra i negoziatori di Minsk2). Sogna che eliminando la tirannia di Putin e dei suoi oligarchi, anche la Russia possa diventare un paese libero, occidentale.
Con la distorsione del concetto di libertà praticato in queste settimane – sanzioni economiche contro la Russia che si ritorcono contro chi le ha promosse e mostrano come i promotori siano un club di interessi non seguito dalla maggioranza della popolazione e degli stati del mondo – l’Occidente rischia di produrre ciò che afferma di non volere, cioè una guerra assai ampia. I liberali dovrebbero rifarsi al metodo sperimentale. Partendo dai problemi dobbiamo osservare quanto sperimentalmente succede. Non troveremo nella storia del secondo dopoguerra un solo momento in cui la libertà imposta ha attecchito. Afghanistan, Iraq, Libia, sono le sciagure più recenti (e neppure le sole) del fallimento dell’imposizione della libertà. Addirittura, attualmente, l’Occidente vorrebbe una guerra per procura alla Russia fatta dall’Ucraina, il che è perfino disonorevole per i principi occidentali. E’ illiberale nel profondo agevolare la prosecuzione della guerra in Ucraina, ammantandosi del promuovere la libertà occidentale. Tradisce i principi occidentali e fa arretrare la libertà degli scambi internazionali che della libertà è un aspetto decisivo.
In particolare, l’Ue e l’Italia dovrebbero rifiutare l’impostazione oltranzista dei nove Paesi Nato non appartenenti all’Ue che stanno esprimendo una concezione della Libertà contraddittoria (supponendola esportabile) e lavorare subito in modo coerente per la cessazione delle ostilità in Ucraina (senza quindi alimentare lo scontro armato). In più, al prossimo vertice NATO del prossimo giugno, l’Italia dovrebbe porre il suo veto (le decisioni NATO richiedono l’unanimità) ad ogni tipo di attività militare preventiva nei confronti dell’area Russa (a cominciare dalla proposta del Segretario Stoltenberg di far crescere la presenza NATO i Polonia e nei paesi baltici).