IL TERRORISMO E LA LIBERTA’ INDIVIDUALE NELLA CONVIVENZA LAICA

Scritto per la rubrica Disputationes della rivista NON CREDO n.35

 

Sulla campagna d’inverno del terrorismo sono necessarie riflessioni ragionate.

Diffondere terrore tra i cittadini che convivono secondo regole da loro stessi scelte, punta a minare la fiducia nella democrazia e ricondurre alla verità immutabile del potere nel cui nome il terrore agisce. Su tale impostazione due considerazioni. Una  è che essa è assai diversa dagli attentati anarchici, che colpivano il potente simbolo di oppressione. L’altra è che il clamore enorme suscitato non corrisponde a danni umani e materiali paragonabili ad una guerra totale. Salvo uno, quello di  espandere l’insicurezza e la paura. Peraltro, non essendoci la guerra, ciò basta per innescare, ovunque, la tendenza a regredire nel livello delle regole di libertà. La attiva la falsa speranza di raggiungere la sicurezza comprimendo la diversità individuale e il passar del tempo.

La prima profonda riflessione sugli atti terroristici è  – a parte l’esame degli eventuali errori nelle procedure protettive affidate ai servizi segreti – lo scavare in tema di sicurezza umana. Ciò porta a ribaltare un approccio di lunghissimo periodo nei rapporti civili della convivenza, molto usato negli ultimi secoli.

Prima, la sicurezza dipendeva dalla forza del capo o del gruppo dominanti, che la elargivano per esprimere la propria magnificenza in cambio di totale fedeltà. Questo rapporto quasi mistico di fedeltà all’interno della comunità di appartenenza, garantiva a parole, almeno finché restava quel capo, la sicurezza per ogni cosa.  Poi, circa quattro secoli fa, si cominciò a concepire il nuovo rapporto tra forme di convivenza e libertà individuale. La conseguenza era l’avvio della percezione del come la libertà dei conviventi portasse loro una sicurezza più ampia ma differente. Adottando il criterio laico della libertà  dei conviventi, la sicurezza non poteva essere affidata solo alla mistica della comunità e cominciava a dipendere dal come nel convivere era utilizzata la libertà individuale.  Non solo. Il concetto stesso di sicurezza doveva acquistare aspirazioni meno utopiche (cioè di sicurezza completa e fuori del tempo)  e piuttosto legarsi allo svilupparsi del senso critico sui fatti vissuti.

Infatti, utilizzare la libertà  come veicolo di conoscenza, circoscrive l’egoismo e non consente più la certezza  incondizionata ed indipendente dal tempo. Il che da  nuovi connotati al concetto di sicurezza. Non è più possibile predicare la sicurezza mistica e su tutto, perché sarebbe incoerente con l’incertezza e la limitatezza connesse con il criterio della libertà. Eppure la concezione conservatrice del mondo – che caratterizza la destra e la sinistra –  non ha mai abbandonato la pretesa di governare la convivenza nel nome della sicurezza (restando alla logica del potere garantito da chi è egemone).

Così si propinano ai cittadini richiami e indicazioni sulla sicurezza piuttosto che sulla libertà di essere diversi rispetto al mondo.  Questa presunzione di rafforzare la sicurezza mediante il ridurre i meccanismi  base della libertà, dovrà essere contrastata con fermezza, mostrando che restringerli causa più insicurezza di quanta sicurezza si vorrebbe garantire. Già tale compito esige alcuni accorgimenti. A cominciare da quello di ribadire che la sicurezza moderna è la convivenza interconnessa tra diversi, che tollera idee ed usanze altrui, persone e culture,  anche quando non si condividono. Richiede solo il rispetto dei diritti umani di ogni individuo e delle regole pubbliche di volta in volta scelte. Governando la convivenza così, migliora la qualità della vita nei rapporti interni e internazionali.

Un secondo atteggiamento è non cavalcare mai la tesi dello scontro di civiltà o di religioni, sia perché inibisce in partenza ogni confronto critico sia perché lo scontro con il fondamentalismo esiste ma verte  tra il pensare la convivenza come comunità imposta ai cittadini (cosa contraria allo spirito laico della libertà) oppure come rete di scelte individuali attraverso il conflitto democratico (che è il fine dell’agire laico). Un terzo atteggiamento è non confondere mai la libertà di esprimere e di praticare il proprio credo, ateismo incluso, con l’affidare alla fede la formazione delle leggi. Quindi, nelle società plurali, i tavoli interreligiosi per l’integrazione non possono in nessun caso divenire la via per affidare alle presenze religiose la definizione delle regole di convivenza: il patto di cittadinanza si stringe sulle regole volute al momento dai cittadini e non sulle fedi praticate. E d’altro lato, neppure la libertà civile può mai permettersi di indicare come debbano vivere la religiosità il singolo, i fedeli e la Chiesa.

Poi c’è un altro modo di lasciar spazio alla ricerca di sicurezza a danno della libertà di essere diversi: quello di sminuire l’attenzione ai meccanismi di libertà. E’ la pratica, più subdola, del buonismo circa la violazione delle regole (le cose più importanti sarebbero altre), specie quelle sui diritti individuali (disprezzo delle donne , bullismo, razzismo, libertà di comunicazione, poter vedere l’identità altrui in pubblico, non diffondere gli atti terrorismo, verifica delle condizioni sanitarie, etc.) o sui diritti di proprietà (come furti, rapine, dirigismo economico).

Qui il contrasto richiede molta coerenza. Non si fonda sulla gara a chi promette mirabilia ma sulla qualità dell’evolversi delle condizioni di vita effettive. Dunque sono decisive le norme e le iniziative capaci di renderle di continuo adeguate, evitando blocchi al fluire delle idee, delle proposte, dei modi di vita (quale la mancanza di risorse minime di sopravvivenza). Più attenzione si rivolge alle regole  da adottare e all’effettivo funzionamento  delle istituzioni, più si sviluppa la libertà del cittadino e cresce la sua sicurezza possibile. Ricordiamo sempre che il volto della libertà laica non è il vero ma il diverso, quel diverso che, sperimentando, consente di affrontare il tempo e di far vivere con fluidità i propri caratteri identitari.

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