Non ci sono governi tecnici. Sono votati dal Parlamento. Napolitano ha resistito due anni al sostituire Berlusconi senza sfiduciarlo e, quando Berlusconi ha deciso di dimettersi, ha incaricato Monti (prerogativa ordinaria, non il favoleggiato motore di riserva) per verificare l’esistenza di una maggioranza. In Parlamento c’è stata e dunque il governo Monti è un governo come un altro. Nessuna democrazia sospesa.
Eppure l’etichetta governo dei tecnici è esatta. Tutti i membri sono professionisti di vaglio e nessuno è lì per la sua visione politica. Non è stata filtrata dai cittadini. Questo è il nodo. E lo è sotto vari aspetti che tocco al volo.
Il primo è constatare che Monti è stato votato per lo stile sobrio ma nel buio programmatico. E siccome ha detto di applicare gli impegni europei già presi, il voto parlamentare significa: a) che Berlusconi non ha detto come stavano le cose, b) che l’opposizione ha identificato il problema in Berlusconi mentre i fatti provano un’altra dimensione, c) che maggioranza ed opposizione sono state incapaci di attuare gli impegni europei, d) che in Italia non c’è il conflitto democratico come decisione partecipata su idee e progetti.
Il secondo è che tutti devono stare ai fatti. I fatti impongono la linea di sacrifici emersa con le manovre inclusa la Monti (a parte le riserve sotto) e di abbandonare l’idea che la convivenza abbia solo diritti, non costi, e che basti il populismo corporativo. Va ricreata la responsabilità civica dei differenti interessi, perché l’equità non è indipendente dalle regole.
Il terzo è che il venir meno dei partiti alle loro funzioni, non solo non annulla le funzioni che hanno per il convivere ma neppure attribuisce loro l’esclusiva responsabilità. E quella dei cittadini che per anni hanno accettato un dibattito politico imperniato su chi gestiva il potere e non su idee e progetti?
Il quarto è che occorre discutere come fare cosa. Per un liberale non è corretta la struttura del Salva Italia, più imposizione fiscale, pochi risparmi nelle spese pubbliche e poteri eccessivi alle burocrazie (ad esempio colpevoli del non fare i controlli dalle tecniche molto agevoli sui mancati accatastamenti). I sacrifici sono inevitabili, ma serviva una patrimoniale per tagliare il debito pubblico (e non sui redditi) contestuale al rilancio dello sviluppo (diminuzione del numero e del livello delle aliquote fiscali) per innescare la ripresa. Monti stesso ha riconosciuto che la Salva Italia non eviterà la recessione, che farà una patrimoniale tardiva senza abbassare il fisco e ancora non dice come attivare crescita e liberalizzazioni.
Il quinto è che la Cresci Italia sarà una ricetta tecnica (cioè del governo e della burocrazia con tracce di concessioni categoriali) ma non potrà essere una ricetta politica. Che è inseparabile da una prospettiva culturale individuata tra molte e filtrata con il dibattito e le scelte di tutti i cittadini non degli addetti. Per cui preoccupa il palese tentativo di riproporre il consociativismo dei grossi e il conformismo dei privilegi.