Scritto per la rivista NON CREDO
Un esame dei pochi mesi di vita della Repubblica Romana del 1849 mostra che prevale la trattazione celebrativa (nell’ottica di un modello storico statico) sull’esame delle conseguenze prodotte (nell’ottica di un modello di conoscenza che sta ai fatti e che varia nel tempo).
I moti del 1848 – La Repubblica Romana è arrivata dopo i moti che, dall’inizio 1848, hanno costellato il Nord Italia contro gli austriaci. A Padova, a Milano (le cinque giornate), poi a Venezia (che creò la Repubblica di San Marco) infine la coalizione tra il Regno del Piemonte di Carlo Alberto ed altri Stati italiani che dichiarò guerra all’Austria. Inoltre, sempre all’inizio del 1848, moti ci furono anche a Palermo e a Napoli.
A Roma il Papa Pio IX – che nel 1846 aveva suscitato grandi attese liberali in chi non percepiva la contrapposizione di fondo tra autorità papale e libertà civile – avvertendo il clima nella penisola, concesse a marzo ‘48 lo “Statuto Fondamentale” che era una timida diminuzione del tasso di influenza della Curia sul governo dello Stato Pontificio. Passati pochi giorni, Pio IX mandò in appoggio della coalizione di Carlo Alberto, un Corpo di Spedizione di 7 500 soldati regolari più altri volontari del centro Italia, per un totale di venti mila uomini, due terzi dell’esercito piemontese. L’intento dell’appoggio era difendere l’integrità dello Stato della Chiesa. Il Corpo di Spedizione non si limitò alla difesa e prese parte attiva alle azioni militari della coalizione in Veneto. Nei mesi successivi Pio IX, non volendo rompere con un importante stato cattolico, passò ad una posizione neutralista. E quando , dopo la sconfitta di Carlo Alberto a Custoza (seguita da armistizio), l’Austria invase lo Stato della Chiesa in Emilia, fu chiaro che appoggiare i moti italiani era pericoloso per la Chiesa. Anche perché a Roma la situazione politica era molto tesa per la contrapposizione tra i conservatori e i contestatori del neutralismo. In poche settimane ci furono vari governi e, siccome si dimettevano tutti sul neutralismo, Pio IX tentò un equilibrio facendo Capo del Governo l’ ambasciatore Pellegrino Rossi.
Pellegrino Rossi, moderato e liberale, fu attento alle istanze patriottiche e si alienò i conservatori senza convincere i fautori della guerra all’Austria. Nel frattempo il governo sabaudo e i patrioti approfittavano dell’armistizio per raccogliere alleati. E siccome era evidente che il Borbone Ferdinando II non li avrebbe appoggiati, premettero su Firenze e su Roma. A Firenze il Granduca incaricò a fine ottobre un governo che fu presto a favore della guerra con l’Austria; a Roma, il giorno di riapertura del Parlamento Pellegrino Rossi venne assalito dalla folla e accoltellato a morte da ignoti. Il giorno successivo una marcia di carabinieri, della Guardia Civica e di cittadini qualunque, chiese la costituente italiana e la guerra all’Austria. Ci furono scontri a fuoco con la Guardia Svizzera.
Fuga Pio IX ed elezione Assemblea Costituente . Pio IX dichiarò al corpo diplomatico che era costretto a fare concessioni che considerava nulle. Dopodiché nominò Capo del Governo Muzzarelli, un avvocato concistoriale, di ideali liberali, e ministro degli Interni Galletti, anch’egli di provenienza moderata. Quattro giorni dopo, Pio IX si rifugiò a Gaeta sotto la protezione del Re di Napoli. La Francia decise di intervenire a suo favore militarmente. Fatto questo, il Papa dichiarò decaduto il Governo ma non trovò ascolto. Galletti temporeggiò e non indagò sull’assassinio di Pellegrino Rossi. Nelle settimane successive, il Consiglio dei Deputati nominò una provvisoria Giunta di Stato che, oltre a Muzzarelli e Galletti, chiamò Armellini e a fine dicembre ’48 convocò le elezioni per l’Assemblea Costituente. Pio IX reagì scomunicando chi aveva convocato le elezioni e chi vi avesse preso parte. Tuttavia le elezioni si svolsero il 21 gennaio, e votò anche un certo numero di religiosi. Gli elettori furono quasi 250 mila tra Lazio, Umbria, Marche e Romagna con Bologna. Fu eletto Giuseppe Garibaldi (in seguito, in due elezioni suppletive a Ferrara e a Roma, anche Giuseppe Mazzini). Il 5 febbraio, l’Assemblea, presidente Galletti, iniziò i suoi lavori e neppure 4 giorni dopo votò con maggioranza molto ampia il Decreto Fondamentale dello Stato in quattro articoli. Vi si stabiliva che il papato è decaduto dal governo temporale, che il Pontefice Romano avrà tutte le guarentigie necessarie per l’indipendenza nell’esercizio della sua potestà spirituale, che la forma del governo dello Stato Romano sarà la democrazia pura, che la Repubblica Romana avrà col resto d’Italia le relazioni che esige la nazionalità comune.
La Repubblica Romana. La data di nascita della Repubblica Romana (la seconda) è il 9 febbraio 1849, esattamente 51 anni dopo la prima del 1798. Va anche rilevato che il suo primo atto si limitò alla forte attenzione ai rapporti politici interni all’ex Stato della Chiesa e al rapporto con gli altri stati della nazione italiana ancora non esistente. Inoltre, esercitando la funzione di assemblea legislativa per la vita amministrativa e politica, nelle prime settimane stabilì che i beni ecclesiastici esistenti divenivano proprietà dello Stato (che avrebbe retribuito i ministri di culto), abolì la giurisdizione dei Vescovi sulla scuola salvo i seminari, soppresse ogni privilegio del clero ed i Tribunali ecclesiastici, introdusse la libertà di stampe.
Nel frattempo, la situazione in giro per la penisola evolvette rapida. Il 18 febbraio , Pio IX chiese ad Austria, Francia, Regno delle Due Sicilie e Spagna un intervento armato. A fine febbraio il Granduca di Toscana lasciò Firenze ai democratici di Montanelli e si rifugiò anche lui a Gaeta. Qui Ferdinando II era sempre più saldo e a metà marzo sciolse definitivamente il Parlamento, perché dal giugno ’48 aveva sostenuto “la ricostituzione dell’intera nazionalità italiana“. Negli stessi giorni, terminò l‘armistizio austriaco piemontese e l’esercito dell’Austria sconfisse a Novara quello del Regno del Piemonte, provocando l’abdicazione di Carlo Alberto e il subentro al trono di Vittorio Emanuele II.
Questi fatti impressionarono Roma, perché ne aggravarono l’isolamento, visto che nessuno degli Stati più liberi, era disponibile a collaborare davvero con la Repubblica Romana. Così, a fine marzo, su sollecitazione di Mazzini, a Roma da inizio mese, l’Assemblea decise di mettere in poche mani il potere perché, con maggiore rapidità, si preparasse la difesa dai restauratori. Fu votato un triumvirato (Armellini, partecipe già della prima Repubblica Romana, Mazzini e Saffi) con poteri illimitati per la guerra d’indipendenza e la salvezza della Repubblica.
Nei medesimi giorni, a Gaeta si era aperta la conferenza tra le potenze cui Pio IX si era appellato per la restaurazione (durerà un anno). Entro metà aprile, a Firenze i moderati liquidarono la dittatura repubblicana di Guerrazzi richiamando il Granduca, che due settimane dopo approvò l’invasione della Toscana fatta dagli austriaci (entrati anche negli Stati Pontifici in Emilia e nelle Marche). La rapidità dell’azione austriaca dopo la vittoria di Novara, mise in agitazione la Repubblica francese presieduta da Luigi Bonaparte, la quale già non aveva voluto riconoscere la nuova Repubblica romana, che pure lanciava appelli alla fratellanza. La Francia repubblicana non voleva farsi anticipare dall’Austria retriva e cattolica. L’esercito francese avrebbe tutelato la libertà ma rimesso ordine nelle regioni in subbuglio. E dunque il Parlamento di Parigi approvò la spedizione romana agli ordini del generale Oudinot, che sbarcò a Civitavecchia la mattina del 24 aprile.
Le truppe francesi a Roma. Sette giorni prima, l’Assemblea romana, appena dopo aver suddiviso il patrimonio ecclesiastico in lotti da dare alle famiglie povere, aveva iniziato a discutere sul progetto di Costituzione predisposto da Antonelli, incaricando una Commissione di elaborare lo schema definitivo. In ogni caso, incombeva la preoccupazione circa le intenzioni della Francia e si discusse al riguardo fino a poco prima della notizia dello sbarco, decidendo di riaffermare il Decreto Fondamentale.
Quando le notizie arrivarono, l’Assemblea unanime definì l’invasione francese un atto contrario al diritto delle genti, agli obblighi assunti dalla Francia nella sua Costituzione e dichiarò il fermo proposito di resistere. Continuò poi a discutere anche alla luce di quanto riferivano messi del Comando francese, tuttavia, non essendo chiare le intenzioni di Oudinot, attese fino al 30 aprile. Quel giorno i francesi attaccarono le mura occidentali e l’Assemblea decise di trasferirsi al Quirinale, presso i Triumviri, in modo che a tutti fosse visibile la sovranità popolare. I primi scontri, soprattutto per l’azione dei volontari garibaldini, videro vittoriosi i difensori che respinsero i corpi francesi e che potevano umiliarli con un inseguimento fino a Civitavecchia (non fu fatto perché Mazzini sperava in un accordo con la Repubblica francese erede della Rivoluzione). L’Assemblea restò al Quirinale fino al 13 maggio, poi tornò alla sede della Cancelleria. Nello stesso periodo, l’esercito austriaco era sceso fino ad Ancona, quello borbonico era stato bloccato dai garibaldini a Velletri e a Gaeta arrivarono truppe spagnole. Quanto alla Francia, dopo l’insuccesso del 30 aprile, decise di trattare con Roma inviando un diplomatico di alto grado, il visconte Lesseps, il 15 maggio.
L’Assemblea aggiunse al Triumvirato tre incaricati di trattare con Lesseps (il negoziatore effettivo era Mazzini) . Il 19 maggio Lesseps inviò un progetto di accordo in tre punti. Gli Stati romani chiedono la protezione della Repubblica francese. Le popolazioni romane hanno diritto di pronunziarsi liberamente sulla forma del loro governo. Roma accoglierà l’esercito francese come esercito amico. Vennero respinti all’unanimità. Per altri cinque giorni il negoziato continuò invano. Allora Lesseps dichiarò di ritirarsi, perché il Governo, sotto l’influenza di Mazzini, non coglieva le finalità liberali della Francia. L’Assemblea esaminò il 24 maggio i punti di Lesseps e li trasmise ai Triumviri, i quali trattarono ulteriormente, finché Lesseps trovò un accordo con Mazzini, e reinviò a Roma un documento a firma di Oudinot, redatto secondo l’accordo. In pratica i punti iniziali addolciti in un appoggio dei francesi (non più la protezione), in una garanzia francese contro le invasioni straniere e nel consenso ai francesi di prendere gli alloggiamenti più convenienti alla salute delle truppe. Alla fine questa formula venne accettata e l’accordo approvato il 31 maggio sera.
Tuttavia nelle medesime ore Parigi aveva scritto a Lesseps e al generale Oudinot, in base alla nuova situazione politica conseguente al voto del 13 maggio: ora i conservatori erano predominanti. A Lesseps venne comunicato che la sua missione era esaurita e all’Oudinot venne dato l’ordine di attaccare Roma. Oudinot scrisse subito il 1 giugno al Governo romano dichiarando che Lesseps aveva ecceduto i suoi poteri, che il negoziato era come non avvenuto e che il 4 giugno mattina sarebbe stata investita la piazza di Roma. L’Assemblea, certa non vi fossero attacchi prima del 4 giugno, restò assorta e non rafforzò le difese. Ma i francesi attaccarono all’alba del 3 giugno le ville all’esterno delle mura (per loro la piazza era l’interno delle mura) e occuparono villa Corsini. La resistenza dei volontari di Garibaldi e del battaglione lombardo fu molto decisa, ebbe successi parziali ma non riuscì a riprendere la villa. Oudinot piazzò le artiglierie contro la città e sparò. E l’Assemblea Costituente, con Mazzini contrario alla resa, proseguì la discussione sulla Costituzione repubblicana, a partire dal 16 giugno per due settimane fino al 30 giugno, mentre gli scontri a fuoco proseguivano in strada.
La Costituzione della Repubblica Romana. Il 30 giugno pomeriggio l’Assemblea si riunì e Mazzini, dopo aver escluse sia la capitolazione che la difesa ad oltranza, propose di portare altrove i principi della Repubblica e l’esercito. La proposta di Mazzini non convinse l’Assemblea. Si chiamò in Assemblea anche Garibaldi, che stava combattendo. Garibaldi in questo caso convenne con la tesi di Mazzini. Ma neanche così l’Assemblea si convinse e decise di accettare l’ingresso delle truppe francesi (cioè la capitolazione di fatto che Mazzini non accettava) e i tre del Triumvirato si dimisero. Ciononostante l’Assemblea rimase al suo posto per approvare il 1 luglio il testo completo della Costituzione. Che venne letto da Galletti il 3 di luglio dalla loggia del Campidoglio, mentre le truppe francesi arrivavano sul Corso. Nel pomeriggio del 4 luglio nella sala dell’Assemblea, entrò una pattuglia francese che ordinò di chiuderla. Va rilevato che Oudinot accettò la mera resa militare e non cancellò formalmente l’Assemblea, perché essa, fin dall’origine, non era stata riconosciuta da Pio IX.
La Costituzione, votata dall’Assemblea della Repubblica Romana sotto le bombe (che colpirono pure il tetto del Campidoglio) , è un testo ben formulato che esprime principi di convivenza abbastanza laici tra cittadini autonomi. Nel complesso, una concezione di rilievo per l’epoca. Iniziava fissando otto principi fondamentali (sovranità del popolo, regime democratico, miglioramento delle condizioni di tutti i cittadini, rispetto di ogni nazionalità, uguali diritti dei Municipi, equa distribuzione degli interessi locali, credenza religiosa non sovrapposta ai diritti civili e politici, garanzia alla Chiesa Cattolica di indipendenza del potere spirituale) e proseguiva con 69 articoli suddivisi in otto Titoli (diritti e doveri dei cittadini, ordinamento politico, l’Assemblea, Consolato e Ministero, Consiglio di Stato, Potere giudiziario, forza pubblica, revisione della Costituzione) e Disposizioni Transitorie (quattro).
Repubblica Romana e Risorgimento. Stante che la ricostruzione dei fatti fin qui svolta è sintetica ma certa nell’essenza, si comprende quanto scritto nelle primissime righe all’inizio. Un esempio del celebrare è il Muro al Gianicolo di 50 metri con inciso il testo di quella Costituzione, inaugurato il 17 marzo 2011 nel 150° dell’Unità d’Italia. A stretto rigore dei fatti, è un falso storico, poiché la Repubblica Romana non ebbe un’effettiva influenza, concreta e diretta, sulla nascita nel 1861 dell’istituzione Regno d’Italia. Si badi bene però. Il falso non è del 2011, siccome già nei documenti esibiti alla Costituente è scritto che “la Repubblica Romana del 1849 può essere considerata come il momento centrale del nostro Risorgimento”.
Non stupisce. Nel periodo del ‘46, erano dominanti la DC e il PCI, vale a dire due culture che, pur diverse, avevano forti riserve (in termini diplomatici) sulla logica politico culturale da cui sorse l’istituto Regno d’Italia. La loro tesi storicamente senza fondamento (la Repubblica Romana quale momento centrale del risorgimento) la sostenevano perché la novità vincente del Risorgimento fu avviare la fine della stagione del libro sacro da venerare nella sua verità. Mentre la DC ed il PCI volevano ancora un libro sacro per messaggio chiave. E resero un libro sacro la Repubblica Romana.
Sull’unità d’Italia il Risorgimento riuscì perché usò un metodo innovativo. Un’idea politica, per realizzarsi, doveva derivare da convergenze diffuse tra i cittadini e poter risolvere un problema del convivere. Quindi ne devono maturare le condizioni nell’opinione e negli interessi degli Stati e dei cittadini. Viceversa la Repubblica Romana restò all’uso del dover essere e dell’emotività conseguente. Fu un esercizio di studio e una petizione di principio, più che una politica duttile legata alla realtà. Di fatti il 30 aprile a Garibaldi era stato impedito di sbaragliare i francesi, nella speranza che non farlo sarebbe stato titolo di merito nell’accordo immancabile tra due repubbliche democratiche. Fu uno sbaglio gravissimo. Ripetuto nell’accordo del mese dopo, ancora senza pensare alla realtà politica in Francia. Insomma non si voleva costruire un po’ alla volta in base ai rapporti effettivi. Si sognava la realtà immaginata nel libro sacro.
Oltretutto, in certi passaggi la Costituzione è ferma all’ideologia di Mazzini. Il secondo Principio Fondamentale, invertendo il motto rivoluzionario, antepone l’uguaglianza alla libertà, il che nasconde che l’uguaglianza deriva dalla libertà e si limita ai diritti. Il settimo principio, formula in modo incerto il primato dell’esercizio dei diritti civili e politici. L’ottavo principio è ambiguo nel dichiarare le guarentigie per il Capo della Chiesa Cattolica, riecheggiando il motto Dio e Popolo.
Insomma la Costituzione della Repubblica Romana neppure si pone il tema della separazione Stato Chiesa , che invece è stato un punto cardine della politica di Cavour e del Risorgimento attivo (Mazzini scrisse “gli uomini che riducono il problema al trionfo della formula Libera Chiesa in Libero Stato, servono ad una funesta, indegna viltà o non hanno scintilla di fede morale nell’anima”). Da qui, un solido motivo per il falso storico dei documenti esposti alla Costituente, poiché definire la Repubblica Romana un momento centrale del Risorgimento è l’anteprima di quanto succederà pochi mesi dopo con l’inserimento nella nostra Costituzione dell’art. 7 voluto dalla DC dossettiana.
Come sempre i laici stanno ai fatti e non celebrano speranze emotive.