Il referendum irlandese sui gay e la Chiesa

Articolo scritto per la rubrica Disputationes della rivista NON CREDO  n.37

 

Verso fine maggio, la cattolicissima Irlanda è corsa alle urne (60% dei votanti, un record nel paese, con l’apposito rientro di tantissimi residenti all’estero) per  un referendum dedicato a riconoscere  le unioni omosessuali: è stato approvato dal 62,1%, con 1,2 milioni a favore e 700 mila contro.  L’intero arco politico era per l’approvazione mentre erano contrari i settori conservatori cattolici, anche se pure i vescovi erano  schierati con la famiglia tradizionale, peraltro incolpati già prima del voto di non aver lanciato una crociata vera. Ora si arriverà entro l’anno a modificare l’art.41 della Costituzione stabilendo che il matrimonio può essere contratto da due persone senza distinzione di sesso. L’arcivescovo di Dublino, Diarmuid Martin, ha commentato che la Chiesa irlandese deve fare i conti con la realtà. Il Segretario di Stato Vaticano, Pietro Parolin, ha rilanciato osservando che “deve tenerne conto nel senso di rafforzare il suo impegno e sforzo per evangelizzare. E io credo che si possa parlare non soltanto di una sconfitta dei principi cristiani ma di una sconfitta dell’umanità”. Ed ha specificato: “Per noi la famiglia rimane il centro, e dobbiamo veramente fare di tutto per difendere, tutelare e promuovere la famiglia perché ogni futuro dell’umanità e della Chiesa dipende dalla famiglia, che è l’edificio del futuro”. Significativamente l’Osservatore  Romano ha titolato la notizia del referendum  “una sfida da raccogliere per la Chiesa”.

Tratto l’argomento non per parlare della dottrina cattolica e del come deve raccogliere la sfida. Lo tratto per tornare sui comportamenti politico civili di non pochi cittadini italiani, anche laici, che continuano a nascondersi dietro le colpe dagli altri (i politici prima di tutto e magari anche della Chiesa) ma fanno mancare la spinta dell’opinione pubblica ad una ragionata e decisa riforma istituzionale sempre più urgente.

La Chiesa svolge il suo magistero come crede (il merito dei laici è averle garantito tale libertà) e lo svolge con coerenza rispetto alla sua impostazione. Ad esempio, sempre in materia gay, esiste da tempo un silenzioso braccio di ferro irrisolto con la Francia, perché il Vaticano non da il gradimento alla nomina del nuovo ambasciatore francese a Roma, omosessuale notorio. Altro esempio, nella propria politica estera, antepone sempre le concrete condizioni locali di fare evangelizzazione alle affinità internazionali, quindi a metà maggio ha dato il riconoscimento giuridico allo Stato della Palestina e insieme  auspicato una soluzione della questione palestinese e del conflitto israeliano-palestinese nell’ambito della soluzione due stati e delle risoluzioni internazionali. Insomma, quando  papa Francesco predica frequentemente  “costruite ponti, non fate muri” si riferisce solo ad ottenere più possibilità di farvi passare la predicazione del vangelo.

La convivenza italiana, viceversa, ha  meno coerenza interna  e spesso dimentica che la medesima frase (“costruite ponti, non fate muri” ) nella vita civile ha un significato molto differente, quello  di costruire il ponte per attuare la cultura del vicendevole scambio tra i cittadini diversi in tutto, anche nel come essere religiosi e nel se esserlo. Troppi cittadini, non politici e politici, si comportano da subalterni alla gerarchia e sono disattenti alle convinzioni civili. E’ emblematico che in Italia non vi sia  alcun tipo di tutela legale per le coppie omosessuali, nonostante se ne parli da circa un ventennio. Questo favorisce l’iniziativa politica di Comitati come “Sì alla famiglia”  che, in ossequio al magistero della Chiesa,  fondano la propria azione sul rifiuto della secolarizzazione, perché subalterna ai modelli laici dominanti e radicata in un clima morale e perfino teologico relativista e permissivo.  Per tali motivi i comitati Sì alla famiglia, i movimenti pro family si oppongono alle adozioni da parte di coppie gay e alle unioni civili, ritenuti di fatto l’avanguardia del matrimonio a prescindere dal sesso. Di fronte a questo impegno militante di cittadini culturalmente non laici, l’Italia laica appare riluttante ad impegnarsi perché vi sia una legge che, al di là delle terminologie, renda possibili le unioni civili.

Una legge sulle unioni civili serve ad adeguare le regole istituzionali alla realtà effettiva di costumi molto diffusi tra i cittadini, che manifestano una varietà di modi nell’esprimere le reciproche affettività. E lo fa con la caratteristica della laicità, non imponendo nessun tipo di rapporto tra due cittadini ma allargando la possibilità di sceglierne uno, restando comunque nel rispetto delle forme riconosciute dalla normativa di convivenza civile. Del resto è evidente che, proprio sul punto, la dottrina cattolica mostra di non essere commensurabile alla realtà del vivere. Essa sostiene che il matrimonio riguardi esclusivamente un uomo ed una donna perché è un precetto naturale. E non si è accorta che oggi il precetto naturale può ancora valere riguardo alla funzione del procreare ma certo non per definire nel 2105 rapporti tra due persone in ambito civile. Lo ha dimostrato la risposta data dal voto popolare di un paese di fortissima tradizione cattolica come l’Irlanda. I dottrinari cattolici continuano a commettere rispetto al clima della convivenza lo stesso errore che commisero oltre quarant’anni fa all’epoca della legge Fortuna Baslini, quando, anche allora, la politica garantì i cittadini e le loro libere scelte prima e contro i sostenitori della dottrina. La questione è che la dottrina, per chi ci crede, può anche avere molti pregi ma comunque non può avere mai quello di servire a redigere leggi per regolare la convivenza.

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