Scritto a commento dell’articolo di Marcello Vigli “Confessionalismo politico in crisi ” pubblicato su ItaliaLaica.it
Rispetto ad un titolo che è onirico dal punto di vista laico, l’articolo svolge considerazioni in larga parte condivisibili (seppure con alcuni stridori) fino al terzultimo capoverso, per poi, negli ultimi due, sostenere una posizione non condivisibile e contraddittoria con il resto.
Dopo la premessa realistica, l’articolo rimarca molto correttamente la mancanza tra i promotori del Family Day 2016 di importanti associazione laicali dell’area cattolica (di fatto le più legate alla gerarchia) e la presenza di tutte le componenti del mondo cattolico integralista. E sottolinea che, visto il non coinvolgimento della gerarchia ecclesiastica, ormai la contrarietà del Family Day alla legge sulle Unioni Civili si concentra sulle adozioni da parte di coppie omosessuali e in specie sul loro ricorso all’utero in affitto. Inoltre precisa che il dissenso degli integralisti con la gerarchia si accompagna al maggior peso dell’integralismo clericale nelle sedi istituzionali. E pure alla propensione di alcuni Cardinali italiani (Scola) ad indirizzare la scuola pubblica non verso la secolarizzazione ma verso un più pesante confessionalismo allargando ad altre religioni i privilegi della Chiesa cattolica.
Nell’esporre tali argomenti, ci sono stridori sottotraccia. Non si ricorda che la Chiesa non è un organo democratico e che la linea la da solo il Papa, per cui non si ricorda neppure che l’integralismo cattolico è un termine politico senza valore religioso mentre i valori non negoziabili sono un detto del magistero religioso e non attiene alla politica. Peraltro il filo dell’articolo è condivisibile in pieno fino al penultimo paragrafo.
Da qui cambia completamente il tono. Si inizia con il coinvolgimento dei cattolici nei Comitati per il No al referendum costituzionale. Ora il No alla riforma renziana della Costituzione è sacrosanto, ma per il motivo che attiene alle procedure utilizzate da Renzi per arrivarci (non democratiche sotto più aspetti) e ai contenuti di merito (improntati ad una concezione cesarista e accentratrice, lontana dalla partecipazione del cittadino). Il No non attiene ai cattolici, non soltanto perché i cattolici non sono una categoria politica (come del resto afferma Francesco), ma anche perché, se ci si vuole riferire alla posizione di origine dossettiana della difesa della intangibilità della Costituzione, sarebbe un grave errore di tecnica elettorale far passare l’idea che al referendum costituzionale lo scontro non è su procedure e merito della riforma in esame, bensì tra chi non vuole modificare mai la Costituzione (in quanto la più bella del mondo) e chi vuole modificarla con qualsiasi mezzo e modo (il che darebbe indebitamente a Renzi il titolo di innovatore).
Per di più, nell’ultimo paragrafo si sostiene che un contributo al successo del No viene dalla crisi del confessionalismo (ecco spiegato il titolo), mentre questa crisi è purtroppo un sogno, dal momento che il conformismo confessionale resta una delle maggiori piaghe italiane (come sostiene pure l’articolo in precedenza, e come del resto palesa l’ insufficienza della partecipazione laica che decide). In conclusione, i laici si impegnino davvero per il No al referendum, ma senza dare in proposito il primato alle concezioni del mondo politico di ispirazione cattolica.