Referendum e parlamento

E’ in corso (fino al 7 settembre) la raccolta di firme su 12 referendum abrogativi ripartiti in due gruppi di sei, rispettivamente Cambiamo  Noi (divorzio breve, no reato clandestinità, eliminare precarizzazione migranti, no carcere per reati lievi nell’uso di droghe, modifica procedura 8 x mille, no finanziamento pubblico partiti) e Giustizia Giusta (due su responsabilità civile magistrati, su criteri fuori ruolo magistrati , custodia cautelare, abolizione dell’ergastolo, separazione carriere  tra giudici e pubblica accusa).

In giro se ne parla o per esaltarli in blocco (i promotori e gli strumentalizzatori, poco il servizio pubblico) o per invitare a firmare solo quelli condivisi (chi ha riserve ma sta alla finestra). Presi uno per uno, i 12 temi  caratterizzano una mentalità laica, che vorrebbe favorire il convivere dinamico tra cittadini diversi e responsabili. Però, in Italia, la vera questione politica non sta nel considerare le singole materie, sta nel come arrivare ad assetti conseguenti. Perciò sarebbe l’occasione giusta per riflettere se la strada più coerente e più giusta sia davvero fare referendum a grappolo.

Il referendum abrogativo completa la procedura legislativa del voto  parlamentare con il successivo controllo del voto dei cittadini. E’ in Costituzione e divenne legge nel 1970, su richiesta dei cattolici quale valvola contro il voto in Parlamento del divorzio. Dal 1993, cominciarono  a venire in campo tanti quesiti referendari insieme, su più materie. La cosa è proseguita fino ad oggi nel palese intento di trasformare il referendum abrogativo da strumento di controllo in strumento di governo.

Lo voglia o no, è un mutamento che distorce la democrazia parlamentare funzionante tra cittadini diversi. La democrazia parlamentare è frutto dell’esperienza storica, nei secoli e nei più diversi luoghi, secondo cui la democrazia diretta porta sempre ad opprimere la libertà. Il referendum abrogativo come strumento di controllo da parte dei cittadini, non contesta il ruolo del Parlamento ma lo completa,  impedendone il possibile degenerare in clan corporativo. Invece il referendum abrogativo come strumento di governo, vuole essere un’alternativa al legiferare in  Parlamento e illude di decidere senza delegare. Di fatto, favorisce la politica dei messia e allontana il conflitto democratico tra progetti dei cittadini. Fa credere che basti impegnare l’energia riformatrice nel manifestare il proprio punto di vista, ed omette il lungo e complesso lavoro politico per giudicare i risultati del governo e per scegliere leggi coerenti tenendo conto anche degli altri cittadini. Ciò danneggia il corretto utilizzo delle energie riformatrici, imprescindibile nella democrazia libera. Eppure si usano lo stesso i referendum a grappolo perché danno visibilità e questo conta molto nell’epoca dell’immagine.

Per non rinunciare ai referendum abrogativi come controllo ed eliminare quelli a grappolo, basterebbe stabilire che, ogni anno,  un cittadino può firmare al massimo solo due proposte di referendum abrogativo (cosa banale con le anagrafi informatizzate). Sfoltendo drasticamente il grappolo, taglierebbe la logica di governare tramite referendum. In più, per spingere al voto nel caso di referendum abrogativo, si dovrebbe abbassarne il quorum per la validità, dalla maggioranza degli aventi diritto al 50%+1 dei votanti alle politiche immediatamente precedenti (il che tiene conto della mutata propensione civile rispetto agli anni ‘40).

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