Il pacifismo vs. libertà (al prof. Pier Luigi Barrotta)

Da Raffaello Morelli a Pier Luigi Barrotta, domenica 2 luglio ore 18,45

 Caro Pier Luigi,

Ti ringrazio dell’attenzione alla mia mail e mi fa piacere che tu condividala questione dell’ossimoro “pacifismo liberale”. Tuttavia la mia mail si impernia sul sostenere la totale necessità, in Italia,  di considerare liberale un sostantivo politico, non  un mero aggettivo. Da noi c’è pochissimo liberalismo, ed anzi è considerato, da sinistra, dal centro, da destra e dal mondo cattolico, la fonte di ogni nequizia nelle scelte istituzionali. Per questo urge  farlo riemergere, per il paese prima che per i liberali. E non vi è dubbio che, tenendo fermo il concetto di sostantivo politico, la libertà dei liberali , siccome si fonda sullo scambio tra diversi (individuale certo ma anche tra Stati),  per fisiologia  persegue la pace. Non dimenticando mai , appunto, che la pace richiede diverse condizioni raggiungibili solo muovendo dalla stessa libertà e dai suoi conflitti. Viceversa, trattando il liberalismo come aggettivo di un qualche sostantivo ideologico, questo sostantivo (nel caso  il pacifismo) è sperimentalmente non in grado di produrre altro che la propaganda pro domo sua. L’essere assistito dall’aggettivo liberale non modifica in tempi umani l’attitudine specifica del sostantivo. In sintesi, non si tratta di lasciare il termine pacifismo ai pacifisti assoluti, bensì di convincere i cittadini che l’utopia della pace non si autorealizza  senza la libertà (magari al tempo stesso curando che la libertà venga attuata in coerenza al suo metodo e non si trasformi  in ideologia).

Cari saluti

Raffaello

Da Pier Luigi Barrotta a Raffaello Morelli, sabato 1 luglio ore 21,00

Caro Raffaello,

il problema è, come dici, che il pacifismo è oggi identificato con  “una dottrina che rifiuta ogni tipo di scontro armato per risolvere le controversie internazionali, senza però curarsi del crearne le condizioni”, o quella che chiamo “pacifismo assoluto”. Se accettassimo questa identificazione allora sarebbe corretto che il pacifismo liberale (o un liberalismo pacifista, se preferisci), diventa un ossimoro. Non vedo tuttavia motivo per lasciare ai pacifisti assoluti la difesa e il perseguimento della pace. Se ho ben capito la tua posizione, siamo d’accordo su tutto, tranne sull’opportunità retorica di non lasciare il termine “pacifismo” ai pacifisti assoluti.Un caro saluto,Pierluigi

Da Raffaello Morelli a Pier Luigi Barrotta, sabato 1 luglio ore 16,40

Caro Pier Luigi,

il tuo articolo sul numero di Aprile Giugno su Libro Aperto,  argomenta in modo brillante il perché sia  esatta la tesi di Kant  esposta nel suo Progetto per una pace perpetua. Annoti puntualmente che quello di Kant “non è un pacifismo assoluto, che va difeso indipendentemente dalle condizioni sociali e politiche. In Kant, il pacifismo diventa un progetto che va realizzato con un accordo di ingegneria istituzionale…Prima di arrivare alla pace perpetua, bisogna realizzare un certo numero di condizioni”.

Inoltre, il medesimo articolo argomenta allo stesso modo anche su un altro aspetto chiave, “l’analogia più vicina alla federazione dei popoli kantiana è rappresentata dall’UE , non dall’ONU …L’ONU è solo uno strumento per risolvere i conflitti ed è assai poco impegnato sulla natura costituzionale dei paesi aderenti. Al contrario, l’UE è molto esigente sulla adesione  ai valori liberali dei paesi che ne fanno parte”.  

Peccato che tali due argomentazioni, tipiche della cultura liberale,  tu le immerga in un contesto che adopera termini del tutto estranei a tale cultura. Asserisci che “il progetto di Kant ben illustra il pacifismo liberale”. Ora, a parte il fatto che il pacifismo organizzato è nato parecchi decenni dopo Kant, l’espressione pacifismo liberale è un evidente ossimoro.

Intanto perché pacifismo è una dottrina che rifiuta ogni tipo di scontro armato per risolvere le controversie internazionali, senza però curarsi del crearne le condizioni, mentre liberale è il metodo che si propone di regolare la convivenza nelle istituzioni ricorrendo alla libertà innanzitutto, all’individualismo e al riconoscere la diversità (appunto strumenti che attivano le precondizioni della pace tra gli Stati). E poi perché pacifismo liberale non è assimilabile ad un ossimoro letterario. Scegliendo il pacifismo come sostantivo politico, focalizza l’attenzione operativa sulla pace e rende il termine liberale un mero aggettivo di seconda battuta. Insomma, l’utopia politica della pace prevale sulla libertà e sulle altre condizioni per  arrivarci.

Nell’ottica dei liberali, proprio questo è l’ostacolo maggiore. Essendo l’obiettivo essenziale della politica liberale sostenere nel convivere i modi della libertà, dell’individuo e della diversità, non può essere sottoposto a utopie quali la speranza della pace, che  possono esserne solo il risultato, non la premessa. La politica liberale è il sostantivo, non l’aggettivo. Pertanto, per proseguire il cammino della libertà, è indispensabile mantenere una sua formazione autonoma e visibile, in grado di influenzare davvero il  come governare le istituzioni attraverso la conoscenza del reale. Invece, l’idea che il sostantivo politico sia una ideologia, una religione, un sistema da imporre, mentre l’essere liberale costituirebbe una mera aggettivazione per un clima di maggior civiltà, ripete il solito copione di stato imperniato sul potere e non sulle libere scelte dei cittadini.

Un’impostazione così è una trappola pericolosissima per i liberali. La tendono anche persone molto capaci (ad esempio l’importante pensatore americano Walzer , che quest’anno ha prodotto un libro subito pubblicato in italiano da Cortina, “Che cosa significa essere liberale”), le quali nuocciono ai liberali pur senza averne l’obiettivo.   Appunto con il sistema di ridurli ad un aggettivo di qualcosaltro e lavorando a non farli emergere come prospettiva politica autonoma, viceversa necessaria per costruire la libertà (Walzer si definisce un socialista liberale).

Ritengo che dal punto di vista dell’agire politico, non sia affatto sufficiente quello che scrivi: “il pacifismo assoluto è una vera e propria usurpazione semantica cui i liberali dovrebbero resistere”. Come sempre avviene, l’idea espressa con il sostantivo è la scelta dominante. Ed è a tale pratica, più del pacifismo assoluto, che i liberali devono resistere. Perché il pacifismo in sé è il sostantivo di un agire politico in opposizione alla libertà. Né basta, come pure scrivi, prendere le distanze dall’uso strumentale del pacifismo dei critici di Zelensky e della Nato.  Perché sull’argomento l’uso strumentale del pacifismo è assai meno preoccupante, per la cultura liberale, dell’omessa riflessione circa la politica della Nato da quasi un decennio, volta a fare di Zelensky un centro di pressione per sfidare la Russia a reagire secondo la sua natura di autocrate (il che è estraneo al metodo della libertà occidentale , che per prevalere si affida allo scambio tra diversi).

Questa voce è stata pubblicata in LETTERE (tutte), su questioni politiche, sul tema Fatti e contrassegnata con , , , , , , , , , , , , , , , . Contrassegna il permalink.