Un mio articolo su Libro Aperto dell’autunno 2021, illustrava l’urgenza di ricuperare il senso della funzione originale del mercato: quantificare il giudizio degli operatori umani sui diversi beni necessari a vivere, nel presupposto che, al momento del giudizio, al mercato siano presenti fisicamente i diversi cittadini giudicanti e i beni giudicati. Tale supposizione è cambiata al passare dei decenni. L’avvento delle Borse Valori ha sostituito sia i cittadini (con operatori loro rappresentanti) sia i beni da giudicare (con descrizioni delle loro caratteristiche materiali e con previsioni circa il loro futuro assetto inerenti le quantità da valutare, le date ed i luoghi di trasferimento). Comunque il sistema mercato è stato il massimo moltiplicatore della partecipazione degli individui alla convivenza economica senza ricorrere alla violenza fisica.
All’epoca, peraltro, ricordai anche la profonda trasformazione introdotta nel mercato dall’ avvento del computer. E ne sottolineai la caratteristica del simulare la presenza degli operatori umani mediante gli algoritmi. I tantissimi algoritmi adoperati, oltretutto funzionanti a grandissima velocità, sono quasi del tutto indipendenti dall’intervento materiale di chi li utilizza. Di fatto, stabiliscono sempre più da soli quali scelte compiere sul mercato. Così, da qualche anno, una simile crescita algoritmica ha stravolto quasi del tutto l’originaria funzione delle Borse Valori (assicurare la continua partecipazione attiva degli umani nel formulare i giudizi decisivi sull’economia). Il valore adoperato oggi nelle correnti relazioni tra umani per i beni essenziali nel vivere è determinato dagli algoritmi ed è adottato senza problemi dagli umani come se lo avessero scelto loro.
Aver messo la Borsa Valori in mano agli algoritmi, ha ferito nel profondo il principio della convivenza imperniata sul cittadino. Ed inoltre ha fatto crescere un altro difetto: ha dato alle persone o gruppi che controllano gli algoritmi, la possibilità di estendere il controllo sull’andamento dei mercati gestiti. Così, nelle Borse Valori mondiali è pressoché sparita la partecipazione del cittadino in carne ed ossa allo stabilire i prezzi nel tempo. Il che è un subdolo arretramento della libertà nel convivere. Per di più, a parte le manipolazioni dolose dei mercati, cresce il diffondersi di notizie economiche frutto di sole elaborazioni algoritmiche. E siccome le elaborazioni algoritmiche danno indicazioni puramente sulla scorta delle impostazioni ricevute in avvio (compito che viene svolto con fulminei calcoli automatici), il mercato gestito dagli algoritmi perde la sua natura di strumento correlato alla realtà economica del bene e si trasforma in strumento che impone al bene l’indirizzo deciso dal mezzo informatico. Dunque il mercato di tipo algoritmico attiva meccanismi estranei ai mercati naturali, perché sostituisce le valutazioni critiche degli umani con gli automatici criteri impositivi (deterministici di per sé) dell’algoritmo che pervade la gestione delle Borsa Valori in tutte le fasi.
Nell’uso degli algoritmi, rispetto al momento del mio articolo fin qui citato, è peraltro deflagrato un altro aspetto, cioè quello relativo ai derivati. I derivati sono contratti – di cui negli ultimi anni del ‘900 fu trovato il modo di calcolare il valore dagli economisti e matematici Marton e Scholes, che furono insigniti del premio Nobel – legati all’andamento di un’attività sottostante, o finanziaria (titoli azionari, tassi di interesse e di cambio, indici) o reale (i vari beni costituiti da materie prime di ogni genere). All’inizio, lo scopo dei derivati si limitava al ridurre il rischio d’impresa dovuto al variare dei prezzi futuri delle materie prime e dei cambi. Siccome però il derivato funziona anche nel senso inverso, può consentire anche di scommettere sul futuro. A tal fine basta che il contratto non preveda l’obbligo di consegnare la merce, ma di comprare, o no, determinati prodotti in futuro. Così vien meno ogni connessione tra il bene materiale e il derivato. Il contratto assicurativo iniziale (premio vs. rischio) diviene una mera scommessa speculativa. Ci sono certo svariati tecnicismi nell’applicazione del derivato (ad esempio la distinzione tra derivati simmetrici e asimmetrici oppure quella tra derivati negoziati su mercati regolamentati e quelli negoziati dalle parti contraenti oppure i derivati che operano su altri derivati), ma la sostanza dei derivati è questa.
Il perché della deflagrazione deriva anche dal nuovo tipo di ambiente economico in cui i derivati si sono trovati ad operare. Un ambiente dominato dalla finanza. L’indirizzo della finanziarizzazione, maturato da circa 35 anni in un mondo globalizzato, ha portato prima allo sviluppo dell’economia, ma poi a comportamenti largamente (e crescentemente) imprudenti. Già nel biennio 2007-2008, il prevalere di strumenti finanziari incontrollati fu determinante nella grave crisi dei mutui. Eppure, soprattutto il governo USA, salvò le istituzioni iniettando enorme liquidità ma continuò a spingere i derivati finanziari tramite legami amicali tra alti funzionari dello Stato e dei fondi privati.
Per di più, in quegli stessi anni proseguiva un’altra interpretazione distorta della globalizzazione, secondo cui, essendo ora agevolmente raggiungibile ogni angolo del mondo, l’imperativo del profitto non era più ottimizzare la produzione, quanto comprimere fino al momento dell’effettivo utilizzo le scorte di materie prime e di lavorati per produrre. Ciò ha accresciuto il peso della logistica in giro per la terra, e con esso il quadro ideale per irrobustire le possibilità di eventi favorevoli o contrari in termini economici, estranei al ciclo produttivo in sé. Nel complesso, dunque, la situazione economica è scivolata nel profondo verso la logica dello scommettere sulle aspettative piuttosto che rimanere legata, mediante i prezzi, ai dati reali di quanto prodotto.
Un primo riscontro c’è stato nei due decenni iniziali del 2000, quando i consumi di materie prime sono raddoppiati e i prezzi sono rimasti quasi fermi. Ciò soprattutto perché le scommesse finanziarie tramite i derivati sono state che i paesi emergenti (a cominciare dalla Cina) avrebbero prodotto a basso costo e tenuto bassi i prezzi. Poi il secondo riscontro a metà 2021. Rapidamente i prezzi dell’energia hanno raggiunto livelli senza precedenti, nonostante che l’offerta di petrolio fosse diminuita di gran lunga meno che nelle due crisi petrolifere degli anni ’70. Ciò è avvenuto soprattutto perché le scommesse finanziarie tramite i derivati sono state (vista la pandemia in corso) che il prezzo dell’energia sarebbe cresciuto in maniera impetuosa.
Ora, lo scivolare verso la logica dello scommettere rompe quella della connessione con il cittadino. Il che è grave. Lo è ovviamente per i liberali, ma anche per quelli che vorrebbero un mercato meno legato al remunerare il capitale. La finanziarizzazione, diversamente dal mercato, tende a prescindere dal produrre. E’ un’ingegneria del denaro che si automoltiplica. Propende al confondere ruoli imprenditoriali e bancari (comprese sia le banche istituzionali che non) nel quadro di un eccesso di liquidità a debito (agevolato dal mantenere molto basso il costo del denaro), e si affida ad una selva di fondi speculativi che è assai complesso conoscere davvero e valutare quanto ad affidabilità (tanto più per la provata inadeguatezza delle agenzie di rating operanti in monopolio). Insomma, la grande finanziarizzazione ha devastato il mercato facendo saltare il processo del formarsi dei prezzi nel rispetto dell’andamento della realtà produttiva.
Il dominio della scommessa (che si è protratto ancora e che dall’avvio primavera 2022 ha avuto un nuovo contributo dalla guerra in Ucraina e in seguito dalla prospettiva della sua ricostruzione) ha gonfiato i prezzi in generale (anche se in testa ci sono quelli dell’energia) e ciò ha avviato la decisa ed ampia crescita dell’inflazione, oltretutto insolita perché non dovuta all’offerta o alla domanda. E l’inflazione – che diminuisce il valore della moneta – ha indotto in tempi rapidi il ricorso alle usuali terapie atte a ridurla, fondate sulla progressiva ma decisa crescita dei tassi di sconto stabilita sia dalla FED che dalla BCE. Terapie che però incidono sull’apparato produttivo in modo restrittivo, con riflessi significativi nelle relazioni civili (tra l’altro rendendo arduo finanziare la spesa pubblica). Inoltre, va sottolineato che il dominio della scommessa funziona anche al ribasso, qui provocando, sempre a prescindere dalla realtà produttiva, il crollo dei prezzi e la recessione, pur essa restrittiva.
Insomma, la situazione creatasi finora corrode la libera convivenza. Urge curarla effettivamente alle radici. E’ evidente che, al di là di vari aspetti, il nodo principale è il dominio della scommessa finanziaria nei meccanismi della borsa, un dominio che viola i principi del mercato reale (oggi, meno del 3% dei contratti è su beni reali). Per sciogliere il nodo, la via più semplice e più rapida è ripristinare il criterio dei derivati quale strumento assicurativo. In sostanza, stabilire che possono usare la finanza derivata esclusivamente i produttori dei beni e chi li commercia. Aggiungendo che, anche le assicurazioni contro l’insolvenza di un titolo finanziario, quali il debito pubblico, possono essere stipulate solo dai detentori del titolo.
Per avere efficacia un simile provvedimento va assunto a livello di UE. E avrebbe un effetto positivo sotto più aspetti. Nel rimarcare i diversi interessi strutturali tra l’economia europea e quella americana (che della finanza derivata quale scommessa è stata la culla ed è il motore) e pure inglese. Nell’eliminare in modo decisivo l’uso dei derivati in chiave finanziaria, cosa che allontana la terapia della BCE di rialzare i tassi per adempiere al suo mandato. Nel ridurre in modo drastico il proliferare di occasioni per creare utili di fatto non imponibili. Nello spingere l’UE, ed è la questione essenziale, a riprendere il caratteristico impegno del valorizzare la centralità delle scelte dei propri cittadini. Il caso dell’appoggio persistente dato allo strumento dei derivati finanziari è il tipico autolesionismo della cultura occidentale. L’occidente dimentica spesso il metodo della libertà dei cittadini diversi che ha creato. Ritiene possibile al tempo stesso esaltarla nel celebrarne il nome quale idolo statico ed eterno, ed insieme contravvenirne l’ineludibile spirito di cambiamento connesso al conoscere le cose del mondo e delle relazioni umane, uno spirito che è perenne e sempre nuovo. Il metodo della libertà non è praticabile nel segno del mitizzare la sicurezza della tradizione e dell’evitare il rischio dell’innovazione. Viceversa, negli anni duemila, in occidente è dilagata nell’economia la finanziarizzazione al posto della produttività e nel mondo dei media la spettacolarizzazione al posto del narrare i fatti ai cittadini. In ambo i casi rimuovendo l’esercizio dello spirito critico di chi opera in economia o nei media. E quindi indebolendo la libertà civile. Che così non è più in grado di dispiegarsi per fronteggiare l’ampliarsi del club degli emergenti (quali Brasile, Russia, India, Cina, Sudafrica) sempre più antioccidentali e con una lunga fila di altri candidati a farne parte (tra cui Iran, Arabia Saudita, Algeria, Argentina).