E’ molto interessante il serrato dibattito che si sta svolgendo su La Nazione-Il Telegrafo circa i due interventi del Vescovo a proposito della politica livornese e le successive repliche molto accorate fatte distintamene da due personalità PD delle istituzioni (che si dichiarano cattoliche) e poi da un altro cattolico impegnato in politica. Interessante ma tenuto dagli intervenuti del tutto fuori del confronto su tematiche civili. Per il semplice motivo che il Vescovo ha tutto il diritto di dire quello che vuole (siccome in Italia esiste la libertà di culto e lui è un ministro della fede) ma per il suo stesso ruolo non ha altro titolo per intervenire quale soggetto attivo sulle decisioni in merito alle relazioni del convivere. Viceversa il Presidente del Consiglio Comunale, il Presidente del Gruppo PD nella medesima Assemblea e l’altro cattolico figlio d’arte, attribuiscono alle parole del Vescovo il valore di giudizio politico criticandole appunto nel merito politico.
Un comportamento simile costituisce una ferita grave ai rapporti democratici. Aggravata per di più da un’insistenza che pare perfino coordinata al fine di segnare un privilegio per i cattolici. Prima di tutto perché fuoriesce dal perimetro della Costituzione (art. 3 comma 1) e inoltre perché crea confusione tra il dibattito all’interno del mondo dei credenti cattolici e quello quotidiano fra tutti i cittadini, cattolici e non, impedendo di conseguenza la chiarezza del confronto sui temi concreti nelle relazioni di convivenza tra diversi. Oltretutto, si tratta di una ferita che produce effetti perversi anche sul terreno degli abituali schieramenti politici, in quanto fa trasparire la volontà di imporre le proprie idee tramite il conformismo pubblico, il che fa schierare all’opposto tutti coloro che al conformismo non sono favorevoli. Così criticare il Vescovo per le sue aperture all’on. Salvini (espresse fin dal 2018), è un’indebita miscellanea religioso politica che fa indignare anche i liberali, i quali della Lega sono avversari da decenni.
Nel complesso, quando è garantita la libertà di religione, del dibattito civile non deve far parte il personale credo religioso , pena il far regredire la convivenza ad un livello istituzionale assai arretrato. Il che, in un mondo alle prese sul come affrontare le tangibili sfide sempre nuove all’autonomia del cittadino, è un lusso che non. ci possiamo permettere.