Benedetto XVI è scomparso il 31 dicembre, ma la sua morte terrena non significa affatto la fine delle sue idee, come teologo ovvio ma ancor più come pastore della Chiesa. Di fatti, contrariamente alla vulgata dei mezzi di comunicazione – anche qui distanti dal compito informativo – Joseph Ratzinger non è stato principalmente un studioso di punta della dottrina cattolica. E’ stato un grande pastore. Al tempo stesso, coerente prosecutore del mandato a suo giudizio assegnato alla Chiesa quale unica rappresentante di Dio in terra, e insieme capace di leggere tale coerenza come obbligo di non celebrare l’ecclesia quale potere bensì di cercare come ricondurla alla dimensione di una fede rispettosa del Vangelo. La grandezza del suo Pontificato sta in tale ricerca. Il tentativo epocale di eliminare le incrostazioni dei privilegi istituzionali della curia ai vari livelli, alimentati dal non seguire in ogni momento la tradizione individuata dalle indicazioni evangeliche.
Qui non si ragiona sul fatto che, stando al realismo sperimentale laico, si tratta di una ricerca senza sbocco possibile. Per i fedeli cattolici lo sbocco possibile esiste. E sono loro ad essere stati richiamati da Benedetto XVI, con fermezza gentile ma implacabile, alla pratica della fede nelle sacre scritture. Un richiamo che implica una svolta drastica nei comportamenti ecclesiali. E che perciò pesa molto nel vasto mondo clericale, aduso al praticare i privilegi derivanti dalla rete di influenze, piuttosto che la fede evangelica.
Benedetto XVI, con ferma pacatezza, ha connesso le indicazioni dottrinali ai comportamenti derivanti. Dieci anni fa, scrissi su Non Credo che, con la sua rinuncia al pontificato, Benedetto XVI ha riconosciuto come la fede non prescinda dal mondo fisico, con ciò desacralizzando la Curia col riportarla nella storia. E , dopo, la successiva rapida elezione di Bergoglio, ha consentito alla Chiesa Universale di tarpare la Curia come epifania di potere. Hanno continuato il cammino gli atti di Francesco che incarnano il sogno di una Chiesa povera, che colloquia con il Sultano (come predicava il Santo di Assisi) e insieme è fermissima nella fede (come Papa Ratzinger).
Benedetto XVI ha ripreso il processo, iniziato col Concilio Vaticano II e proseguito da Francesco I, di compressione del temporalismo della Chiesa. Ha compreso lucidamente che la fede sostenuta da folle osannanti, come all’epoca di Giovanni Paolo II, soddisfa la cultura mediatica e il suo temporalismo ma confligge con il cuore della fede che punta a governare davvero il mondo. Non ha senso definire Benedetto XVI un conservatore. Perché egli lo è solo nella misura in cui lo sono tutti i principi della Chiesa rispetto alle libertà civili; mentre rispetto al proprio credo religioso, Benedetto XVI ha colto l’urgenza dello sganciare l’ecclesia dal cristalizzarsi nella Curia immobile nei propri riti e del portarla a riscoprire la luce della fede. Ciò rende Benedetto XVI un grande innovatore del credo cattolico. Che ha tracciato la via percorsa dopo da Francesco.
Lo scontro tra conservatori e seguaci di Bergoglio enfatizzato dai mezzi di comunicazione (e caducato dai due riferimenti) è un trucco spettacolare messo in scena da chi vuol gestire ovunque e comunque il potere della tradizione nonché nascondere qualsiasi sforzo di cambiamento nel recinto della fede. Che invece esiste, come ha mostrato Benedetto XVI , anche in una parte di credenti cattolici (nonostante per i laici la libertà umana si dispieghi attraverso il confliggere critico tra individui diversi e una chiara separazione Stato religioni).