Un intervento sul Tirreno, ”La fiducia non si può usare per convenienze di parte”, contiene una tesi pericolosa per la democrazia parlamentare. Cioè che il Governo non potrebbe chiedere la fiducia se non fosse convinto della propria capacità di affrontare la crisi. Sarebbe inammissibile chiederla ritenendo che la soluzione di nuove elezioni sia peggiore, dato che questa valutazione compete al Presidente della Repubblica. Questo argomento è distorto nel profondo. Nella struttura istituzionale, nella logica di tipo moralistico e nelle concrete conseguenze sulla politica.
Sono fuori discussione la sovranità del parlamento e il rispetto della fiducia che esso accorda, anche quando, come adesso, essa produca esiti assai discutibili. Lo premette l’intervento stesso. E non a caso il Presidente Napolitano ripete da due anni la sua ferma intenzione di prendere atto della maggioranza parlamentare. Stando così le cose, insinuare distinzioni attinenti la ragione di richiesta di fiducia, introduce una valutazione esterna al Parlamento (che ha già valutato) ed è quindi lesiva di quello che si vorrebbe difendere. Inoltre, vanifica la regola del maggioritario secondo cui sono gli elettori e solo loro a sanzionare deputati e coalizioni giudicandoli alle elezioni successive. Dunque la proposta corrode la struttura istituzionale.
Lo fa per un’idea di tipo moralistico. Nonostante la previsione costituzionale dell’assenza di vincolo di mandato e delle relative implicazioni, suppone esista un imperativo che impedisca al Governo di includere alcuni parametri nelle sue valutazioni per chiedere la fiducia. L’incredible argomento dell’articolo è che non potrebbe farlo perché una parte del Parlamento dipende (testuale) da lui. Così scrivendo, l’articolo ha abrogato sia la previsione costituzionale sia giudizio e sanzione degli elettori sui deputati e sulle coalizioni.
La tesi dell’intervento ha precise conseguenze sulla politica (che forse ne sono l’origine). Discutendo il voto, cerca di ridare credibilità alla illusione che nelle Camere vi sia una maggioranza differente secondo il volere del paese. A parte che senza elezioni nel sistema parlamentare non si può dire, dirlo serve all’opposizione per costituire una maggioranza senza avere prima un progetto alternativo. Noi liberali insistiamo su questo progetto minimo per il governo. Per noi sono quattro punti ( nuova legge elettorale, deciso taglio del debito accumulato – per risparmiare oltre 20 miliardi di interessi annui – norme per deregolamentare la Pubblica Amministrazione e per liberalizzare il mercato – ridurre livello e numero delle aliquote delle imposte sui redditi e diminuire l’IVA– legge sul fine vita che non sia impositiva). In ogni caso, qualcosa ci vuole per il governo.
Invece, la pericolosa tesi dice di fondarsi sulla frase di Napolitano “va sventato il rischio di un fuorviante condizionamento dei risultati elettorali”. Ma la distorce. La frase è ovvia. Richiama alla sostanza politica, che è fatta di progetti per governare e non solo per vincere le elezioni. Non bastano le coreografie.