Caro Direttore,
Anthony Giddens sostiene che il socialismo è morto ma la sinistra no, in termini tali da mettere seriamente a rischio anche la sopravvivenza della sinistra.
A detta del professore, il socialismo rivoluzionario non ha quasi lasciato traccia e il socialismo riformista pure, dato che la sua economia mista non è praticabile. Il professore precisa anche che per sopravvivere la sinistra non può definirsi sui vecchi motivi, come limitare i danni sociali dei mercati o contrapporsi alle riforme del welfare o sostenere libertà civili insensibili alla sicurezza o etichettare di destra chi cerca risposte al terrorismo. Però conclude di essere favorevole all’idea di un partito unificato della sinistra in Italia e di credere che la sinistra post-socialista possa e debba essere più ecumenica di quanto tendesse a esserlo la sinistra radicale. In questi termini, tuttavia, è impensabile che il nuovo soggetto possa distinguersi dalle vecchie errate abitudini. La logica dell’ecumenismo, nel profondo, è parente molto stretta del centralismo democratico.
Per individuare una soluzione più realistica, il professore dovrebbe trarre spunto da una propria osservazione , quella che per vari decenni dopo la seconda guerra mondiale, l’economia mista pareva in grado di funzionare “non grazie ai meriti del socialismo di per sé, bensì per quelli della teoria economica formulata da un liberale, John Maynard Keynes”. Sarebbe utile rendersi conto che il funzionamento dell’economia mista è stato claudicante perché della teoria economica è stata data una interpretazione inconciliabile con la logica profonda del suo autore liberale. Uno strumento pensato per mantenere vitali le condizioni di intraprendere e di essere cittadini dinamici in una data epoca, è stato trasformato in un grigio pilastro di uno statalismo burocratico senza tempo. Keynes, da liberale, teorizzava la spesa per finanziare disegni rigorosi, mentre l’interpretazione non liberale ha utilizzato la spesa per realizzare la mancanza di rigore.
Questa riflessione individua una soluzione più realistica per l’oggi. Che, sommariamente descritta, consiste nella rinuncia da parte della sinistra alla pretesa di non recidere i legami con il suo passato inglobando al tempo stesso la cultura liberale. La questione politica (ed elettorale) è instaurare legami non finti con i liberali come tali, invertendo la vecchia tendenza ad inglobarli o a spingerli a destra. La sinistra non deve essere più liberale o più ecumenica. Deve porsi nella condizione di essere pronta a rapportarsi anche con i liberali e la loro distinta mentalità.