Circa una polemica sul Manifesto di Ventotene

Piero Melograni , replicando alle osservazioni critiche di Massimo Teodori a proposito del suo precedente intervento sul Manifesto di Ventotene, conferma come meglio non potrebbe la propria ingenuità politica.

Perché è l’ingenuità politica di accettare le cose solo se  normativamente perfette e coincidenti con il dover essere, che porta a sostenere ancora, dopo oltre mezzo secolo di costruzione europea, che, siccome l’Europa aveva compiuto un disastro con la prima Guerra Mondiale giocando ai propri particolarismi invece di farsi carico della grande funzione che su tutto il globo sarebbe spettata alla propria civiltà, nel secondo dopoguerra sarebbe stato  bene dedicarsi non  ai progetti europeistici bensì a macerarsi sul disastro compiuto trenta anni prima.

Esattamente al contrario di quello che scrive Melograni, l’europeismo del Manifesto di Ventotene ( senza dimenticare quello di Luigi Einaudi e quello di Gaetano Martino, senza la cui opera lungimirante l’Europa non avrebbe visto la luce) non contraddisse le citate considerazioni di Paul Valery del 1931, anzi costituì un contributo importante al costruire una risposta politica concreta anche ai rilievi di Valery.  Si cominciò ad usare il criterio di delineare i principi che potevano far convergere in un’azione comune paesi differenti allora e che questa reciproca differenza avrebbero conservato nel tempo prevedibile. Non il piangersi addosso ma questa  chiave del perseguire grandi obiettivi un passo alla volta, è stata il grimaldello che ha consentito all’Europa di avere oggi un ruolo certo enormemente più rilevante (anche se non ancora abbastanza) di quanto essa aveva nel secondo dopo guerra.

 

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