Pacifismo e libertà (a Ernesto Galli della Loggia)

Caro Professore,

l’analisi del Suo editoriale di ieri ha senza dubbio uno spessore culturale e storico, che la rende un oggetto di riflessione dovuto, differenziandola in pieno dagli scritti di chi, come il direttore di Repubblica ieri, esprime la logica tipica del dipendente di una fabbrica (lavorare per il padrone e fargli propaganda) e non quella del giornalista (riferire fatti e esporre valutazioni). La mia riflessione, tuttavia, mi porta a non condividere la Sua analisi di merito sul tema della resistenza.

Essa è riferita ad una mentalità particolare la quale, nel negare agli ucraini l’opportunità di resistere, presenta i difetti da Lei messi in luce. Rivolte ad una simile mentalità le sue critiche sono fondate, solo che questa mentalità non esaurisce il novero delle prospettive per cui, nel caso della guerra in Ucraina, è fisiologico richiamare l’Occidente ad un atteggiamento rispettoso dei propri principi.

In effetti, le sue critiche si riferiscono ai pacifisti ed in genere a chi pensa di affrontare i conflitti interrelazionali di tutti i giorni nel mondo non riconoscendoli, cioè a persone le quali, all’insegna di un utopico irenismo, rifiutano la possibilità stessa che tali conflitti possano esistere. Per questi gruppi ha senso criticare l’oblio del carattere tragicamente drammatico che può avere la storia e quello delle scelte cui spesso sono chiamati popoli e governi.

Tuttavia esiste anche un altro gruppo di cittadini che respinge questa mentalità perché sostenitore del liberalismo. Il quale, dal ‘600, è riuscito un poco alla volta ad attirare l’attenzione sul dato di fatto – nel frattempo sperimentato con successo – che adottare il criterio di costruire istituzioni imperniate sulla libertà dei cittadini fornisce risultati molto più efficaci e coerenti nel convivere che non il limitarsi a rifiutare le guerre e a provocarle. Ciò accade appunto perché si è diffusa la mentalità da Lei disprezzata nella Sua analisi, quella ispirata ai diritti individuali , uso le parole sue, visti come sostanza di un’etica pacificatrice. Il liberalismo , all’opposto di quanto Lei sostiene, ritiene la dimensione del conflitto quella fisiologica della vita e l’affronta utilizzando la libertà nelle relazioni tra i cittadini con gli scambi che ne derivano (che costituiscono la reale forza viva della libertà) . Quindi per il liberalismo il conflitto secondo le regole non è affatto un’entità dal tratto primitivo da esorcizzare.

Per tale motivo i liberali mantengono il tradizionale giudizio sulla Russia e su Putin (istituzioni chiuse e personalità formata sulle concezioni del KGB e del FSB). Al tempo stesso, non possono che criticare, sia il modo in cui l’Ucraina ha gestito fin dal 2015 i rapporti con la Russia non adempiendo al trattato di Minsk2 sul punto dell’autonomia rafforzata al Donbass, con cui hanno fornito lo spunto all’aggressione (ed anche l’atteggiamento irresponsabile di Zelensky che si crede a teatro) sia la scelta insistita (che Biden ha dovuto fare come compromesso con i fautori della terza guerra mondiale, in ultimo le reiterate dichiarazioni della vice premier Vereshsuk) delle sanzioni economiche che avranno riflessi pesantemente negativi per le effettive condizioni di libertà dei cittadini nel mondo.

Appunto perché nel passato “la nostra libertà è stata pagata anche dal sangue di migliaia di bambini tedeschi massacrati dai bombardieri alleati”, il liberalismo sceglie di evitare un nuovo ricorso alla guerra. E siccome il liberalismo è l’essenza dell’Occidente, ricorda a tutto l’Occidente che, per raggiungere tale obiettivo, non si possono creare condizioni che facilitino l’esito opposto. Perciò va bene aiutare gli ucraini con medicine ed alimenti (perché è un’azione salva cittadini), non va bene fornire all’Ucraina armi che sono un obiettivo aiuto al mantenere un focolaio di lotta che spinge alla terza guerra mondiale .

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