Un dibattito sguaiato

Durante la scorsa settimana, è emersa – con il discorso della Presidente del Senato, ma anche con scritti di giornalisti e di costituzionalisti delle più grosse testate – una tesi formulata in termini pacati ma foriera di una distorsione istituzionale preoccupante. La tesi è che il comportamento del Presidente del Consiglio nel periodo Covid19, con l’ uso di suoi Decreti, potrebbe mettere in discussione principi costituzionali, tanto più se li emana senza preventiva e dovuta consultazione con un voto del Parlamento (testuale). E’ una tesi priva di fondamento da non prendere sottogamba. Perché insinuando che il Presidente del Consiglio non rispetta l’assetto istituzionale, è potenzialmente disgregatrice, specie nel suo effetto sull’opinione pubblica.

I Decreti del Presidente del Consiglio usati da Conte non sono un suo arbitrio. Sono previsti dalla norma sull’emergenza Covid19, regolarmente votata dalle Camere nel tardo inverno 2020. E’ un fatto certo, omesso dalla Presidente del Senato (e dagli altri). Dunque, il vero punto della discussione è l’opportunità che le Camere diano certi poteri al Presidente del Consiglio. Nella fattispecie la facoltà di assumere decisioni amministrative in determinate materie (come il Covid19). Da rilevare che, da marzo ad oggi, il Presidente Conte si è presentato alle Camere in molte occasioni. Il rilievo mossogli è che la restrizione delle usuali pratiche di relazione interindividuale, costituisce una limitazione alle libertà costituzionalmente garantite (per cui oltre l’amministrativo).

Di nuovo una conclusione infondata. Perché non è Conte a limitare le piene libertà individuali, è il Covid19 che lo fa. Questa considerazione tanto ovvia, è rifiutata nel profondo da chi vorrebbe fossero le norme a determinare le vicende della vita e non accetta che la vita influenzi l’uso delle leggi per convivere liberi tra diversi. Eppure dopo cinque mesi, dovrebbe essere acquisito che l’unica prevenzione trovata ad oggi per il Covid19 è impedire il contatto con le sue goccioline, e dunque mascherine e distanziamento individuale. Nonostante ciò, la Presidente del Senato e gli altri continuano a sostenere la concezione rigida delle istituzioni calate sul cittadino e si comportano come se non capissero che la realtà della vita può imporre condizioni impreviste da affrontare. Un costituzionalista sostiene perfino che i DPCM non sono ammnistrativi in quanto toccano tutti (esempio di quadro legislativo anteposto alla realtà). E’ fantasioso (e dannoso), prima eccepire che Conte viola il suo ruolo amministrativo (la pandemia richiede al Governo un coordinamento delle misure cliniche scelte dal mondo sanitario, non dall’impianto istituzionale teorico) e poi evocare il pericolo di corrodere la logica rappresentativa, mentre sono le aule ad assumere le decisioni cornice e ad esercitare il controllo.

In più va ribadito che la democrazia rappresentativa, imperniata sui cittadini, utilizza lo strumento Parlamento ma non coincide con esso. Si articola in molti meccanismi interdipendenti secondo funzioni diversificate e abbastanza trasparenti da render conto di quanto fatto, ai parlamentari e loro tramite ai cittadini (salvo le norme di durata limitata sul segreto, che sono costituzionali).

Peraltro, la Presidente del Senato non si è fermata alla questione DPCM ma ha detto pure che sul decreto rilancio il Senato non ha toccato palla e che invece è titolare degli indirizzi politici. E visto che il Senato lo ha approvato con il 57% dei votanti (poi, sullo scostamento di Bilancio, di nuovo il 55% dei membri) , queste parole equivalgono ad una rivendicazione corporativa della Presidente, a prescindere da quanto decidono i senatori (non c’entra la questione della fiducia, perché è assurdo teorizzare che il rappresentante non sia responsabile dei propri comportamenti). In sostanza, sarebbe bene che il confronto politico evitasse di adottare il metodo delle grida strumentali tipico delle agitazioni di piazza.

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