Gli ambienti liberali livornesi apprezzano che il Tirreno abbia dato rilievo ad una serie di articoli sul tema – ormai prorompente – della mancanza, nella vita pubblica di Livorno, di una riflessione approfondita sul perché non esista più la mitica città rossa di una volta e il futuro sia incerto. Peraltro, gli ambienti liberali ritengono che finora la riflessione non sia davvero arrivata a toccare il senso di questo cambio di epoca. Resta invischiata in vario modo in analisi e in quesiti tipici della logica della città rossa, a cominciare dal ridurre tutto al cercare di definire l’identità livornese. Oltretutto cercando risposte nei comportamenti di vari singoli protagonisti pubblici degli ultimi tre quarti di secolo (spesso facendo salti avanti e indietro nei decenni) e neppure sforzandosi di approfondire quanto emerge dall’osservazione pluridecennale degli avvenimenti che nello stesso periodo hanno condotto all’eclisse della città rossa.
La natura dell’eclisse – Nel considerare scontata tale eclisse, gli ambienti liberali non esprimono alcun pregiudizio anticomunista, nonostante la loro cultura appartenga ad un’area che non è mai stata comunista, seppur includendo un periodo nell’ultima legislatura Lamberti in cui è stata alleata del PCI a livello circoscrizionale nell’amministrare Livorno. Avallare tale eclisse è solo il portato dell’osservazione sperimentale di quanto è avvenuto in città nell’ultimo sessantennio, un passo alla volta ma senza interruzione. Livorno è precipitata nella quasi totalità delle classifiche in campo socio economico e di qualità della vita, subendo anche un calo demografico. Ciò non per un destino cinico e baro. Bensì per il frutto di due precise attitudini. L’una è l’adottare politiche che hanno costantemente anteposto l’ideologia ai bisogni e agli indirizzi dei cittadini nella loro diversità, l’altra è il rifiutare continuo e persistente di valutare ogni volta il risultato delle politiche adottate in modo da potersi correggere e mutare indirizzo. Simili attitudini immutabili hanno espresso la difesa ossessiva del potere esercitato dal partito dominante (PCI ed eredi) e dalle sue tentacolari connivenze, che hanno seppellito Livorno sotto una coltre di conformismo civile sempre più spessa e sempre meno reattiva. Accumulatasi nei decenni, specie dagli anni ’90 in poi.
Settori trascurati – L’utilizzo crescentemente ideologico delle tematiche del lavoro operaio non ha svolto un’azione propulsiva e protettiva in settori cardine. Quale il cantiere navale, crollato per mancanza di prospettive congiunte ad una sterile autoreferenzialità. Quale la cura superficiale della portualità, disattenta al ruolo internazionale in termini di traffici e di aggiornamenti tecnologici ed invece esauritasi in beghe di pollaio sulle banchine (fino a determinare carenze ben note, tipo i bassi fondali e gli ostacoli delle canalizzazioni elettriche). Quale gli scontri di retroguardia sui privilegi della Compagnia Portuali che hanno provocato gravi ritardi senza fermarne il netto declino. Quale le farraginose vicende delle Darsene, in particolare quella Europa, concepita senza porsi davvero il tema del suo effettivo utilizzo commerciale nell’ambito del commercio mondiale e dell’organizzazione aperta dello scalo che essa richiederà. Quale le sottovalutazioni e i ritardi nel potenziare i collegamenti ferroviari e viari complessivi dei traffici portuali con l’entroterra e perfino la dissennata rinuncia urbana al collegamento metropolitano esistente in sede propria con Pisa via Tirrenia. Quale l’incapacità di mantenere vitale il tessuto delle industrie, che ha finito per sfilacciarsi a ritmi serrati, inducendo una capacità produttiva assai ridotta e bassi livelli occupazionali. Quale la completa dimenticanza del settore del turismo (nonostante che la condizione assai favorevole dell’ubicazione e del clima cittadini indichi una propensione fisiologica) perché ritenuto un settore legato al modo di vivere capitalista e alla mutevolezza individuale, fattori in contrasto con i valori inclini al conformismo comunitario del lavoro operaio organizzato in precisi luoghi ad esso dedicati e controllabili (un pregiudizio gravissimo nella sua sterilità, iniziato cinquanta anni or sono quando le strutture sindacali e del partitone fecero colare a picco l’iniziativa del Marina realizzata assai tempestivamente da Comune e Provincia coinvolgendo anche gli imprenditori privati, quando iniziative consimili erano ancora quasi inesistenti sulle coste europee del mediterraneo).
L’illusione del sistema eterno – Nel complesso un sistema impermeabile al verificare la gestione del potere in base ai risultati ottenuti, per la ragione che il fine di quella mentalità non era il far funzionare meglio la società ma agevolare il blocco sociale prevalente e la celebrazione dei riti e delle parole d’ordine di quel potere ideologico, nell’illusione che sarebbero perdurati a prescindere dalle condizioni locali e internazionali mutevoli nel tempo.
La città è restata avvolta in una monocultura ideologizzante, chiusa ai rapporti sperimentali delle relazioni tra i cittadini, all’interno della città e ancor più con i territori limitrofi. Una simile cultura non poteva che provocare l’eclisse della città rossa. Ed è singolare – o meglio, preoccupante – che la riflessione a più voci che il Tirreno ha pubblicato, non giunga a rilevarlo. Persistendo su questa linea, la riflessione avrebbe solo la natura di un ricordo nostalgico per far risuscitare qualcosa che non c’è più e che non può più tornare. Del resto, tale assenza è uno stato di cose di cui erano percepibili avvisaglie almeno fin dai primi anni duemila e che si è palesato a livello istituzionale alle amministrative del 2014.
La svolta del 2014 – Allora, l’elezione del Sindaco del M5S ruppe all’improvviso il settantennio del dominio del partito della sinistra, manifestando il rifiuto dei cittadini , serpeggiante già prima, dell’esser amministrati da un gruppo politico accecato dalla propria autoreferenzialità e incapace (perfino non interessato) a sciogliere i nodi della convivenza civile e tanto meno a risolvere quelli della vita individuale dei cittadini.
Ovviamente quella rottura rese disperati i fedeli del potere immobilista (subito trasformatisi in fautori del restaurare) ma non servì al M5S per svolgere un programma amministrativo concreto di cui non disponeva, a parte la volontà di mutare registro. La nuova Giunta riuscì ad essere concreta solo nell’adottare indirizzi maturati in precedenti battaglie dei cittadini (tipo il no all’ospedale a Montenero oppure la revisione dell’intervento urbanistico su Piazza del Luogo Pio) ma restò presto intrappolata nella palude di funzionari e dipendenti municipali, l’effettiva spina dorsale del potere comunale lontano dai cittadini e vicino per convenienza all’ideologia dominante.
La Giunta M5S si trovò presto con le unghie spuntate, divenne il facile obiettivo di continue polemiche sindacali a carattere strumentale e fu indebolita da rotture nel gruppo consiliare. In pratica, le sole iniziative autonome riuscite alla Giunta, sono state due. La pur contestatissima vicenda del concordato preventivo AAMPS, che, andando in porto, salvò l’azienda sottraendola alle grinfie dei soliti privilegi amicali; e la questione delle modifiche statutarie imperniate sull’ampliamento referendario, che ebbero l’unanimità del Consiglio Comunale a fine legislatura ma che restarono contrastate dall’alta dirigenza dei funzionari contraria ad allargare il potere di intervento dei cittadini. Nel complesso, il M5S non fu affatto in grado di indicare ai livornesi una credibile prospettiva di governo per ottenere la conferma.
La restaurazione del 2019 – Alle elezioni 2019 è ritornato un Sindaco del PD ma non una nuova linea aperta ed univoca di gestire Livorno. Alcuni (come larga parte della macchina comunale e del partito) intendevano il ritorno come semplice restaurazione dell’epoca precedente, non scalfita dalla parentesi grillina, considerata incidente irrilevante. Altri (come il nuovo Sindaco, alcuni dello staff e della Giunta) equiparavano la continuità amministrativa con il mostrare facce rassicuranti ai livornesi. Quella ubbidiente alle indicazioni fiorentine della Regione per soddisfare loro interessi (almeno tre i casi, annullare l’area verde del Parco Pertini per rinnovare l’Ospedale senza rispetto urbanistico della zona, restare al vecchio inceneritore di 50 anni fa sacrificando l’impegno a ridurre drasticamente i fumi dei rifiuti, mettere in piedi un contenitore espositivo nei capannoni ex-filoviari avulso dalla vocazione culturale della città), una faccia ubbidiente adottata senza mai coinvolgere i cittadini mediante strumenti di partecipazione previsti dallo Statuto . E poi l’inventarsi l’onnipresente faccia di Livorno festaiola con una sequela di eventi celebrativi d’ogni genere diretti a imporre una distrazione di massa. Il tutto accompagnato, per completezza, dalla martellante insistenza di continui attacchi alla Giunta del M5S incolpandola di ogni cosa che non va (come l’aver deciso e materialmente avviata la nuova pavimentazione di Via Grande, subito bloccata dall’attuale Giunta e a distanza di quattro anni ancora ferma).
Insomma, la maggioranza in Municipio persiste nell’annunciare di continuo l’esecuzione a breve di ogni intervento previsto, senza che ciò avvenga. Non c’è bisogno di ricordare che i ragionamenti pubblicati sul Tirreno – seppure non incisivi a nostro avviso – non trovano riscontro nel dibattito politico culturale. Che invece è sempre più urgente e senza dubbio dovrebbe pure essere finanziato da parte delle Istituzioni per agevolare gli studiosi. Ma sarebbe un grave errore finanziare un’associazione che fa parte del nucleo dei nostalgici della città rossa, pronto a celebrarla senza mai esercitare lo spirito critico. Al punto da aver perfino avuto in programma una celebrazione della scissione del 1921 al Goldoni , tesa ad esaltare il centenario del comunismo a prescindere dal suo fallimento storico sperimentato. Con un simile dna non si può essere cultori della società aperta tra cittadini liberi e responsabili.
Cosa fare – Gli ambienti liberali livornesi ritengono che, per riprendersi dall’eclissi, Livorno debba prima possibile riscoprire il senso della propria origine di città delle diverse nazioni, capaci di confrontarsi e di collaborare senza cadere in trappole contraddittorie di unità che per natura si contrappongono al ritmo del cambiamento. Il dibattito sulla memoria deve imperniarsi sulla questione centrale del rendere possibile applicare la libertà del cittadino nella convivenza civile. Di conseguenza, riflettere sulla città rossa non più esistente significa osservare gli avvenimenti senza nostalgia, per cogliere i rapporti tra l’ambiente ed i cittadini nonché le relazioni dei cittadini tra di loro. Non per trovare un’eternità ideologica che resta fuori della vita, ma per cogliere il ritmo del cambiamento in cui si manifesta l’esercizio della libertà attraverso le iniziative individuali, da valutare in base ai rispettivi risultati indotti.
Livorno deve approfondire la propria vocazione. E mantenere la consapevolezza che potrà avere un futuro solo riconoscendo come la convivenza ruoti attorno a quattro fattori che non lo determinano ma lo rendono possibile. Scegliere in ogni momento regole adatte al realizzarsi della libertà nelle relazioni tra i singoli cittadini; accettare che ogni cittadino è individualmente diverso; garantire che ogni cittadino individuo abbia uguali diritti legali e possa esercitarli; verificare al passar del tempo che le istituzioni costruite realizzino la miglior convivenza possibile, consentendo a ciascuno di disporre delle risorse necessarie per cibarsi e per vivere. Il declino di Livorno deriva dal non essersi impegnati su questi quattro fattori, sostituendo l’ideologia irrealistica e la speranza di un libro eterno al fisiologico conflitto tra i conviventi, il solo che costruisce migliori condizioni di vita in tutti i settori.
Il voto del 2024 – Riscoprire tali quattro fattori, significa dare il massimo spazio istituzionale alle scelte dei cittadini e mai dare alla maggioranza un privilegio che soffochi i diritti delle minoranze. Pertanto, in vista del voto amministrativo della primavera 2024, va messa a punto una proposta programmatica imperniata su ciò. E siccome risulta chiaro come non esista una maggioranza precostituita né una formazione fortemente prevalente, è indispensabile iniziare dall’aggregare una coalizione tra forze diverse ma potenzialmente convergenti sul creare le condizioni per costruire quello spazio.
Tali condizioni minime sono evidenti. Quanto al candidato Sindaco, va scelto in modo da rappresentare un punto di equilibrio raggiunto su un cittadino di qualità indiscussa (non si possono usare le mitiche primarie causa l’ampiezza della coalizione), che si impegna ad applicare il programma della coalizione. Inoltre almeno sei punti programmatici. Uno, immediata revisione delle azioni in atto – iniziando dallo stravolgimento del Parco Pertini e dal mantenimento dell’inceneritore comprese le procedure di smaltimento dei rifiuti urbani – facendo decidere ai cittadini, prima di procedere , mediante l’uso dei referendum statutari. Due, pronta abrogazione dallo Statuto dei Consigli di zona privi di potere amministrativo reale, che così sono soltanto un inganno dei cittadini cui vien fatto credere di contare, mentre fanno da spettatori passivi delle decisioni dei gestori del potere. Tre un deciso impegno nel campo turistico valorizzandone lo spirito di innovazione. Quattro battersi per ribaltare la legge nazionale che tiene Livorno separata dal Porto. Cinque un’equa suddivisione degli assessorati in base alle competenze e al peso rappresentativo elettorale. Sei adottare su vasta scala la linea di promuovere il pensionamento anticipato tra i funzionari e i dipendenti così da smantellare le nostalgie per gli antichi rapporti di potere ed anche riscoprire il valore della competenza. Tali sei punti servono ad indurre le condizioni per il cambiamento amministrativo nella convivenza labronica.
Gli ambienti liberali auspicano – ritenendo teoricamente un’amministrazione d’impostazione conservatrice meno adatta ad invertire il declino – che la coalizione programmatica ora delineata arrivi a comprendere il PD , la sinistra d’opposizione, il M5S, i gruppi centristi e quelli laici. Senza predestinati e con il metro delle proposte. Peraltro, siccome per realizzarla occorre un’azione decisa e realistica in tempi stretti, così da superare rigidità e pregiudizi radicati, gli ambienti liberali ricordano che, nel caso non si arrivasse a tale coalizione, è normale prevedere che finisca per avere maggior peso la speranza di tornare a ribaltare l’esito del 2019, dando questa volta la vittoria al destra centro (che oggi gode anche di un clima nazionale favorevole) o da solo o alleato con nuove formazioni civiche (anch’esse fautrici del rinnovamento amministrativo). In tal caso, i nostalgici della città rossa che non c’è più, non dovrebbero inveire contro il fato. Chi è causa del suo mal pianga sé stesso.