Caro Ricolfi,
La leggo costantemente da un trentennio, da quando faceste sorgere la Fondazione Hume insieme al mio caro amico Piero Ostellino. E in generale La apprezzo per il Suo modo di ragionare legato ai fatti concreti e per le Sue valutazioni realistiche. Non giudico invece realistica la valutazione svolta stamani nel Suo articolo sulle ragioni della diminuzione dei votanti.
Tale diminuzione non è un prodotto della rinuncia alla fatica della lotta politica da Lei richiamata. Consegue ad una maturazione civile che ha rivisto l’originaria lettura dell’impostazione costituzionale del voto quale dovere civile – e non solo come diritto – avanzando nella direzione della società brulicante di cittadini individui e di nodi a soluzione multipla cangianti nel tempo (in pratica applicando la sentenza della Corte Costituzionale 173/2005 da Lei richiamata). Si tratta di una direzione che non configge con l’idea che il progresso sociale ed individuale ha costi elevati, ma che esprime la convinzione secondo cui “la lotta politica e sindacale, la mobilitazione dei movimenti collettivi” non esauriscono il meccanismo della partecipazione in quanto funzionano ormai in chiave elitaria, distaccata di proposito dai cittadini, specie nell’accezione individuale.
In un quadro del genere, la partecipazione diviene incapace per natura (perché soggetta all’autorità di chi governa e non per mancare della capacità di scaldare i cuori) di essere protagonista nel fare le scelte nella convivenza. Dunque, il non voto è il rifiuto di un modo di governare elitario, che non può essere attratto dai partiti che ripropongono la solita minestra dell’affidatevi a noi saggi depositari del vostro bene comune.
E per questo medesimo motivo, non è un correttivo il rimpiangere i movimenti collettivi che a Suo avviso erano protagonisti del cambiamento prima in essere. Perché tutto ciò che è collettivo è al fondo elitario, dipendendo in sostanza (necessariamente) da una qualche autorità. Quello che pesa è l’ampliarsi dello spirito critico individuale, che propone soluzioni operative ai problemi nell’ottica della libertà (vedi gli anni delle maggioranze parlamentari sul divorzio e sull’interruzione volontaria di gravidanza, non rievocabili con lo slogan irrealistico dei gloriosi anni del referendum) da giudicare sulla scorta dei risultati ottenuti e non dei diritti sbandierati. Qui nascono le radici delle istituzioni non dominate dalle elites, che poi agevolano il concreto cambiamento nel tempo.
Aggiungo che in un clima simile, il prevalere della destra consegue il suo dare l’impressione di essere meno impositiva ed elitaria nell’ottica dell’immediato. A mio parere è un’impressione errata , ma prevarrà fintanto che la destra non avrà un’opposizione in grado di lavorare politicamente in modo coerente.