Il nono capitolo e i due articoli di stamani (a Gianmarco Brenelli)

Caro Gianmarco,

la gentile telefonata che mi hai fatto ieri, trova oggi un bagno di attualità politica. Nel senso che tu hai lodato il mio libro “Un’esperienza istruttiva” soprattutto per il giudizio su Malagodi (te ne ringrazio) avanzando riserve sul nono capitolo (che invece a parer mio è il fulcro del libro e di una politica liberale coerente e incisiva al giorno d’oggi), e che i due primi editoriali del Corriere di stamani, di Polito e di Mingardi, portano alla ribalta concettuale le questioni trattate nel nono capitolo. Secondo me in maniera talmente clamorosa, che non mi posso trattenere dall’inviarti questa mia per sottolineare i passaggi davvero istruttivi (se ci si affida ai fatti e all’uso del senso critico).

Polito si mostra colpito dalla scoperta che la guerra all’Ucraina sta assumendo i caratteri di uno scontro tra civiltà: tra la società intesa come “un meccanismo, qualcosa da far funzionare razionalmente e al meglio possibile, per garantire la libertà degli individui di condurre la vita che credono” e un’idea della nazione come “organismo vivente, in cui l’unità spirituale di un popolo è qualcosa che ne permea tutte le manifestazioni, anche le più alte, e dunque anche la vita degli individui”.

Pertanto, Polito ritiene che “frange non piccole delle società occidentali si dichiarano stanche di sentirsi ingranaggi nel meccanismo della modernità, per quanto razionale e liberale possa essere, e hanno nostalgia di un mondo fondato sulla comunità, su una nazione fatta di sangue e suolo. Si tratta di due filoni di pensiero, l’uno erede dell’Illuminismo l’altro del Romanticismo, entrambi presenti nella cultura europea”. Di conseguenza Polito non è sorpreso che “Putin voglia riprendere la marcia interrotta dal disfacimento russo” ma dal fatto che “ripeta uno schema con ambizioni maggiori della potenza di cui dispone”. Putin sta perdendo “la battaglia dell’immagine e della reputazione, perché non c’è più l’ideale mondiale del comunismo, perché il capo nemico è il leader più televisivo che guerra abbia mai visto”. Perciò Putin “non potrà mai vincere la sua sfida, non riuscirà mai a convincere gli ucraini che sono russi”.

La conclusione di Polito è che “a noi occidentali spetta il compito di aiutare la democrazia di Kiev a resistere, ma anche di resistere per parte nostra alla tentazione dello scontro di civiltà. Dobbiamo fermare l’espansionismo della Russia di sempre, per poter convivere in pace un giorno nella casa comune del continente europeo”.

Un ragionamento del genere ha una contraddizione politica profonda. Perché se si assume che l’Occidente non debba farsi tentare dallo scontro di civiltà (assunzione da fare, siccome l’essenza dell’Occidente è il liberalismo, che mediante la libertà opera dal ‘600 per affrontare la convivenza tra cittadini diversi), allora non è consentito fingere di non accorgersi – in specie dagli alti gradi della Nato e di parte del Pentagono – di quanto è davvero avvenuto dal 2014 in poi. Prima i fautori dell’indipendenza ucraina sono stati parecchio sollecitati dall’occidente e poi l’Ucraina, dopo aver firmato il Minsk2 con Russia, Germania e Francia nel febbraio 2015, non ha fino ad oggi più adempiuto a quanto stabilito, vale a dire introdurre nella Costituzione ucraina il riconoscimento dell’autonomia rafforzata al Donbass , che è sempre stato un punto decisivo per la Russia.

Tale inadempimento ha dato a Putin la motivazione per l’invasione (inibendo il richiamo al rispetto degli stati sovrani). E gli aiuti dell’Occidente all’Ucraina (che confondono gli aspetti della solidarietà umana con le pratiche finalità militari) hanno espanso ulteriormente il carattere della guerra trasformandola in scontro di civiltà. Non diamo a Putin la colpa di incarnare la Russia di sempre. Mentre con il comportamento della Nato negli ultimi anni – perché le truppe USA in Europa sono divenute sempre meno, ma la presenza e le esercitazioni militari della Nato sono aumentate parecchio, ad esempio tre grandi esercitazioni solo nel 2021 in Ucraina – l’Occidente ha effettivamente incrementato l’arrivo allo scontro di civiltà. Di più ha spinto alla guerra fredda con le sanzioni economiche imposte da Biden quale unico compromesso con i suoi ambienti interni (sanzioni da lui definite l’alternativa alla terza guerra mondiale). Una simile colossale contraddizione nella sua tesi, Polito non la rileva ma non importa. Emerge di per sé. Il comportamento dell’Occidente si fonda sull’incrementare lo scontro di civiltà (l’opposto del liberalismo).

E qui si arriva all’articolo di Mingardi. E’ tutto centrato, realisticamente, sul ripercorrere i motivi per cui “la globalizzazione non è mai stata un destino ma non è nemmeno destino che essa venga sepolta nel giro di pochi mesi. In quest’ultimo caso, saremmo nei guai “. E giustamente osserva che essere esclusi dalla globalizzazione “è costoso e su questo costo si fa leva per colpire i russi. Ovviamente, le sanzioni impediscono gli scambi, ma se uno scambio non ha luogo, non ci perde soltanto il venditore”. E dopo altre considerazioni di principio sulle tecniche economiche osserva che “la nostra è un’economia a divisione del lavoro complessa…….. la differenza fra fenomeni semplici e complessi è questa: nei primi, da una data posizione di partenza, è possibile prevedere i risultati che si genereranno andando a incidere su una sola variabile; nei sistemi complessi, gli elementi che compongono un insieme più grande non interagiscono in modo lineare e il numero di elementi e la natura delle loro interazioni può essere troppo vasta per consentire previsioni affidabili”. Esatto .

Poco dopo Mingardi annota che “Non è il momento di rassegnarsi alla stagnazione….. Chiusura economica e sfiducia nel futuro si rafforzano a vicenda….. Proprio ora dobbiamo liberare la nostra economia dai troppi vincoli, per consentire che emergano soluzioni innovative, di cui abbiamo più bisogno alla luce dei contraccolpi della guerra”. Per concludere che “le spese militari — e quelle sanitarie — sono destinate ad aumentare. E’ proprio oggi che servono più che mai quelle politiche di liberalizzazione che alcuni vorrebbero seppellire”.

Insomma, Mingardi, come fanno sempre i liberisti, ragiona in termini avulsi dalla concretezza politica della libertà nelle relazioni tra i cittadini (è per questo che i liberisti non sono liberali). E quindi enuncia teorie economiche a prescindere dalla realtà di una condizione internazionale che oggi si va dividendo in aree chiuse, divisione innescata dal comportamento non necessario (appunto perché la Russia è quella di sempre) dell’Occidente che si è drogato nella illusione di identificarsi con il mondo intero e che dissennato, nel sogno di un dominio assoluto non corrispondente alla realtà dei rapporti internazionali, rinuncia alla globalizzazione, vale a dire taglia proprio quegli scambi che costituiscono il veicolo principale della libertà e del benessere.

Da liberali non possiamo farci commuovere dalla pulsione di larga parte degli ucraini per irrobustire la propria autonomia istituzionale dalla Russia. Perché i liberali perseguono la libertà ma non la impongono. E gli ucraini hanno dimostrato dal 2015 di non preoccuparsi del rafforzare la propria libertà , rispettando i patti sottoscritti, e tentano piuttosto di coinvolgere l’Occidente in un confronto armato. A Otto e mezzo di lunedì 14 marzo, la vice premier ucraina Vereshschuk l’ha teorizzato con chiarezza e con insistenza. Eppure l’occidente continua a tenere comportamenti adatti al promuovere uno spettacolo ma non a svolgere una politica assennata basata sulla realtà degli interessi in gioco nel determinare il realizzarsi delle relazioni civili del mondo.

Ti pare assennato trasformare i giusti aiuti agli ucraini (che rientrano nei gesti umanitari) in aiuti con materiali militari, i quali scavano solchi sempre più profondi nei rapporti con la Russia, favoriscono il protrarsi del conflitto e con ciò la riduzione degli scambi? Ti pare assennato agevolare l’attitudine scenica di Zelensky alle apparizioni da remoto, in cui sostiene di continuo la tesi della guerra santa e perfino accusa l’Occidente di non fare abbastanza?

Sta qui il nodo del nono capitolo del mio libro in termini politici. Il liberalismo è davvero indispensabile nell’Italia di oggi, perché persegue la libertà – che è determinante ­nel rapporto tra i diversi cittadini e quindi nella convivenza effettiva – senza contrasto con la sua natura aperta e rispettosa dei fatti. Cosa impossibile , o quasi, se non esiste una formazione delle libertà. Altrimenti, il liberalismo si ridurrebbe ad essere un aggettivo di un’altra concezione politica e verrebbe fatto rientrare nella vecchia logica dei partiti più o meno di potere. Una logica che, oltre a non essere alla sua portata, contraddice la sua fisiologia politico culturale.

Cari saluti

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