Scritto per la rivista LIBRO APERTO
Ricordare Giulio Giorello ad un anno dalla scomparsa (15 giugno 2020) è fisiologico per una rivista liberale. Di sicuro per quello che è stato, ma anche per quello che non è stato.
Per richiamare il modo di essere di Giulio Giorello, bisogna partire dal come iniziò. Nei tardi anni del miracolo economico, Giorello fu l’emblema del cittadino che, riflettendo sui fatti, è capace di liberarsi dalle suggestioni imperanti, specie tra gli intellettuali, in tema di conformismo alle mode prevalenti: quelle dell’imprigionare l’individuo, con utopie dissimulate, in percorsi mentali di rifiuto dei fatti concreti, imbrigliandone così la spinta al conoscere il mondo.
Lo dimostra il percorso accademico di Giorello che è iniziato distante dal terreno delle libertà. Il suo maestro era Geymonat. Un pensatore e matematico marxista, partigiano, partito dal neo positivismo, appassionato di scienza, impegnato nell’introdurla nella cultura universitaria e non, quale segno di un importante impegno politico. Giorello, avendo un rapporto stretto con Geymonat, prese le mosse dall’occuparsi di materialismo dialettico. Da lì si rese conto che il motore del mondo e delle relazioni umane, non era il marxismo: era la libertà di ogni individuo congiunta alla diversità di ciascuno. Una concezione distante dalla cultura italiana dominante di allora (e del resto ancora oggi, se al posto del marxismo si mette il volere una società statica).
Non a caso Giorello amava l’aforisma di Popper, “se non vi fosse una Torre di Babele, bisognerebbe inventarla”. Tanto più che, nella Bibbia, la Torre di Babele è una punizione per chi vuole innalzarsi al cielo: quella di farlo cadere nella confusione di lingue diverse. Giorello era invece certo che le discussioni sono più feconde proprio se le opinioni sono contrastanti e non si hanno punti in comune. Perciò la Torre di Babele si sarebbe dovuta inventare, perché la diversità è creatrice di conoscenza ed è il tesoro dell’umanità. Non a caso Giorello era contento quando constatava che altri la pensavano differentemente da lui, siccome considerava la diversità e la tolleranza gli essenziali criteri dinamici della convivenza libera.
Per Giorello il fulcro della libertà è cercare di continuo di comprendere il mondo in modo da poter di continuo allargare le libere relazioni dei suoi abitanti. Nella certezza che questa maniera di essere liberi è in sostanza sempre provvisoria, ma non per questo meno decisiva. Perché la libertà non può essere un sistema statico, che illustra un libro scritto una volta e basta. E’ la possibilità di scegliere cosa fare. La libertà, proprio perché vive nel tempo e nella diversità, deve essere sempre attiva, nei modi più disparati. Giorello era cultore della Gloriosa Rivoluzione inglese ma anche sostenitore dell’Esercito repubblicano irlandese provvisorio oppure della resistenza del popolo Uyghuro in Cina oppure della lotta del popolo basco in Spagna. E ogni volta lo era perché li considerava movimenti di aspirazione alla libertà civile, seppure con modalità innovative rispetto ai precedenti modelli di libertà. Cosa ovvia, per lui, dato appunto che la libertà non può avere un modello rigido nel tempo e nei luoghi.
Tale concetto è il punto chiave d’avvio nell’analisi sulla libertà dell’individuo. Giorello lo evocava citando il poeta MiIton di metà ‘600 agli albori del liberalismo : la libertà è unirsi contro la testarda smania di proibire. E’ il nucleo della convivenza libera tra individui diversi che si autodeterminano. E aggiungeva un’altra notazione illuminante. Che in inglese la parola popolo è una parola plurale, cioè palesemente include gli individui, mentre in italiano è singolare, cioè implicitamente esclude gli individui. Perché in Italia la cultura concepisce gli individui un pericoloso attentato alla regola fondante dell’unità collettiva che non va scalfita.
Battersi contro la smania di proibire l’autodeterminazione individuale, è dunque per Giorello il fulcro delle idee e dei comportamenti. Da qui la svolta importante che lui ha impresso nella cultura italiana. La quale, per responsabilità di tanti, dall’idealismo tedesco, alla vulgata marxista, alla dottrina religiosa romana, è sempre impigliata in qualche forma di dover essere. Da secoli si predica la ripulsa delle azioni strane e avverse alla tradizione promosse dai cittadini individualmente non conformisti e che addirittura hanno la pretesa di decidere cosa fare della propria vita. Quando invece, da metà del ‘600, quasi di pari passo all’allargarsi della pratica scientifica, sono andati crescendo anche i cambiamenti radicali nel modo di vivere fondandosi sempre più sulla maggior libertà di espressione riconosciuta al cittadino e alle sue iniziative. Con enormi risultati positivi.
In tante battaglie a favore del continuo svilupparsi della libertà individuale in svariati settori, Giorello è sempre stato in prima fila, intellettuale e politica. Ogni volta richiamando che l’importante non è la protesta in sé e l’emozione che origina, ma la spinta ad una definizione, nuova e più libera, di cosa viene accettato nella convivenza nell’ambito di regole espresse dalle norme. Giorello diceva che non si deve rinviare l’impegno delle lotte in tema di libertà. Il futuro è adesso. Le battaglie vanno condotte fin da subito in uno spirito costruttivo di cambiare verso la direzione ritenuta più adatta a irrobustire le relazioni di libertà.
Lui si è dedicato a farle. Per ricordarne qualcuna, l’insistere nel sostenere la necessità del voto agli immigrati che hanno una posizione stabile di lavoro e pagano le tasse, oppure di norme a protezione degli esseri viventi non umani , magari vegetali inclusi. E poi il grande tema della libertà religiosa, che considerava la questione centrale del paese per sbloccarne l’effettiva crescita verso l’autodeterminazione individuale. La libertà del laico è il poter essere di nessuna Chiesa, scrisse. Dal dare a ciascuno l’effettiva possibilità di essere o no credente (e consentire, a chi voglia farlo di costruire ogni tipo di luogo di culto) al togliere agli italiani i lacci soffocanti delle norme dell’art.7 della Costituzione. Che non si limitano a far danni in teoria ma che si diffondono tentacolari nella quotidianità.
Contro uno di questi tentacoli, a metà autunno 2012, Giorello accettò di scrivere una lettera – con me ed una trentina di notissimi docenti universitari e massimi esponenti della laicità italiana – una lettera al Presidente del Consiglio (era il sen.Monti), per invitarlo a non presentare ricorso avverso una Sentenza della Corte di Strasburgo di condanna all’Italia in merito alla legge sulla procreazione assistita. Un ricorso che avrebbe fatto credere che in Italia non si possono effettuare le diagnosi preimpianto. Che avrebbe confermato la contraddizione evidenziata dalla stessa Corte tra il disposto della legge sull’interruzione di gravidanza e quello sulla procreazione assistita e quindi volto a negare l’autodeterminazione delle scelte individuali.
Gli scriventi facevano appello a non presentare il ricorso e a affrontare il problema delle indagini genetiche con incontri di esperti veri, a prescindere dalle convinzioni etiche. Dopo due mesi di contatti nebbiosi, il ricorso venne fatto l’ultimo giorno e naturalmente venne in seguito rigettato, esponendo il paese ad una meschina figura. Che era prevedibile ma che venne rischiata pur di soddisfare le burocrazie ministeriali dominate dai cattolici chiusi (mettendo in luce l’inconsistenza politico culturale in tema di libertà degli allora responsabili del governo).
La lettera che inviammo servì a non accettare passivamente il supposto buon senso civile dettato dal conformismo prevalente. Il buon senso pare l’essenza della saggezza ed è l’orlo del baratro immobilista. Come insegna la conoscenza scientifica, in ogni momento occorre porsi il problema di cosa può funzionare in altro modo e dell’efficacia di questo nuovo modo. Poi sperimentare la proposta e valutare i risultati. In ciò stanno il ruolo e l’importanza della libertà e del cittadino individuo che la pratica. Giorello ammoniva che occorre applicarsi ad infrangere ogni barriera (intellettuale e operativa, non mischiando giudizi politici e rapporti commerciali tra grandi Stati) . Un ammonimento da non intendersi come sorta di furia iconoclasta, bensì come spirito critico applicato di continuo per cogliere la prospettiva del tempo che passa e in ogni campo (vedi il suo libro su Topolino) per rimarcare la diversità degli interessi viventi.
La ragione è che il concetto di autodeterminazione individuale si interseca indissolubile (se ne abbia o no coscienza) al concetto del tempo che passa (quindi guarda avanti, mai indietro, come invece sognano i movimenti totalitari che vogliono distruggere i monumenti del passato). E poi si interseca anche al principio popperiano per cui la scienza è tale solo se è falsificabile, concetto chiave del principio di conoscenza sperimentale provvisoria. Insomma, un impianto concettuale così esige di affrontare cambiamenti di ogni tipo, di continuo.
Perciò Giorello era particolarmente attento al grande filosofo austriaco Feyerabend, che sosteneva il valore anche delle contraddizioni e argomentava contro il metodo. Non per rinnegare lo stare ai fatti e lo sperimentare, ma per esprimere l’esigenza che la ricerca non si blocchi al sorgere di contraddizioni e che il metodo si ampli senza fossilizzarsi nel ripetere sé stesso. Sono criteri attuativi della libertà, da applicare sempre nell’autodeterminarsi individuale.
Giorello è stato un autore assai pubblicato e un direttore editoriale di gran rilievo. Una persona dal rigore matematico e dalla curiosità insaziabile, che esprime ininterrotta voglia di conoscere. Però non ha avuto l’ascolto e la diffusione dovuti. Trattato sovente dal mondo mass mediatico alla stregua di oggetto curioso da esibire in salotto sotto la campana di vetro ma da tenere a rispettosa distanza (un necrologio di un quotidiano di sinistra, pur assai positivo, ha scritto di non capire come Giorello potesse mettere insieme liberali ed Esercito Repubblicano Irlandese).
Un trattamento dovuto in parte alla scarsa professionalità di giornalisti mai alla ricerca di presentare ai lettori il dibattito sulle idee preferendo il ruolo di fare previsioni su ciò che avverrà, come si fosse a teatro o all’ippodromo. Ma un trattamento dovuto anche ad una società ingessata nell’ossequio al potere esistente e nelle ritualità ideologico religiose. E che ha costituito un errore imperdonabile, perché Giulio Giorello in Italia è stato un gigante della filosofia delle libertà e delle sue applicazioni.
Naturalmente, per essere coerente con il suo insegnamento e al suo desiderio di differenze, ricordo un aspetto che invece Giorello ha trascurato nel complesso del suo pensiero. Giorello ha sempre dato per scontato che bastasse impegnarsi per far crescere in ciascun cittadino la passione per le idee di libertà. Secondo me, è necessario ma non sufficiente. A parte la forte compressione della cultura liberale fatta dai suoi nemici, è questo impegno circoscritto a causare la debolezza politica liberale in Italia.
Basta fare un sintetico ragionamento illustrativo. Gli individui convivono tra loro e sono diversi. La storia ha mostrato che la convivenza migliora non senza istituzioni (altrimenti domina la forza fisica) ma creando istituzioni che la regolino con norme scelte dai cittadini. Ed adeguandole di continuo. Quindi il nodo è la scelta e poi il seguire l’evolvere delle vicende. Peraltro, essendo i cittadini diversi, non tutti vogliono la libertà, in particolare quella dinamica, e anche chi la vuole, può prendere iniziative differenti. Dunque è determinante il come si arriva ogni volta a compiere la scelta con il voto segreto. Fin qui concordo con Giorello.
Per me è irrealistico supporre che cittadini diversi abbiano uguale consapevolezza nello scegliere (che è il punto per cui la libertà implica la democrazia ma non viceversa). Quindi è cruciale che ciascuno abbia analoga informazione ed analogo quadro emotivo. Per rendere più probabile tale risultato, quanti concorrono devono aver analoghe capacità di attirare l’attenzione sul rispettivo prodotto. A tal fine, devono avere un minino di consistenza quantitativa (e di risorse adatte, che però la libertà individuale da sola non accumula), una consistenza che renda credibile ai mezzi di comunicazione l’aspirare al potere del progetto e renda credibile agli elettori l’essere un progetto politico su cui puntare.
Tale minima consistenza è impossibile raggiungerla tramite individui slegati tra loro, pur se convergenti sulla libertà. Perché contano molto il clima e le attese diffuse nella convivenza ( si pensi a come agisce chi avversa la libertà contrapponendole l’utopia e le sue fulgide certezze, cioè cose molto più accattivanti nell’immediato). Occorre una formazione politica che colleghi i fautori delle libertà in base ad un progetto espressione dei loro principi. E che alle elezioni possa ricevere il suffragio dei cittadini che scelgono le libertà. Sennò prevarranno le voci ideologiche e quelle emotive (non si dimentichi che le emozioni attengono ai rapporti quotidiani ma ostacolano i cangianti progetti innovativi per risolvere le sfide).
Giorello non ha fatto questo passaggio della formazione di collegamento. Continuava a sperare che la forza della libertà individuale finisse per prevalere. Ma senza formazione di collegamento, il percorso della libertà nelle relazioni civili è di gran lunga più accidentato e più lento (nel migliore dei casi). Il che si traduce in un peso opprimente a carico della cittadinanza.
Giorello preferiva sperare che ciò potesse comunque accadere. La trovo una speranza parecchio ardua (e infatti finora i risultati sono molto ridotti e dilazionati). Oltretutto perché negli ultimi decenni è cresciuta la complessità del mondo (uno stato sfruttabile per escludere la strada della libertà individuale; basta pensare a chi lavora al governo mondiale). In ogni caso è un dato di fatto che Giorello sperava bastasse la maturazione liberale dei singoli individui, soprattutto perché diffidava dei partiti ritenendoli corpi intermedi inclini all’irrigidimento gerarchico e inadatti a mantenere l’irrinunciabile dinamica nella ricerca della libertà.
La sua diffidenza per i partiti (oggettivamente assai motivata) peraltro non basta a motivare ciò che Giorello non è stato. In Italia lui è il massimo esempio dell’epoca recente del come, per essere progressisti davvero, si debba prima essere liberali e basarsi sull’individuo. Tuttavia non si è spinto a spiegare a chi neppure cerca di capirlo (la sinistra marrxista e quella cattolica), come e perché si possano mettere insieme liberali ed Esercito Repubblicano Irlandese (per usare l’immagine del quotidiano sopra ripresa). In altre parole, lo spiegarlo è una coerente necessità per concretizzare una convivenza libera. Va stabilito un collegamento materiale tra coloro che vogliano realizzare le battaglie di libertà su cui Giorello, lungimirante, si è sempre impegnato. In sintesi, Giorello che ho definito un gigante della filosofia delle libertà, è passato per essere poco liberale o al massimo un’icona dei liberali rinunciatari. Il motivo è non aver approfondito il tema di come costruire di continuo la libertà in un paese già inserito in un regime che dice di applicarla abbastanza.
In Italia, per sollevare il liberalismo dall’irrilevanza politica attuale, occorre impegnarsi nel costruire le condizioni perché si possa davvero realizzare nelle istituzioni la metodologia politica liberale fondata sul cittadino individuo. Una costruzione che non può affidarsi ad un partito (al più di liberale ha il nome, non il comportamento coerente fino in fondo) ma che necessita di una formazione delle libertà, la quale, duttile e propulsiva, attivi quel minimo di consistenza quantitativa che la renda tessuto connettivo tramite le idee di libertà ed i progetti specifici del tempo e del luogo.