Il forte contrasto tra le istituzioni spagnole (Corte Costituzionale, Monarchia, Governo, Parlamento) e quelle catalane costituisce un banco di prova di come intendere le regole del convivere nei sistemi liberaldemocratici. Appunto per questo serve una opinione contraria all’interpretazione che ne ha dato il Cav. Andrea Sarubbi, giornalista cattolico ex parlamentare PD.
Il Cav. Sarubbi non riesce ad affrontare il contrasto al di fuori del tradizionale schema della contrapposizione tra il principio centralista e quello autonomista a prescindere dalle condizioni istituzionali in cui si manifesta. Non è perciò un caso che il racconto della vicenda sorvola sulla annosa politica indipendentista definita incostituzionale dalla Corte già anni fa, cita un paragone tra Catalogna e Ucraina (che era uno Stato indipendente), ventila quello tra Catalogna e Kosovo (criticando Washington che non lo accetta) e da per scontato che “il dibattito sulla Catalogna si è trasformato in un dibattito sullo stato di diritto, sul rispetto del dissenso, sul rapporto tra governo centrale e autonomie locali”. Ed è ancor meno un caso che giunga a scrivere “ecco il grande imbarazzo della comunità internazionale che all’inizio avrebbe voluto liquidare il tutto come una questione interna alla Spagna ma che ora, con il precipitare degli eventi, è chiamata a prendere posizione” . Un puro auspicio politico del Cav. Sarubbi, dato che nella cronaca non v’è indizio di abbandono della linea degli affari interni.
Un’interpretazione e un auspicio siffatti vanno confutati confermando il modo in cui può essere sostenuta un’aspirazione separatista di per sé legittima. Quando esiste una libera Costituzione, è inaccettabile la pretesa di far decidere i cittadini sull’integrità del paese stando fuori delle regole. Esaltare a parole l’autogoverno e il diritto a decidere le forme istituzionali ma non tenere comportamenti rispettosi delle libere regole di convivenza già vigenti, equivale a sostituire il criterio della violenza a quello del confliggere democratico e costituisce una spinta alla frammentazione civile disgregatrice. Questo è davvero un tentativo di colpo di stato.
L’introdurre il criterio della violenza diminuisce il peso civile del cittadino avviandone il passaggio alla forza fisica (speriamo gli indipendentisti catalani non ci arrivino esplicitamente); la frammentazione rinforza il populismo, che è l’ansia di cambiare non all’insegna della libertà del disaccordo ma rifiutando le istituzioni della libertà. La nostra epoca non è più quella dei sogni otto novecenteschi. Oggi è illusorio dichiarare l’intento di esser liberi e di voler migliorare il modo di governare, pensando che ciò basti a realizzarli, anche senza avere progetti operativi definiti e coerenti per arrivarci.