Su un errore (che non c’è) e su una carenza (che esiste)

Leggere la lettera dell’amico Chiarenza è stato quasi come vedere un piccolo bucaneve nella tundra . Una sensazione di vita. Che rimane nonostante lo spessore delle obiezioni di merito da fare. Nel lungo gelo dell’apatia politica , c’è almeno occasione per discutere di questioni non banali.
Chiarenza esprime una vibrata protesta perchè la nuova legge sulla droga – un provvedimento chiaramente ispirato ai principi dello stato etico, dice lui – è stata approvata dai liberali senza nemmeno una manifestazione di autonomia e di disagio al momento del voto . Ora questa protesta , esaminandola solo per come è costruita , è oggettivamente infondata perché infondato ne è il presupposto.
Nel suo testo definitivo, la legge non configura uno stato etico perché non detta comportamenti obbligati né introduce reati per i piccoli consumatori non spacciatori. Non è vero neppure che l’alternativa sia tra il carcere e il ricovero in una comunità di ricupero. Per il consumatore le sanzioni sono esclusivamente amministrative, perché l’intento è prevenire danni a terzi ( resi più probabili dall’assumere droghe) e non reprimere penalmente o punire. Anzi, la legge di oggi è più garantista di quella del 1975, perché distingue nettamente , in base alle quantità di droga detenuta , la figura dello spacciatore da quella del consumatore. Né si può parlare di cura obbligatoria . Al contrario, la nuova legge ha eliminato il ricovero coatto in ospedale previsto dalla vecchia legge . Infine, proprio perché non si entra mai nel campo dei reati penali, la discrezionalità dell’autorità amministrativa non offende i principi liberali.
In sostanza, la nuova legge segue la linea liberale della dissuasione dall’assumere droghe rendendo consapevoli i cittadini dei pericoli di questa abitudine. Il testo definitivo ha recepito tre capisaldi della posizione liberale: distinguere tra spacciatore e consumatore, escludere sanzioni penali per il piccolo consumatore non spacciatore, fare campagne di informazione , adeguatamente finanziate, sui pericoli dell’assumere droghe. Nel complesso è uscita una legge accettabile per dissuadere dal consumo, combattere lo spaccio e ricuperare i tossicodipendenti, senza criminalizzare chi criminale non è, in sintonia con il rispetto dell’integrità individuale e delle civile convivenza. Anche la professionalità del medico e le funzioni dei servizi socio-sanitari sono mirati alla dissuasione e alla cura senza possibilità di confusione con i compiti di polizia per reprimere il narcotraffico.
Con queste puntualizzazioni di fatto, la questione posta da Chiarenza è lungi dall’essere esaurita. Al di là dei suoi presupposti, la protesta fa trasparire un’intima convinzione antiproibizionista. Per motivi di principio e per motivi di efficacia. E’ una convinzione che non trova indifferente il PLI. I valori economici artificiosamente aggiunti nel traffico di droga sono di certo una componente decisiva per la sua diffusione. E il PLI, unico tra i partiti, salvo quelli di Pannella e di Taradash, ha stabilito di impegnarsi nella prospettiva di un accordo a livello internazionale per eliminare quei valori aggiunti.
Non si può tuttavia trascurare un dato. Una legge antiproibizionista ridurrebbe la spinta ad offrire la droga , ma oggi sarebbe percepita come un segnale di indifferenza, se non di incoraggiamento, sul versante della domanda di consumo (che tutti vogliamo ridurre). Dal ritenere l’anti proibizionismo una forma di indifferenza al consumo deriva la scelta proibizionista dell’opinione pubblica, con schiere di sedicenti progressisti, di cosisti e di intellettuali in prima fila . Ad esempio il PCI, oppositore della nuova legge, è schierato con i proibizionisti. Anche su questo punto, la linea liberale della dissuasione può risultare quella giusta per mostrare che riduce il consumo di droga più la consapevolezza del pericolo che la proibizione.
Neppure con questo secondo ordine di puntualizzazioni, però, la questione posta da Chiarenza è del tutto esaurita. Resta l’indignazione. Non quella infondata perché sarebbe “passato senza proteste il principio della punibilità di comportamenti individuali di cittadini maggiorenni”. Un’altra indignazione. Quella per non aver (quasi) nemmeno tentato di far capire alla gente che i liberali – con un impegno in campo aperto durato un semestre e che è stato forte e a tratti persino coraggioso – avevano fatto passare i principi della dissuasione e della consapevolezza mandando a picco quel principio di punibilità che senza dubbio aveva permeato originariamente la legge.
Su questo chi è senza peccato scagli la prima pietra, non su inesistenti tradimenti dei grandi principi. Purtroppo la cosa non è meno grave. Per un partito politico, battersi per diffondere la propria identità è importante come averla. Chiarenza ha segnalato un errore non commesso ma ha fatto individuare una carenza pericolosa. Non possiamo rassegnarci a far coprire i nostri successi dal frastuono propagandistico dei contrapposti interessi di culture non liberali ( e talvolta illiberali). Così cresce l’assuefazione al conformismo. Viceversa, il motore di una società aperta sono diversità e responsabile senso critico. Per oliare questo motore, i liberali non devono restare negli spogliatoi né fare gli spettatori o al massimo gli arbitri. Devono stare in campo a giocare la partita. Prima di tutto sulla politica dei diritti di cittadinanza . Senza piccoli calcoli di palazzo.

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