Programma sul diritto allo studio universitario ’83-’85

PRESIDENTE. Ha la parola il Consiglirere Morelli.

MORELLI. Questo dibattito va visto per chi, come il sottoscritto e altri, si è occupato per lun­ghi mesi della vicenda della costruzione, chiamiamola così, della legge sul diritto allo studio che abbiamo approvato l’altr’anno, come un primo banco  di prova, di confronto, tra quelle che erano le intenzioni dichiarate, e che si devono ov­viamente prendere per buone, da parte della mag­oprattutto del gruppo del Partito Co­munista , e poi quelle che sono le reali capacità di intervento e di azione soprattutto in base all’adozione di acuni critei generali che, come noi denunciavamo quando si parlava della legge sul di­ritto allo studio, avrebbero finito per portare delle conseguenze particolari indipendentemente dalle intenzioni dichiarate.

E infatti l’esame di questa proposta di programma triennale, al di là delle dichiarazioni del relatore in aula  e di quelle che sa­ranno presurnibilmente le difese convinte peraltro, ma comunque d’ufficio, da parte dell’Assessore, questo programma dicevo, ci conferma che nono­stante le migliori intenzioni, se si parte da alcune posizioni di principio, poi, nei fatti concreti, si finisce fatalmente per arrivare a delle distorsioni. Credo – senza allungare moltissimo gli interventi anche perché stamani il Consigliere Innaco ha a lungo analizzato i limiti di questo provvedimento  – che balzi subito agli occhi il difetto centrale, dal quale poi nasce un’altra serie di difetti, anche se noi non vorremmo disconoscere alcuni piccoli punti positivi sui quali poi parlerò nella parte finale.

Il difetto centrale è proprio quello che, al di là di nuovo di petizioni di principio, che pur sono presenti anche nel programma, non fa chia­rezza logica e comportamentale su che cosa deve essere il diritto allo studio. Va bene che ci sono molti colleghi nuovi, ma tutti coloro che non so­no nuovi sanno che cosa debba essere il diritto allo studio in quanto si sono soffermati ad esami­narlo per circa un anno e mezzo con sedute lun­ghissime e quindi non è il caso di ritornarci. E poi stamani è stato chiarito ancora una volta che il diritto allo studio non può essere un servizio so­ciale indifferenziato. Invece, fin daJ1e prime pa­gine, segnatamente la 5 e la 6, si dà un’imposta­zione generale che tende, non in toto come era nella prima fase della discussione sulla legge, ma in larghissima misura a riprendere vice­versa questo concetto di servizio sociale indiffe­renziato, che è distorcente come poi accennere­mo, e che oltretutto è ancor più inconcepibile venga adottato, non solo per le obiezioni di prin­cipio sulle quali molto a lungo ci siamo fermati in sede di discussione sulla legge – cioè che il diritto allo studio universitario è viceversa un classico diritto specifico, in nessun modo mai confondibile con i servizi sociali indifferenziati, tipici di altre branche dell’amministrazione pubblica e segnata­mente di quella municipale ­– ma anche è ancor più buffo il fatto che ci si voglia richiamare a quei servizi sociali indifferenziati quando si pensa che viceversa nello stesso piano non c’è ancora una sufficiente consapevolezza dell’utilizzo di tutte quelle parti di servizi, al limite polifunzionali, che potrebbero essere in particolari stagioni morte, segnatamente quella estiva, utilizzati per recuperare certe spese, per soddisfare diverse domande derivanti, mettiamo, caso tipico, dal turismo.

Da una parte quindi si vuoI fare del servizio del dirit­to allo studio universitario un servizio sociale in­differenziato e non lo è, e viceversa, quando si potrebbero usare delle strutture che pure esistono nei periodi di secca estiva degli studenti e dei tor­renti, si potrebbero usare per supplire a dei servi­zi esterni, a pagamento naturalmente per coprire le spese, non si fa nemmeno questo. Quindi c’è anche una contraddizione maggiore non solo a li­vello concettuale, ma anche a livello operativo.

E la stessa serpeggiante confusione c’è là dove si continua a stare sul filo del rasoio in merito al­l’organizzazione dei servizi culturali di contorno, perché anche qui, si rispettano formalmente certe prerogative – che poi sono quelle essenziali, quel­le costitutive dell’università, in merito all’organiz­zazione della cultura – però in continuazione c’è questo tentativo e questa tendenza a ripetere la strada non giusta del supporto culturale che noi, come abbiamo segnalato all’epoca della legge, non riteniamo debba essere la finalità degli enti pubblici, che non sia l’università ovviamente.

Questi criteri di fondo sui quali non mi soffer­mo, perché ci siamo sofTermati a lunghissimo tempo durante la richiamata legge in base alla quale oggi si opera, tendono poi a informare tutta una serie di interventi che – e qui può baluginare la parte di buona volontà messa nell’operare – pure vengono in qualche modo denunciati nella limitatezza dallo stesso programma. Proprio in nome del servizio pubblico indifferenziato, si fini­sce per avere una ripartizione all’interno dei vari servizi del diritto allo studio chiaramente squili­brata, a favore di quel servizio mensa, che senza dubbio è il punto nel quale più si può applicare e opera il criterio di chi voglia fare del diritto allo studio un servizio pubblico indifferenziato. È evi­dente che se si privilegiassero, per esempio, gli as­segni di studio e già per altri versi gli alloggi, non si arriverebbe a quella percentuale evidenziata nel quadro costituente l’ultima pagina del program­ma dal quale si evince che il servizio mensa as­sorbe oltre il 75% delle risorse impiegate nel set­tore (17.000, quasi 18.000 miliardi). Non neghia­mo che dallo stesso programma in varie parti si evidenzi (addirittura a un certo punto fa una spe­cie di filippica relativamente al fatto che certi ser­vizi sono estesi senza criteri) che ci sono delle forme di abusivismo non irrilevanti, che si sotto­valuta il merito e la capacità, sono frasi in questo caso non mie, ma solo del pedissequo lettore del programma.

Da questa individuazione dell’esistenza di una certa inerzia negativa a voler staccarsi dalla logi­ca del servizio sociale indifferenziato per, vicever­sa, imboccare maggiormente la logica del diritto allo studio – cioè del diritto specifico e legato an­che al merito – da questa iniziale constatazione non si riesce ad alzare il volo, e si rimane sostan­zialmente coinvolti nella rituale conferma di quanto fino ad oggi è stato fatto. Che ciò sia ve­ro e avvenga così, lo si vede in diversi particolari, basti dire da quello del criterio e della conferma dei diritti acquisiti anche nel servizio assegni per gli studenti che negli anni precedenti ne hanno già usufruito, alla più importante e a nostro pare­re più criticabile conferma delle tendenze di spe­sa, della spesa storica oserei dire, già fatta, pro­prio in un momento in cui a tutti i livelli degli enti pubblici locali si tende viceversa a fare un grosso sforzo per superare i criteri della spesa storica e dare dei giudizi parametrati su degli standards di efficienza e di efficacia.

In tutta questa logica, non rompendo con la conferma del già acquisito, del già esistente, si finisce anche per non rompere con le forti aree di parassitismo che esistono, che sono chiaramente evidenziate anche da un som­mario esame dei fatti e che ritrovano una loro evidente traccia nel fatto che in tutti i conti dati si fanno i conti della produzione ad esclusione del personale addetto. Il che a noi sembra veramente una cosa doppiamente assurda, prima di tutto perché falsa già le percentuali citate del 75 circa per cento del servizio mensa su tutti gli altri ser­vizi e, se si includesse il personale tenderebbe ad alzare e quindi si vedrebbe che questo servizio in realtà, ii servizio mensa, assorbe anche più del 75%; ma quel che è più grave e più significativo è che il mancato conteggio del personale nell’ambi­to dei servizi di produzione finisce per premiare dei disservizi evidenti.

Ad esempio, nel caso fio­rentino, ci sono, ed emerge ciò dai dati rimessi dalla stessa Giunta alla Commissione, c’è una discrepanza clamorosa perché c’è il caso di una mensa che  ha un numero ad esempio di 100 ad­detti e produce 2.000 pasti; poi ce n’è un’altra che ha 300 addetti e produce la metà dei pasti. Ecco allora se si tende a confermare l’esistente, le linee di tendenza, le strutture esistenti, (e ciò si fa di fatto perché in realtà sul piano del principio il programma dice che bisognerebbe rivedere tut­te queste cose) si finisce per incidere molto poco.

E la stessa logica di tutti questi esempi che vado  facendo riconducibili alla logica di fondo, cioè questo dell’essere perennemente incerti tra il diritto  sociale indifferenziato e il servizio viceversa ­specifico del diritto allo studio, si ritrova anche nei prezzi troppo bassi e poco differenziati per il servizio alloggi. Oggi come oggi dei prezzi di 20.000 per la prima fascia e da 40 a 60.000 li­re al mese per la seconda fascia, sono oggettiva­mente dei prezzi assai contenuti e che forse non affrontano seriamente il fenomeno nella sua inte­rezza. Perché è giusto che si devono dare degli aiuti, però, come abbiamo più volte detto nel cor­so deIla legge, in questo momento è d’uopo richiamarlo, bisogna sempre ricordarsi che il diritto allo studio non è fatto per fare dell’assisten­za sociale. E’ chiaro che se ci sono delle famiglie bisognose che si devono aiutare per quanto attiene alle esigenze vitali, primarie, il dormire, il mangiare, lo Stato deve farlo. Ma non deve farlo, il capitolo del diritto allo studio, dovrebbe farlo con altri tipi di capitoli e, al limite, non lo deve fare nemmeno la Regione perché questo non mi sembra rientri fra i suoi compiti.

E infine, per accennare a quelle che a nostro parere sembrano le cose più discutibili e che devon­o essere ancora riviste perché altrimenti le cose  non potranno migliorare in quanto, come ho etto in premessa, i difetti operativi sono larghis­simamente legati ai difetti di impostazione, riten­go che ci sia una sotto utilizzazione, per non dire ddirittura una non utilizzazione, del servizio prestiti d’onore, del turistico e sportivo. Questi sono tipi di intervento che senza dubbio possono essere collaterali, ma possono intervenire nel proces­so formativo. Sul piano della responsabilità il prestito d’onore e sul piano della conoscenza, del­la socializzazione, dello scambio di esperienze e di idee, il turistico e lo sportivo. E se si vuole non facciano altri tipi di servizi, tipo il servizio mensa, che costituiscono i quattro quinti dell’impegno della nostra Regione a livello complessivo.

Infine voglio anche segnalare che il richiamarsi al fatto che bisognerebbe automaticamente au­mentare del 13% la spesa delle risorse, trasferita nell’82, per far fronte al previsto tasso di inflazio­ne, ci sembra un ragionamento che di per sè non è corretto, in quanto, come è evidente, il tasso di inflazione è un tasso medio, per cui si tratta di vedere le reali necessità del settore e quindi non si può dire che, se in questo-settore si spendeva 100 nell’82, si deve spendere 113 nell’83. Proprio perché viceversa il recupero sull’inflazione pre­suppone e discende da un recupero di funziona­lità, e quindi non è assolutamente applicabile in modo meccanico l’idea che le 100 lire spese nel settore nell’82 fossero spese al meglio e come ne­cessità di cifra assoluta e come ripartizione e de­stinazione percentuale. Non solo, deve essere chiarito – ne viene fatto solo cenno in questo programma, ma la questione è talmente impor­tante che va studiàta con molta attenzione -, stiamo attenti perché, in un periodo del genere, anche a non tuffarsi nell’esperienza della creazio­ne di nuovi centri universitari, addirittura in fase operativa, non solo in fase di diritto allo studio ma quasi sembra in fase di vera e propria univer­sità di studi. E’chiaro che anche se lo Sta­to dà la possibilità tecnica, attraverso l’approva­zione della legge in proposito, di istituire nuovi atenei, io credo che in una situazione come la to­scana dove siamo di fronte a tre università che hanno un’approfondita, una lunga storia e anche una certa capacità dinamica perché, a quel che mi risulta, son tutte e tre università per specializ­zazioni e settori diverse, però sono anche univer­sità di un certo tono sia sotto il profilo della ricer­ca sia sotto il profilo della didattica, stiamo atten­ti che il fare questo ragionamento, che pure è in­teressante e che deve essere considerato, ma te­nendo presenti quelle che sono le risorse disponi­bili, può anche essere un ragionamento pericolo­so. Pericoloso soprattutto perché tende sempre di più a ripercorrere la strada del diritto allo studio come bandiera e non come effettiva capacità di incidere operativamente e concretamente sul “reale con le risorse disponibili e non illudendosi.

Prima di accennare a dei punti che si possono considerare più positivi, vorrei richiamare il pro­blema – che praticamente già accenna a un pun­to positivo ma ne dice già un aspetto equivoco – delle fasce nel servizio mensa e del correlativo servizio vigilanza. Noi senza dubbio apprezziamo che dopo lunghe diatribe in Commissione su que­sto punto si sia arrivati ad un’introduzione di questo criterio, anche se a noi sembra, soprattut­to per la terza fascia, in misura finanziariamente non sufficiente. Però la differenziazione è si un fatto positivo sia sul piano educativo sia sul recu­pero delle fonti di finanziamento, a patto che ven­ga rispettata la sua introduzione.

Vorrei capire come si pensa di affrontare que­sto problema, perché a quanto ci risulta ci sono delle fortissime resistenze sindacali e allora, se ciò risponde al vero, l’introdurre le fasce, sia pure mi­nimali per quanto riguarda il terzo livello, se poi questa introduzione non viene praticata, sarebbe veramente al limite perfino diseducativo, perché si aprirebbe la strada a … (Interruzione dall’aula) A noi risultava che ci fossero delle difficoltà, viceversa, per stabilire come si possa filtrare non solo …  (Interruzione dall’aula) Il problema è la volontà prima di tutto, le tec­niche poi non credo che oggi come oggi siano dei problemi difficilissimi per risolvere questa co­sa, se c’è la volontà, ripeto, politica. Che non è solo quella di esigere dei prezzi maggiori, ma è quella più importante di far capire che con il di­ritto allo studio non si fanno dei servizi diversi da quelli costituzionalmente indirizzati e previsti e che dovrebbero essere in larga parte legati al con­cetto della volontà, dello studiare, dell’aumentare le proprie capacità e possibilità. Perciò, tra le co­se positive c’è quella della differenziazione delle fasce di reddito nel servizio mensa, legate in ge­nerale all’istituzione del diritto allo studio; ana­grafe, che ci sembra un fatto abbastanza positivo, anche se qua bisognerebbe di nuovo introdurre in qualche misura il criterio di rendere meno automatico l’appartenenza alle fasce che hanno la ca­pacità e il merito necessario, cioè a nostro parere c’è la necessità, e questa è stata affrontata già, di stabìlìre una fascia di necessità economiche, ma c’è anche l’opportunità di non limitare forse al minimo di presenza scolastica e universitaria, se non vado errato sostanzialmente una prova, non limitare a questo minimo il requisito necessario per poter avere, oltre che ai requisiti e alle capa­cità di indigenza economica, anche quelli di capa­cità e di merito. Pensiamo che questa anagrafe debba essere un pochino più selezionata in qual­che misura, per evitare tutti quelli abusi di cui parla anche lo stesso programma triennale.

Infine, come dicevo all’inizio, c’è la necessità assoluta di usare veramente di questi impianti ai fini integrativi con il territorio in cui essi si trova­no, intendendo però con chiarezza che con que­sta petizione di principi.o non intendiamo riaprire il vecchio discorso di considerare le strutture del diritto allo studio come delle strutture al servizio di tutti; ad esempio fornendo al mercato degli af­fitti certi sfoghi o a cittadini temporaneamente privi di alloggio, che non deve essere questa la finalità del diritto allo studio e delle sue strutture, ma, al contrario, come dicevo all’inizio, con que­sta petizione di principio si sottolinea la necessità di arrivare ad un utilizzo ottimale delle strutture esistenti nel territorio nei momenti in cui queste strutture sono sottoutiIizzate o non utilizzate.

Complessivamente noi non vogliamo discono­scere gli sforzi che sono stati tentati in questa ste­sura del programma,. Però ci sembra che questa stesura risenta, come abbiamo già detto, di un di­fetto logico iniziale, e cioè di una mancata chia­rezza sulle funzioni del diritto allo studio, unita a una troppo timida, se non oserei dire rattrappita capacità di governo, nello sciogliere i nodi che pure lo stesso programma indica. Forse questa capacità di governo si autorattrappisce, si autoli­mita, in quanto teme di venir si a scontrare con i supposti, sottolineo la parola supposti, perché poi vorremmo vedere qual’è la vera invece consape­volezza di questi organismi o di queste fasce so­ciali ed economiche, con i supposti interessi di studenti, oppure di certi Comuni, oppure ancora di certi gruppi di lavoratori. Noi pensiamo viceversa che proprio nella stessa misura in cui, soprattutt­o in una prospettiva di società sempre più tesa a qualificarsi e a svilupparsi nei settori non industriali e non agricoli, per non dire terziario maturo – tutte le questioni delle dispute o del qua­tenario come suggerisce il collega Arata – comunque  certamente in settori sempre più basati su una consapevolezza e una capacità di cultura e di elaborazione, se è vero tutto questo, quanto più è necessaria l’università e diviene importante come momento di qualificazione particolare, non deve essere un obbligo per tutti perché è una cosa particolare di uno sviluppo economico. Così altrettanto deve essere importante che il diritto allo ­studio non si confonda anch’esso con altre si­tuazioni e altri compiti dello Stato, per cui è sempr più necessario che nella gestione, nella redazione dei programmi e più ancora nella verifica, che fu detto in quest’Aula, verrà fatta alla legge 72 del 31 agosto ’82, soprattutto in quella fase di verifica, il diritto allo studio dovrebbe essere ricondotto ad una sua funzionalità. Non è pensabile che le persone che dovrebbero tendere a essere la punta della ricerca e della consapevolezza tecnico scientifica e operativa della società, fini­scano poi in qualche maniera per distor­cere l’uso degli strumenti che la collettività da loro per poter elevarsi e svolgere il lavoro secondo ­un certo tipo di logica che è composta anche di efficienza, di serietà, di giusti equilibri tra costi e ricavi.

Per tutto questo noi, pur non potendo disconoscere che questi sforzi esistono da parte della maggioranza, e soprattutto di quella che era la maggioranza quando questo programma è stato redatto, e vogliamo in qualche modo anche tener conto che questo programma è stato redatto dal confronto di varie forze politiche, fra cui una for­olitica che sui concetti di fondo della legge sul diritto allo studio sollevò non poche riserve e che sono riecheggiate anche stamane nell’intervento del Capogruppo del Partito Socialista Be­nelli, e che quindi è presumibile che nella redazio­zre del programma in qualche modo sia entrata anche questa volontà di dare al diritto allo studio  una maggior specificità e una maggior efficienza e riuscire a non percorrere totalmente la logica ella continuazione del preesistente. Però è chiaro per noi che, nonostante si voglia anche tener con­to di tutto ciò, il risultato di questo lavoro può essere giudicato non irrilevante, ma certamente non soddisfacente e non da parte nostra condivi­sibile.

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