PRESIDENTE. Ha la parola il Consiglirere Morelli.
MORELLI. Questo dibattito va visto per chi, come il sottoscritto e altri, si è occupato per lunghi mesi della vicenda della costruzione, chiamiamola così, della legge sul diritto allo studio che abbiamo approvato l’altr’anno, come un primo banco di prova, di confronto, tra quelle che erano le intenzioni dichiarate, e che si devono ovviamente prendere per buone, da parte della magoprattutto del gruppo del Partito Comunista , e poi quelle che sono le reali capacità di intervento e di azione soprattutto in base all’adozione di acuni critei generali che, come noi denunciavamo quando si parlava della legge sul diritto allo studio, avrebbero finito per portare delle conseguenze particolari indipendentemente dalle intenzioni dichiarate.
E infatti l’esame di questa proposta di programma triennale, al di là delle dichiarazioni del relatore in aula e di quelle che saranno presurnibilmente le difese convinte peraltro, ma comunque d’ufficio, da parte dell’Assessore, questo programma dicevo, ci conferma che nonostante le migliori intenzioni, se si parte da alcune posizioni di principio, poi, nei fatti concreti, si finisce fatalmente per arrivare a delle distorsioni. Credo – senza allungare moltissimo gli interventi anche perché stamani il Consigliere Innaco ha a lungo analizzato i limiti di questo provvedimento – che balzi subito agli occhi il difetto centrale, dal quale poi nasce un’altra serie di difetti, anche se noi non vorremmo disconoscere alcuni piccoli punti positivi sui quali poi parlerò nella parte finale.
Il difetto centrale è proprio quello che, al di là di nuovo di petizioni di principio, che pur sono presenti anche nel programma, non fa chiarezza logica e comportamentale su che cosa deve essere il diritto allo studio. Va bene che ci sono molti colleghi nuovi, ma tutti coloro che non sono nuovi sanno che cosa debba essere il diritto allo studio in quanto si sono soffermati ad esaminarlo per circa un anno e mezzo con sedute lunghissime e quindi non è il caso di ritornarci. E poi stamani è stato chiarito ancora una volta che il diritto allo studio non può essere un servizio sociale indifferenziato. Invece, fin daJ1e prime pagine, segnatamente la 5 e la 6, si dà un’impostazione generale che tende, non in toto come era nella prima fase della discussione sulla legge, ma in larghissima misura a riprendere viceversa questo concetto di servizio sociale indifferenziato, che è distorcente come poi accenneremo, e che oltretutto è ancor più inconcepibile venga adottato, non solo per le obiezioni di principio sulle quali molto a lungo ci siamo fermati in sede di discussione sulla legge – cioè che il diritto allo studio universitario è viceversa un classico diritto specifico, in nessun modo mai confondibile con i servizi sociali indifferenziati, tipici di altre branche dell’amministrazione pubblica e segnatamente di quella municipale – ma anche è ancor più buffo il fatto che ci si voglia richiamare a quei servizi sociali indifferenziati quando si pensa che viceversa nello stesso piano non c’è ancora una sufficiente consapevolezza dell’utilizzo di tutte quelle parti di servizi, al limite polifunzionali, che potrebbero essere in particolari stagioni morte, segnatamente quella estiva, utilizzati per recuperare certe spese, per soddisfare diverse domande derivanti, mettiamo, caso tipico, dal turismo.
Da una parte quindi si vuoI fare del servizio del diritto allo studio universitario un servizio sociale indifferenziato e non lo è, e viceversa, quando si potrebbero usare delle strutture che pure esistono nei periodi di secca estiva degli studenti e dei torrenti, si potrebbero usare per supplire a dei servizi esterni, a pagamento naturalmente per coprire le spese, non si fa nemmeno questo. Quindi c’è anche una contraddizione maggiore non solo a livello concettuale, ma anche a livello operativo.
E la stessa serpeggiante confusione c’è là dove si continua a stare sul filo del rasoio in merito all’organizzazione dei servizi culturali di contorno, perché anche qui, si rispettano formalmente certe prerogative – che poi sono quelle essenziali, quelle costitutive dell’università, in merito all’organizzazione della cultura – però in continuazione c’è questo tentativo e questa tendenza a ripetere la strada non giusta del supporto culturale che noi, come abbiamo segnalato all’epoca della legge, non riteniamo debba essere la finalità degli enti pubblici, che non sia l’università ovviamente.
Questi criteri di fondo sui quali non mi soffermo, perché ci siamo sofTermati a lunghissimo tempo durante la richiamata legge in base alla quale oggi si opera, tendono poi a informare tutta una serie di interventi che – e qui può baluginare la parte di buona volontà messa nell’operare – pure vengono in qualche modo denunciati nella limitatezza dallo stesso programma. Proprio in nome del servizio pubblico indifferenziato, si finisce per avere una ripartizione all’interno dei vari servizi del diritto allo studio chiaramente squilibrata, a favore di quel servizio mensa, che senza dubbio è il punto nel quale più si può applicare e opera il criterio di chi voglia fare del diritto allo studio un servizio pubblico indifferenziato. È evidente che se si privilegiassero, per esempio, gli assegni di studio e già per altri versi gli alloggi, non si arriverebbe a quella percentuale evidenziata nel quadro costituente l’ultima pagina del programma dal quale si evince che il servizio mensa assorbe oltre il 75% delle risorse impiegate nel settore (17.000, quasi 18.000 miliardi). Non neghiamo che dallo stesso programma in varie parti si evidenzi (addirittura a un certo punto fa una specie di filippica relativamente al fatto che certi servizi sono estesi senza criteri) che ci sono delle forme di abusivismo non irrilevanti, che si sottovaluta il merito e la capacità, sono frasi in questo caso non mie, ma solo del pedissequo lettore del programma.
Da questa individuazione dell’esistenza di una certa inerzia negativa a voler staccarsi dalla logica del servizio sociale indifferenziato per, viceversa, imboccare maggiormente la logica del diritto allo studio – cioè del diritto specifico e legato anche al merito – da questa iniziale constatazione non si riesce ad alzare il volo, e si rimane sostanzialmente coinvolti nella rituale conferma di quanto fino ad oggi è stato fatto. Che ciò sia vero e avvenga così, lo si vede in diversi particolari, basti dire da quello del criterio e della conferma dei diritti acquisiti anche nel servizio assegni per gli studenti che negli anni precedenti ne hanno già usufruito, alla più importante e a nostro parere più criticabile conferma delle tendenze di spesa, della spesa storica oserei dire, già fatta, proprio in un momento in cui a tutti i livelli degli enti pubblici locali si tende viceversa a fare un grosso sforzo per superare i criteri della spesa storica e dare dei giudizi parametrati su degli standards di efficienza e di efficacia.
In tutta questa logica, non rompendo con la conferma del già acquisito, del già esistente, si finisce anche per non rompere con le forti aree di parassitismo che esistono, che sono chiaramente evidenziate anche da un sommario esame dei fatti e che ritrovano una loro evidente traccia nel fatto che in tutti i conti dati si fanno i conti della produzione ad esclusione del personale addetto. Il che a noi sembra veramente una cosa doppiamente assurda, prima di tutto perché falsa già le percentuali citate del 75 circa per cento del servizio mensa su tutti gli altri servizi e, se si includesse il personale tenderebbe ad alzare e quindi si vedrebbe che questo servizio in realtà, ii servizio mensa, assorbe anche più del 75%; ma quel che è più grave e più significativo è che il mancato conteggio del personale nell’ambito dei servizi di produzione finisce per premiare dei disservizi evidenti.
Ad esempio, nel caso fiorentino, ci sono, ed emerge ciò dai dati rimessi dalla stessa Giunta alla Commissione, c’è una discrepanza clamorosa perché c’è il caso di una mensa che ha un numero ad esempio di 100 addetti e produce 2.000 pasti; poi ce n’è un’altra che ha 300 addetti e produce la metà dei pasti. Ecco allora se si tende a confermare l’esistente, le linee di tendenza, le strutture esistenti, (e ciò si fa di fatto perché in realtà sul piano del principio il programma dice che bisognerebbe rivedere tutte queste cose) si finisce per incidere molto poco.
E la stessa logica di tutti questi esempi che vado facendo riconducibili alla logica di fondo, cioè questo dell’essere perennemente incerti tra il diritto sociale indifferenziato e il servizio viceversa specifico del diritto allo studio, si ritrova anche nei prezzi troppo bassi e poco differenziati per il servizio alloggi. Oggi come oggi dei prezzi di 20.000 per la prima fascia e da 40 a 60.000 lire al mese per la seconda fascia, sono oggettivamente dei prezzi assai contenuti e che forse non affrontano seriamente il fenomeno nella sua interezza. Perché è giusto che si devono dare degli aiuti, però, come abbiamo più volte detto nel corso deIla legge, in questo momento è d’uopo richiamarlo, bisogna sempre ricordarsi che il diritto allo studio non è fatto per fare dell’assistenza sociale. E’ chiaro che se ci sono delle famiglie bisognose che si devono aiutare per quanto attiene alle esigenze vitali, primarie, il dormire, il mangiare, lo Stato deve farlo. Ma non deve farlo, il capitolo del diritto allo studio, dovrebbe farlo con altri tipi di capitoli e, al limite, non lo deve fare nemmeno la Regione perché questo non mi sembra rientri fra i suoi compiti.
E infine, per accennare a quelle che a nostro parere sembrano le cose più discutibili e che devono essere ancora riviste perché altrimenti le cose non potranno migliorare in quanto, come ho etto in premessa, i difetti operativi sono larghissimamente legati ai difetti di impostazione, ritengo che ci sia una sotto utilizzazione, per non dire ddirittura una non utilizzazione, del servizio prestiti d’onore, del turistico e sportivo. Questi sono tipi di intervento che senza dubbio possono essere collaterali, ma possono intervenire nel processo formativo. Sul piano della responsabilità il prestito d’onore e sul piano della conoscenza, della socializzazione, dello scambio di esperienze e di idee, il turistico e lo sportivo. E se si vuole non facciano altri tipi di servizi, tipo il servizio mensa, che costituiscono i quattro quinti dell’impegno della nostra Regione a livello complessivo.
Infine voglio anche segnalare che il richiamarsi al fatto che bisognerebbe automaticamente aumentare del 13% la spesa delle risorse, trasferita nell’82, per far fronte al previsto tasso di inflazione, ci sembra un ragionamento che di per sè non è corretto, in quanto, come è evidente, il tasso di inflazione è un tasso medio, per cui si tratta di vedere le reali necessità del settore e quindi non si può dire che, se in questo-settore si spendeva 100 nell’82, si deve spendere 113 nell’83. Proprio perché viceversa il recupero sull’inflazione presuppone e discende da un recupero di funzionalità, e quindi non è assolutamente applicabile in modo meccanico l’idea che le 100 lire spese nel settore nell’82 fossero spese al meglio e come necessità di cifra assoluta e come ripartizione e destinazione percentuale. Non solo, deve essere chiarito – ne viene fatto solo cenno in questo programma, ma la questione è talmente importante che va studiàta con molta attenzione -, stiamo attenti perché, in un periodo del genere, anche a non tuffarsi nell’esperienza della creazione di nuovi centri universitari, addirittura in fase operativa, non solo in fase di diritto allo studio ma quasi sembra in fase di vera e propria università di studi. E’chiaro che anche se lo Stato dà la possibilità tecnica, attraverso l’approvazione della legge in proposito, di istituire nuovi atenei, io credo che in una situazione come la toscana dove siamo di fronte a tre università che hanno un’approfondita, una lunga storia e anche una certa capacità dinamica perché, a quel che mi risulta, son tutte e tre università per specializzazioni e settori diverse, però sono anche università di un certo tono sia sotto il profilo della ricerca sia sotto il profilo della didattica, stiamo attenti che il fare questo ragionamento, che pure è interessante e che deve essere considerato, ma tenendo presenti quelle che sono le risorse disponibili, può anche essere un ragionamento pericoloso. Pericoloso soprattutto perché tende sempre di più a ripercorrere la strada del diritto allo studio come bandiera e non come effettiva capacità di incidere operativamente e concretamente sul “reale con le risorse disponibili e non illudendosi.
Prima di accennare a dei punti che si possono considerare più positivi, vorrei richiamare il problema – che praticamente già accenna a un punto positivo ma ne dice già un aspetto equivoco – delle fasce nel servizio mensa e del correlativo servizio vigilanza. Noi senza dubbio apprezziamo che dopo lunghe diatribe in Commissione su questo punto si sia arrivati ad un’introduzione di questo criterio, anche se a noi sembra, soprattutto per la terza fascia, in misura finanziariamente non sufficiente. Però la differenziazione è si un fatto positivo sia sul piano educativo sia sul recupero delle fonti di finanziamento, a patto che venga rispettata la sua introduzione.
Vorrei capire come si pensa di affrontare questo problema, perché a quanto ci risulta ci sono delle fortissime resistenze sindacali e allora, se ciò risponde al vero, l’introdurre le fasce, sia pure minimali per quanto riguarda il terzo livello, se poi questa introduzione non viene praticata, sarebbe veramente al limite perfino diseducativo, perché si aprirebbe la strada a … (Interruzione dall’aula) A noi risultava che ci fossero delle difficoltà, viceversa, per stabilire come si possa filtrare non solo … (Interruzione dall’aula) Il problema è la volontà prima di tutto, le tecniche poi non credo che oggi come oggi siano dei problemi difficilissimi per risolvere questa cosa, se c’è la volontà, ripeto, politica. Che non è solo quella di esigere dei prezzi maggiori, ma è quella più importante di far capire che con il diritto allo studio non si fanno dei servizi diversi da quelli costituzionalmente indirizzati e previsti e che dovrebbero essere in larga parte legati al concetto della volontà, dello studiare, dell’aumentare le proprie capacità e possibilità. Perciò, tra le cose positive c’è quella della differenziazione delle fasce di reddito nel servizio mensa, legate in generale all’istituzione del diritto allo studio; anagrafe, che ci sembra un fatto abbastanza positivo, anche se qua bisognerebbe di nuovo introdurre in qualche misura il criterio di rendere meno automatico l’appartenenza alle fasce che hanno la capacità e il merito necessario, cioè a nostro parere c’è la necessità, e questa è stata affrontata già, di stabìlìre una fascia di necessità economiche, ma c’è anche l’opportunità di non limitare forse al minimo di presenza scolastica e universitaria, se non vado errato sostanzialmente una prova, non limitare a questo minimo il requisito necessario per poter avere, oltre che ai requisiti e alle capacità di indigenza economica, anche quelli di capacità e di merito. Pensiamo che questa anagrafe debba essere un pochino più selezionata in qualche misura, per evitare tutti quelli abusi di cui parla anche lo stesso programma triennale.
Infine, come dicevo all’inizio, c’è la necessità assoluta di usare veramente di questi impianti ai fini integrativi con il territorio in cui essi si trovano, intendendo però con chiarezza che con questa petizione di principi.o non intendiamo riaprire il vecchio discorso di considerare le strutture del diritto allo studio come delle strutture al servizio di tutti; ad esempio fornendo al mercato degli affitti certi sfoghi o a cittadini temporaneamente privi di alloggio, che non deve essere questa la finalità del diritto allo studio e delle sue strutture, ma, al contrario, come dicevo all’inizio, con questa petizione di principio si sottolinea la necessità di arrivare ad un utilizzo ottimale delle strutture esistenti nel territorio nei momenti in cui queste strutture sono sottoutiIizzate o non utilizzate.
Complessivamente noi non vogliamo disconoscere gli sforzi che sono stati tentati in questa stesura del programma,. Però ci sembra che questa stesura risenta, come abbiamo già detto, di un difetto logico iniziale, e cioè di una mancata chiarezza sulle funzioni del diritto allo studio, unita a una troppo timida, se non oserei dire rattrappita capacità di governo, nello sciogliere i nodi che pure lo stesso programma indica. Forse questa capacità di governo si autorattrappisce, si autolimita, in quanto teme di venir si a scontrare con i supposti, sottolineo la parola supposti, perché poi vorremmo vedere qual’è la vera invece consapevolezza di questi organismi o di queste fasce sociali ed economiche, con i supposti interessi di studenti, oppure di certi Comuni, oppure ancora di certi gruppi di lavoratori. Noi pensiamo viceversa che proprio nella stessa misura in cui, soprattutto in una prospettiva di società sempre più tesa a qualificarsi e a svilupparsi nei settori non industriali e non agricoli, per non dire terziario maturo – tutte le questioni delle dispute o del quatenario come suggerisce il collega Arata – comunque certamente in settori sempre più basati su una consapevolezza e una capacità di cultura e di elaborazione, se è vero tutto questo, quanto più è necessaria l’università e diviene importante come momento di qualificazione particolare, non deve essere un obbligo per tutti perché è una cosa particolare di uno sviluppo economico. Così altrettanto deve essere importante che il diritto allo studio non si confonda anch’esso con altre situazioni e altri compiti dello Stato, per cui è sempr più necessario che nella gestione, nella redazione dei programmi e più ancora nella verifica, che fu detto in quest’Aula, verrà fatta alla legge 72 del 31 agosto ’82, soprattutto in quella fase di verifica, il diritto allo studio dovrebbe essere ricondotto ad una sua funzionalità. Non è pensabile che le persone che dovrebbero tendere a essere la punta della ricerca e della consapevolezza tecnico scientifica e operativa della società, finiscano poi in qualche maniera per distorcere l’uso degli strumenti che la collettività da loro per poter elevarsi e svolgere il lavoro secondo un certo tipo di logica che è composta anche di efficienza, di serietà, di giusti equilibri tra costi e ricavi.
Per tutto questo noi, pur non potendo disconoscere che questi sforzi esistono da parte della maggioranza, e soprattutto di quella che era la maggioranza quando questo programma è stato redatto, e vogliamo in qualche modo anche tener conto che questo programma è stato redatto dal confronto di varie forze politiche, fra cui una forolitica che sui concetti di fondo della legge sul diritto allo studio sollevò non poche riserve e che sono riecheggiate anche stamane nell’intervento del Capogruppo del Partito Socialista Benelli, e che quindi è presumibile che nella redaziozre del programma in qualche modo sia entrata anche questa volontà di dare al diritto allo studio una maggior specificità e una maggior efficienza e riuscire a non percorrere totalmente la logica ella continuazione del preesistente. Però è chiaro per noi che, nonostante si voglia anche tener conto di tutto ciò, il risultato di questo lavoro può essere giudicato non irrilevante, ma certamente non soddisfacente e non da parte nostra condivisibile.