Articolo di prima pagina di ATENEO PISANO, mensile degli universitari pisani a cura dell’Organismo Rappresentativo, diretto dalla Giunta presieduta da Mario Bonadio, che era stata eletta dalle elezioni del 12-13-14 dicembre 1967 nelle quali erano prevalse nel complesso delle varie facoltà le liste riferite al progetto avanzato da Goliardia Libera (AGI).
I sonni dell’opinione pubblica sono turbati dalle agitazioni universitarie. E questo può non fare meraviglia in un paese educato prima dal ventennio fascista e poi dal ventennio della RAI-TV, al motto “tutto è in ordine, tutto va bene”. Resta però il fatto che la situazione dell’università di Pisa e di altri atenei non è scoppiata improvvisamentc e non sievolve in termini incomprensibili.
Ogni posizione di scandalo o di tremebondo disagio di fronte alle occupazioni da un lato e di insonne turbamento dall’altro, non ha dunque nessuna giustificazione oggettiva (ripristinare “l’ordine”) ed è anzi foriera di decisioni precipitose e spesso inaccettabili. Gli interventi della polizia all’interno dell’università, annunciati dal governo e attuati dai prefetti, ne sono purtroppo la prima conseguenza. I ministri della Pubblica Istruzione e dell’Interno che mandano la polizia nell’Università non solo compiono un attentato gravissimo a danno dell’autonomia dei nostri Atenei, ma testimoniano la clamorosa incomprensione di qunto sta accadendo nelle università italiane e sorattutto di quali siano i punti in discussione e i principi in gioco.
Il filo logico ed interpretativo di queste agitazioni non è invece eccessivamente ingarbugliato. C’è un punto di partenza oggettivo. L’università italiana è profondamente ammalata. Lo è nel progressivo venir meno della coscienza della sua ragion di essere in una società di massa, ancor prima che nelle sue strutture. La necessaria riforma, almeno quella parziale delle strutture prevista dal piano Gui, si è smarrita nei corridoi di Montecitorio e comunque è anch’essa poco più del classico bicchier d’acqua fresca. Agitando davanti agli studenti la rossa “muleta”delle cose che non vanno, alcune minoranza cercano di guadagnare gli studenti alla critica frontale a questo discutibile presente per poi giustificare pretestuosamente scelte strategiche e prospettive che, con l’università, non hanno niente a che fare. Il potere agli studenti e agli operai, dicono. E dietro la “muleta” compare l’obiettivo vero: la contestazione globale e rivoluzionaria del sistema democratico e sociale in cui viviamo.
Individuato il bandolo della matassa delle agitazioni, v’è allora una cosa da fare con decisione e tempestività. Tenere il campo sgombro dalla alternativa, assolutamente artificiosa e strumentale, che la minoranza rivoluzionaria cerca disperatamente di accreditare: o mantenere le attuali strutture universitarie o aderire alle nostre tesi e alla nostra metodologiua di lotta. Nei termini di un sintetico slogan di moda, l’altemativa tra autoritarismo e rivoluzione.
Quest’alternativa. a Pisa, gli studenti l’hanno giò più volte respinta. I più evidenti episodi sono gli eloquenti risulati delle recentissime elezioni che hanno visto il netto successo della linea riformista (duplice successo: nelle urne e per il fatto stesso che le elezioni si siano svolte con una larga partecipazione di studenti) e la palese indifferenza con cui la massa degli studenti ha accolto l’invito alla lotta di marca “cinese” ( la punta massima di rivoluzionari in pratica non ha mai superato la soglia delle 250 persone contro i 4000 votanti alle elezioni).
Nell’ultimo mese, tuttavia, per due volte la minoranza rivoluzionaria ha trovato nella cenere le occasioni contingenti di protesta per tentare di riproporre quell’artificiosa alternativa: per due volte, infatti, l’autoritarismo ha dato una mano alla rivoluzione. La prima volta, dopo che era tramontatala tanto sperata occasione degli esami di febbraio tenuti a Pisa in gennaio (lo spostamento degli esami a febbraio ottenuto dalla Giunta ORIUP è stata una “fregatura” per le agitazioni – ha detto un rivoluzionario all’assemblea di lettere), cìè stato l’intervento della polizia per sgombrare Palazzo Ricci e successivamente i gravi episodi delle cariche agli studenti. La seconda volta, in seguito alla provocazione dei rivoluzionari che hanno impedito lo svolgimento di una lezione, vi sono stati gli episodi dello “schiaffo” e quello della chiusura di Lettere con la conseguente sospensione di ogni attività didattica.
Anche in questi casi, il fermo atteggiamento della Giunta dell’ORIUP, il responsabile comportamento degli studenti pisani, la linea assunta – seppure con qualche ritardo – dal Consiglio Universitario, hanno fatto cadere questi tentativi. Ma il problema, per il movimento, rimane. L’impegno principe per tutti i sinceri democratici resta quello di rifiutare la falsa alternativa autoritarismo-rivoluzione percorrendo la strada di un cosciente riformismo. Il che vuol dire proporre obiettivi concreti per la trasformazione graduale delle strutture e della mentalità accademica. Il che vuol dire isolare progressivamente, ma con precisa determinazione, la tigre dell’estremismo.
In questa strategia, il problema di fondo non è sostituire al potere dei “baroni” il contropotere degli studenti (come vuole la minoranza “cinese”). La cosa veramente importante è smantellare il coacervo dei poteri esistenti per dar vita ad una comunnità universitaria fondata sulla collaborazione di tutti nel rispetto delle funzioni specifiche di ciascuno.
Le commissioni integrate di professori e di studenti appaiono come un valido passo in questa direzione. Lo sono soprattutto se, prendendovi parte, non si pretenderà di essere in una specie di stanza dei bottoni. Gestire direttamente il potere è stata, ed è, la prima mistificazione di una coerente politica studentesca responsabilmente riformista. Il problema non è il “chi” gestisce il potere ma il “come” lo si gestisce. E per gli studenti si tratta di configurare gli strumenti necessari per svolgere efficacemente un’opera di continuo controllo su quello che avviene nell’università.
Quanti precludono lo sviluppo di questo processo di collaborazoine all’interno dell’università e contribuiscono di fatto a coinvolgere docenti e studenti in una sorta di assurda e allucinante lotta di classe, non possono essere altro che dei freddi rivoluzionari o delle patetiche mosche cocchiere (a meno che non abbiano scelto l’autoritarismo). Questo è il significato più profondo dei giorni caldi pisani. E in questo stanno le gravi responsabilità, culturali prima che politiche, di una certa corrente cattolica. Novelli apprendisti stregoni, i suoi esponenti hanno fatto proprie le tesi rivoluzionarie e poi, spaventati dalle conseguenze, cercano di fare i pompieri dello stesso incendio che banno contribuito ad accendere.
Una manifestazione, una scelta politica non sono rivoluzionarie a seconda che lo sia o no chi ne è il protagonista. Sono piuttosto gli atti e le realizzazioni a qualificare chi ne è protagonista. E quando si accettano le tesi della democrazia diretta, quando si fa dell’occupazione uno strumento abituale di lotta, quando si trasformano le assemblee da mezzo tecnico per un più largo dibattito _e .per una inforrnazione più diffusa in prassi giacobina di elaborazione decisionale, allora si va al di là dello spartiacque tra riformismo e rivoluzione. Si approda sulla riva della rivoluzione. Perché tutte queste cose, e in primo luogo l’istituzionalizzazione dell’Assemblea di Ateneo come unico organo rappresentativo degli studenti, sono strumenti di una realtà rivoluzionaria.
La risposta a chi cavalca la tigre dell’estremismo, viceversa, deve essere coerente nei presupposti ideali e nella pratica effettiva. Solo così, comportandosi senza malcelati complessi, può essere definitivamente isolato chi fugge di fronte alla realtà e si rifugia nell’utopia rivoluzionaria, che è sbagliata in prospettiva e dannosa nell’immediato. Un isolamento che in questo caso significa, da un lato impedire all’autoritarismo di dare nuovs esca alla protesta, dall’altro attuare come punto di inizio i princpi e gli indirizzi di riforma elaborati dal Consiglio Universitario.
Ecco perché non si può condividere la decisione di sospendere l’attività didattica e gli esami a lettere. Provvedimenti del genere danno spazio agli estremisti nel momento stesso in cui questi paralizzano la vita della facoltà e danneggiano gli interessi della quasi totalità degli studenti. L’impegno di tutte le forze che siano responsabilmente aperte alle necessarie riforme dell’università, è, al contrario, quello di assicurare il regolare svolgimento delle lezioni e degli esami in ogni modo possibile. Dimostrare insomma ai rivoluzionari (e anche alle mosche cocchiere) che la vita dell’università non dipende dai loro capricci. E neppure irrigidirsi nel criterio dell’applicazione letterale dei regolamenti universitari. Quando si è nella logica rivoluzionaria delle occupazioni a getto continuo e della lotta di classe docenti-studenti, entrano in gioco principi, come il diritto allo studio da parte di ogni studente, che .investono direttamente l’ambito costituzionale. Allora, il professore “autoritario” non appare il giudice più naturale.