Sul letargo dei liberal riformisti (a Luca Ricolfi)

Egregio Professore,

il Suo articolo sul Messaggero  (4 ottobre) ha una tesi ben espressa nel titolo  “Il letargo dei liberal riformisti genera mostri”. Parte dall’asserire che abbiamo fallito come fautori della cultura liberaldemocratica, condivisa negli anni ’90 dai riformisti di entrambi gli schieramenti. Però tale asserzione è depistante, in quanto cade nell’equivoco di confondere la cultura politica liberale  con  culture che liberali non sono.

Lei osserva che allora  eravamo riformisti per forza perché era l’Italia ad avere bisogno di scelte coraggiose (di cui fa un nutrito elenco). Ma constata che  tutto questo si è dissolto, tanto che, Lei scrive, il mondo liberal riformista non esiste più. Condivido pienamente il punto, e infatti in queste settimane ho pubblicato uno snello libretto  on line, scaricabile gratis al link www.losguardolungo.it/biblioteca/progetto-per-la-formazione-delle-liberta/ , che parte dal buco delle libertà creatosi e illustra  la via per colmarlo. Però la via liberale non è il riformismo generico o liberale a parole, che prende atto della necessità di scelte coraggiose. E’ un riformismo che pratica il metodo liberale imperniato sul cittadino individuo, il suo spirito critico e il  suo seguire lo sperimentare sui fatti. Mentre i riformisti da Lei citati hanno chiamato liberale un miscuglio di vecchie pulsioni  collettiviste, di vocazione maggioritaria, della globalizzazione eterodiretta, di un laicismo clericaleggiante, del privilegiare le burocrazie più retrive, dell’inclinazione a fare della magistratura un potere incostituzionale. Addirittura, sia  centrosinistra che centrodestra hanno gabellato  come liberale il concepire il governo quale elite disattenta alle esigenze dei cittadini, cioè  l’opposto della prassi liberale.

Era impossibile concepire progetti concreti per scegliere. Ed infatti non hanno scelto o realizzato alcunché.  Il fallimentare risultato di tali posizioni  è stato il voto del 4 marzo ‘18. Ma il mondo liberal riformista non esisteva più già da un ventennio, e la responsabilità può anche essere in parte degli stessi liberali, coerenti ed incapaci di farsi valere. Soprattutto è delle forze politiche ossessionate dal volere assorbire le diversità  e dei mezzi di comunicazione. Perchè i mezzi di comunicazione, tradendo il loro compito, hanno imbavagliato la voce liberale  estranea a quel bipolarismo di potere, che è comodo per i mass media, nonostante corroda la democrazia, quando opprime lo spirito critico e i fatti.  

Non si va oltre il 4 marzo, scambiando la realtà del Parlamento rappresentativo col vaneggiare operazioni politiche fondate sui sondaggi, su elezioni locali e volte al sogno di restaurare le elites di prima. Né si può dimenticare che i sovranisti sono  incompatibili con il metodo liberale e puntano a restaurare la destra (dall’incapacità sperimentata). Né si può restare ossessionati dal M5S , siccome ha preso voti nè sulla follia illiberale della democrazia diretta di Rousseau né sull’aiutare i consulenti togati ministeriali pro abolizione prescrizione, bensì sull’esasperazione per governi elitari (cosa che di per sé non è illiberale).

In conclusione. E’ molto giusto il Suo auspicio finale circa l’urgenza di ricostruire la cultura liberal riformista per bloccare il populismo. Ovviamente intendendo non la cultura sedicente liberale (quali sinistra aspiratutto, moderati clericali, destra conformista) ma quella che si comporta in termini coerenti alle libertà. Peraltro tale ricostruzione sarà ardua se non spunteranno sistemi per superare la censura  discriminatoria esistente contro la cultura delle libertà.

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