PRESIDENTE. Ha la parola il consigliere Morelli.
MORELLI. Questo argomento, per noi, non è un parlare di cose estere, per così dire – fatto che ci vedrebbe come altre volte scettici – ma è un parlare, diceva ora il collega Berlinguer, della questione somma, noi intendiamo questa frase, questo somma, nel senso che si tratta al problema della pace non solo di problemi di politica internazionale ma anche di cose nostre se si intende questo tipo di problema come un problema che deve nascere dal comportamento quotidiano delle varie realtà sociali e individuali del mondo. E quindi cercherò di accennare a queste cose ponendo l’accento sul fatto che l’impegno di tutti questi consessi deve essere quello di sforzarsi di esaminare il come riuscire a promuoverla, sia pure dai nostri piccoli ambiti, e non tanto quello di manifestare aneliti, deve essere quello di sforzarsi di stabilire come comportarsi nella nostra azione di governo e non tanto per agitare una sorta di irenismo, che al di fuori del mondo religioso spesso non riesce ad incidere sulle necessarie trasformazioni sociali e di rapporti fra individui, collettività, gruppi sociali e stati.
Quindi accennerò al problema della pace come fatto anche nostro, nel senso che al fondo del problema della pace c’è un rifiuto della logica dello scontro frontale, che non è una logica limitata a problemi di politica estera, ma a nostro parere è una logica che affonda le sue radici anche nel quotidiano dei problemi che tutti i giorni andiamo ad esaminare.
E allora senza dubbio il movimento per la pace è cosa nuova, nel senso che non è la meccanica riproposizione di manifestazioni per la pace che in realtà significavano una precisa scelta di campo in una logica viceversa di scontro frontale quali potevano essere i movimenti della pace di circa 25 anni fa, senza dubbio è una cosa nuova, però diciamo anche che non è una cosa ancora totalmente consapevole sul piano dei conseguenti comportamenti interni che derivano, che dovrebbero derivare da questa volontà di superare lo scontro frontale nella politica internazionale come nella nostra politica interna.
Noi pensiamo che ancora questi movimenti sulla pace abbiano alcuni problemi, del tipo innanzitutto di chiarire se questo rifiuto dello scontro frontale è, come sarebbe corretto, il rifiuto dello scontro frontale nei rapporti, nello stringere i rapporti fra gruppi sociali o stati, oppure , come noi crediamo sia in parte, soprattutto in un movimento di fondo che c’è anche a livello europeo, una tendenza a preoccuparsi di rifiutare lo scontro frontale più che altro per preoccuparsi limitatamente dei propri singoli interessi, e questo è già un punto che va affrontato.
Ma più in generale senza dubbio questo movimento per la pace come superamento della logica dello scontro frontale può avere degli sviluppi, ma degli sviluppi proprio se sceglie la strada delle trattative, di quelle trattative che, come vedremo, non possono essere limitate alle due grandi superpotenze ma che comunque sono un prodotto di un risultato di volontà precisa anche da parte nostra in fin dei conti di trattare senza voler accettare le tesi della pace da una parte sola che non sono, al di là delle senza dubbio intenzioni ottime, produttive sul piano reale di trasformazione dei comportamenti. Queste trattative dovranno continuare e dovranno continuare attraverso atteggiamenti fermi, comprensivi delle posizioni altrui, ma fermi sulla linea di arrivare a punti di accordo concreti, passo per passo, volta per volta, per migliorare le situazioni e superare gli oggettivi punti di contrasto.
Sotto questo profilo sono evidenti due cose, e cioè che senza dubbio c’è un grosso ruolo dell’Europa che dovrà essere svolto in termini di identità e di iniziativa politica da parte di questa entità e che altrettanto senza dubbio questo ruolo dell’Europa è un qualcosa che è venuto come maturazione comune da parte di diverse forze politiche e Stati, anche sulla spinta del movimento per la pace, ma anche seguendo il filone della trattativa ferma e responsabile che non ha mai voluto dire se vuoi la pace prepara la guerra, ma ha voluto dire appunto non le fughe in avanti verso una pace senza radici comportamentali oppure una pace priva di quel rifiuto di fondo dello scontro frontale a cui prima mi riferivo. E allora le trattative devono essere continuate, devono essere ancora iniziate ad oggi, ma comunque devono essere affrontate fermamente e costruttivamente delle trattative a due ma dovranno necessariamente vedere una presenza politica attiva da parte dell’Europa.
Però più in generale diciamo che se questa politica di comportamenti seri, meditati, costruttivi, che partano dall’idea delle differenze di ruoli, delle differenze di esperienze politiche, delle differenze gravi di sviluppo, delle differenze gravi di democrazia, se tutto questo deve essere costruttivo e serio, allora crediamo che le trattative da sole non bastano perché per dare concretezza a questo sforzo bisogna in qualche modo affrontare le centinaia di focolai che ci sono nel mondo e che sono legati al problema generale della fame, e che quindi è fondamentale che appunto anche in questa sede a livello di politica internazionale si riproponga una politica di comportamenti, di atteggiamenti e di scelte che passi difatti attraverso il confronto, l’esame concreto e razionale dei problemi e non attraverso gli aneliti o l’irenismo che di fatto non risolvendo i problemi ne aggravano la portata finendo per sfociare, come sempre nella storia è successo, in scontri frontali.
Ora, se, come noi crediamo, tutto questo è il quadro nel quale ci dobbiamo muovere, allora noi comprendiamo un pochino meno, sia pure riconoscendo nei due interventi anche di parte comunista una intonazione di uno sforzo più a capire anche gli altri rispetto a quelli che sono i testi consegnati al Consiglio regionale attraverso la proposta di mozione, soprattutto per quanto riguarda la conclusione della mozione da una parte e invece la conclusione degli interventi sia del consigliere Marcucci sia del consigliere Berlinguer, perché, nonostante che questi interventi rappresentino un’ulteriore evoluzione, un ulteriore tentativo di allargarsi da parte del Partito Comunista in uno sforzo di confronto che non sia la riproposizione di un certo modo di fare invettive, del quale stasera abbiamo smentito una riproposizione da parte segnatamente del collega Teroni, più signorilmente stamani del collega Biondi, cioè nonostante questo sforzo di non liquidare il problema del governo con sostantivi tipo «cecità», aggettivi tipo «suicida» e valutazioni tipo «subordinazioni totali e acritiche», però devo sempre dire che nel punto chiave della domanda che si poneva il collega Marcucci, cioè del come possa accadere, come possano conciliarsi i fondamentali valori democratico occidentali della popolazione del mondo americano con la politica di certe multinazionali, con alcune scelte dell’amministrazione e del governo di questo stesso popolo, noi vorremmo dire che il problema è che nelle democrazie, almeno come noi le intendiamo, non esiste la verità perché la libertà va conquistata giorno per giorno e che l’importante è attraverso i movimenti e il libero confronto superare anche delle scelte occasionali e contingenti che potrebbero far deviare dalla grande linea di rifiuto dell’atteggiamento dello scontro frontale e viceversa della pratica concreta della pace come obiettivo e della democrazia come misura di concreti atteggiamenti. Di conseguenza il vero senso laico della pace, intesa non come fatto etico e perciò stesso chiuso ma come fatto di confronto e di comportamento, il vero senso di questo laicismo è appunto di uno sforzo di realizzare concretamente la pace, non nascondendosi le difficoltà, i problemi e le cose da risolvere per poterla rendere effettiva, e non casualmente facevo prima riferimento ai problemi di fondo della fame che è solo un’occasione oggettiva di contrasto e focolaio di guerra.
E alloca, se è vero tutto questo, noi non vogliamo partire dall’idea che siamo tutti d’accordo, noi vogliamo capire come possiamo fare un passo avanti. Noi non crediamo che nel Mediterraneo sia un’invenzione del Ministro Lagorio la tensione con certe situazioni evidenti o che siano dovute alla politica delle cannoniere certe difficoltà che abbiamo con la Libia. Comprendiamo benissimo che noi non dobbiamo essere, proprio perché rifiutiamo la logica dello scontro frontale, coloro che gettano acqua sul fuoco, ma a noi non pare che il Governo italiano abbia gettato benzina sul fuoco nei confronti della Libia, come non ci pare che il Governo italiano che ha apertamente sottolineato l’esigenza di un concorso europeo nella questione del Sinai, oppure non ci pare che il Governo italiano il quale ha chiaramente detto che l’indicazione americana per la bomba N decisa, assunta senza consultare gli alleati, al di fuori di ogni organismo e patto militare e al di fuori della logica europea, sia una logica giusta, non ci sembra che questo Governo sia un tipo di Governo che mira a riproporre la logica dello scontro frontale, a difendere ciecamente e acriticamente in modo suicida la politica dell’amministrazione Reagan.
Quindi noi siamo convinti che il Governo, dal punto di vista di direzione di uno Stato con tutti i vincoli che da ciò derivano, sta operando per andare verso la grande linea anche dei contributi europei. La proposta di Berlinguer che parlava dell’Europa, se non vado errato, a livello di diplomazia internazionale, ha un nome, un’etichetta che si chiama «proposta Gensher-Colombo» che guarda caso sono un Ministro tedesco e il Ministro degli Esteri italiano. Quindi il Governo fa il fattibile. Probabilmente in alcune cose si può fare meglio, più rapidamente, più a fondo, tutto questo nella logica laica del lavoro giorno per giorno, della conquista di libertà giorno per giorno e della pace come soluzione giorno per giorno dei problemi, è un fatto sicuro che si può fare sempre di meglio. Però stiamo attenti a non scantonare nella logica del tutto e subito che spesso potrebbe portare a risultati contrari a quelli da noi tutti desiderati.
Conseguentemente noi pensiamo che, se si deve dare un senso alle dichiarazioni dopo l’intervento del consigliere Berlinguer che è quello che mi ha preceduto, che poi del resto è anche il secondo del gruppo comunista, si dovrebbe andare a una posizione conclusiva di questo dibattito più meditata e più articolata rispetto alla posizione iniziale espressa nella mozione del gruppo comunista che abbisognerebbe di alcune connotazioni e cambiamenti che del resto io credo sono emerse già dal dibattito, che fanno sembrare alcune dichiarazioni più il parere di altri gruppi della sinistra che non quelle dello stesso Partito Comunista. A noi sembrava che la mozione del gruppo socialista, proprio nel momento in cui sottolinea con forza la necessità di una continua e mai strumentale azione a livello culturale in ogni parte del mondo, toccasse con sufficiente chiarezza il punto chiave di questo essere la battaglia per la pace non un problema di politica estera ma un problema anche nostro nel senso che è un problema di maturazione politico culturale, e pensiamo anche che come indicazioni complessive potesse essere una concreta base di accordo per arrivare ad una mozione che traducesse in realtà, se realtà è, le considerazioni qui svolte di una pace non come anelito o comunque non solo come anelito ma come volontà di comportarsi direttamente. Noi in tal caso vogliamo sottolineare – sempre in riferimento alla mozione socialista – che, per quanto riguarda la partecipazione nostra al Sinai, noi riteniamo che a livello europeo sia una cosa giusta ma vogliamo anche in ogni caso sottolineare la necessità che tali iniziative, tali partecipazioni in linea generale puntino sempre a mantenere il quadro generale del principio del diritto dell’autodeterminazione di tutti i popoli. Pensiamo che questo sarebbe importante, come sarebbe un punto importante proprio legandosi a quanto dicevo e cioè che è realmente al di là delle trattative fra le due superpotenze che è necessario fare e migliorare, però che è realmente il problema della fame che in prospettiva può portare alle guerre, alle difficoltà, allora pensiamo che si dovrebbe dare anche uno spazio non solo di ricordo formale ma di consapevolezza alle risoluzioni assunte un mese e mezzo fa dal Parlamento Europeo che, appunto sul problema della fame e del sottosviluppo, accentravano, a nostro parere giustamente, l’attenzione di quel consesso e di tutti gli Stati Europei.
Di conseguenza noi siamo intervenuti in modo spero anche contenuto, come mi sembra corretto in questi temi, su questa problernatica, cercando di vedere i passi che al di là delle posizioni e delle valutazioni contrastanti di ognuno sui meriti o sulle colpe di alcuni Stati esteri o schieramenti politici interni su questo problema, dei passi che possiamo fare avanti insieme e in concreto. Laddove la parola insieme non deve vanificare la parola in concreto, cioè devono essere passi realistici, fattibili e che diano una dimostrazione veramente di come ci si comporti differentemente per rifiutare lo scontro frontale.
Conseguentemente, se dovessimo andare a delle valutazioni, noi ci orienteremmo per delle modifiche nel senso che ho detto e per una sottolineatura del problema del sottosviluppo e della fame come focolai di fondo a livello estero, come possono essere i problemi sociali a livello interno, che possono veramente essere focolai di rinnovate occasioni di guerra, perchè riteniamo che la guerra sia spesso la risposta irrazionale a problemi reali, e conseguentemente per eliminare o allontanare il rischio di guerra bisogna cercare più di sforzarsi di risolvere i problemi reali. Cerchiamo se è possibile in questa sede di comportarci razionalmente, dando così, sia pure indirettamente, non una soluzione ai problemi della pace nel mondo che sarebbe una presunzione, ma il nostro piccolo contributo a un modo di comportamento che tende a evitare le insidie e i pericoli degli scontri aprioristici e della partigianeria senza confronti e possibilità di dibattito reale e di modificazione delle due parti che sono tra di loro in dibattito.