Mozioni sulla pace (n.71 e72)

PRESIDENTE. Ha la parola il consigliere Morelli.

MORELLI. Questo argomento, per noi, non è un parlare di cose estere, per così dire – fatto che ci vedrebbe come altre volte scettici – ma è un parlare, diceva ora il collega Berlinguer, della questione somma, noi intendiamo questa frase, questo somma, nel senso che si tratta al proble­ma della pace non solo di problemi di politica in­ternazionale ma anche di cose nostre se si intende questo tipo di problema come un problema che deve nascere dal comportamento quotidiano delle varie realtà sociali e individuali del mondo. E quindi cercherò di accennare a queste cose po­nendo l’accento sul fatto che l’impegno di tutti questi consessi deve essere quello di sforzarsi di esaminare il come riuscire a promuoverla, sia pu­re dai nostri piccoli ambiti, e non tanto quello di manifestare aneliti, deve essere quello di sforzarsi di stabilire come comportarsi nella nostra azione di governo e non tanto per agitare una sorta di irenismo, che al di fuori del mondo religioso spes­so non riesce ad incidere sulle necessarie tra­sformazioni sociali e di rapporti fra individui, col­lettività, gruppi sociali e stati.

Quindi accennerò al problema della pace come fatto anche nostro, nel senso che al fondo del problema della pace c’è un rifiuto della logica del­lo scontro frontale, che non è una logica limitata a problemi di politica estera, ma a nostro parere è una logica che affonda le sue radici anche nel quotidiano dei problemi che tutti i giorni andiamo ad esaminare.

E allora senza dubbio il movimento per la pace è cosa nuova, nel senso che non è la meccani­ca riproposizione di manifestazioni per la pace che in realtà significavano una precisa scelta di campo in una logica viceversa di scontro frontale quali potevano essere i movimenti della pace di circa 25 anni fa, senza dubbio è una cosa nuova, però diciamo anche che non è una cosa ancora totalmente consapevole sul piano dei conseguenti comportamenti interni che derivano, che dovreb­bero derivare da questa volontà di superare lo scontro frontale nella politica internazionale co­me nella nostra politica interna.

Noi pensiamo che ancora questi movimenti sulla pace abbiano alcuni problemi, del tipo in­nanzitutto di chiarire se questo rifiuto dello scon­tro frontale è, come sarebbe corretto, il rifiuto dello scontro frontale nei rapporti, nello stringere i rapporti fra gruppi sociali o stati, oppure , come noi crediamo sia in parte, soprattutto in un movimento di fondo che c’è anche a livello europeo, una tendenza a preoccuparsi di rifiutare lo scontro frontale più che altro per preoccuparsi limitatamente dei propri singoli interessi, e questo è già un punto che va affrontato.

Ma più in generale senza dubbio questo movi­mento per la pace come superamento della logica dello scontro frontale può avere degli sviluppi, ma degli sviluppi proprio se sceglie la strada delle trattative, di quelle trattative che, come vedremo, non possono essere limitate alle due grandi super­potenze ma che comunque sono un prodotto di un risultato di volontà precisa anche da parte no­stra in fin dei conti di trattare senza voler accet­tare le tesi della pace da una parte sola che non sono, al di là delle senza dubbio intenzioni otti­me, produttive sul piano reale di trasformazione dei comportamenti. Queste trattative dovranno continuare e dovranno continuare attraverso at­teggiamenti fermi, comprensivi delle posizioni al­trui, ma fermi sulla linea di arrivare a punti di ac­cordo concreti, passo per passo, volta per volta, per migliorare le situazioni e superare gli oggettivi punti di contrasto.

Sotto questo profilo sono evidenti due cose, e cioè che senza dubbio c’è un grosso ruolo dell’Europa che dovrà essere svolto in termini di identità e di iniziativa politica da parte di questa entità e che altrettanto senza dub­bio questo ruolo dell’Europa è un qualcosa che è venuto come maturazione comune da parte di di­verse forze politiche e Stati, anche sulla spinta del movimento per la pace, ma anche seguendo il filone della trattativa ferma e responsabile che non ha mai voluto dire se vuoi la pace prepara la guerra, ma ha voluto dire appunto non le fughe in avanti verso una pace senza radici comporta­mentali oppure una pace priva di quel rifiuto di fondo dello scontro frontale a cui prima mi riferi­vo. E allora le trattative devono essere continua­te, devono essere ancora iniziate ad oggi, ma co­munque devono essere affrontate fermamente e costruttivamente delle trattative a due ma do­vranno necessariamente vedere una presenza po­litica attiva da parte dell’Europa.

Però più in generale diciamo che se questa po­litica di comportamenti seri, meditati, costruttivi, che partano dall’idea delle differenze di ruoli, del­le differenze di esperienze politiche, delle differen­ze gravi di sviluppo, delle differenze gravi di de­mocrazia, se tutto questo deve essere costruttivo e serio, allora crediamo che le trattative da sole non bastano perché per dare concretezza a que­sto sforzo bisogna in qualche modo affrontare le centinaia di focolai che ci sono nel mondo e che sono legati al problema generale della fame, e che quindi è fondamentale che appunto anche in que­sta sede a livello di politica internazionale si ri­proponga una politica di comportamenti, di atteg­giamenti e di scelte che passi difatti attraverso il confronto, l’esame concreto e razionale dei pro­blemi e non attraverso gli aneliti o l’irenismo che di fatto non risolvendo i problemi ne aggravano la portata finendo per sfociare, come sempre nel­la storia è successo, in scontri frontali.

Ora, se, come noi crediamo, tutto questo è il quadro nel quale ci dobbiamo muovere, allora noi comprendiamo un pochino meno, sia pure ri­conoscendo nei due interventi anche di parte co­munista una intonazione di uno sforzo più a capi­re anche gli altri rispetto a quelli che sono i testi consegnati al Consiglio regionale attraverso la proposta di mozione, soprattutto per quanto ri­guarda la conclusione della mozione da una parte e invece la conclusione degli interventi sia del consigliere Marcucci sia del consigliere Berlin­guer, perché, nonostante che questi interventi rappresentino un’ulteriore evoluzione, un ulteriore tentativo di allargarsi da parte del Partito Comu­nista in uno sforzo di confronto che non sia la ri­proposizione di un certo modo di fare invettive, del quale stasera abbiamo smentito una ripropo­sizione da parte segnatamente del collega Teroni, più signorilmente stamani del collega Biondi, cioè nonostante questo sforzo di non liquidare il pro­blema del governo con sostantivi tipo «cecità», aggettivi tipo «suicida» e valutazioni tipo «subor­dinazioni totali e acritiche», però devo sempre di­re che nel punto chiave della domanda che si po­neva il collega Marcucci, cioè del come possa ac­cadere, come possano conciliarsi i fondamentali valori democratico occidentali della popolazione del mondo americano con la politica di certe mul­tinazionali, con alcune scelte dell’amministrazione e del governo di questo stesso popolo, noi vor­remmo dire che il problema è che nelle democra­zie, almeno come noi le intendiamo, non esiste la verità perché la libertà va conquistata giorno per giorno e che l’importante è attraverso i movimenti e il libero confronto superare anche delle scelte occasionali e contingenti che potrebbero far de­viare dalla grande linea di rifiuto dell’atteggia­mento dello scontro frontale e viceversa della pratica concreta della pace come obiettivo e della democrazia come misura di concreti atteggiamen­ti. Di conseguenza il vero senso laico della pace, intesa non come fatto etico e perciò stesso chiuso ma come fatto di confronto e di compor­tamento, il vero senso di questo laicismo è ap­punto di uno sforzo di realizzare concretamente la pace, non nascondendosi le difficoltà, i proble­mi e le cose da risolvere per poterla rendere effet­tiva, e non casualmente facevo prima riferimento ai problemi di fondo della fame che è solo un’oc­casione oggettiva di contrasto e focolaio di guerra.

E alloca, se è vero tutto questo, noi non voglia­mo partire dall’idea che siamo tutti d’accordo, noi vogliamo capire come possiamo fare un pas­so avanti. Noi non crediamo che nel Mediterra­neo sia un’invenzione del Ministro Lagorio la ten­sione con certe situazioni evidenti o che siano do­vute alla politica delle cannoniere certe difficoltà che abbiamo con la Libia. Comprendiamo benis­simo che noi non dobbiamo essere, proprio perché rifiutiamo la logica dello scontro frontale, coloro che gettano acqua sul fuoco, ma a noi non pare che il Governo italiano abbia gettato benzina sul fuoco nei confronti della Libia, come non ci pare che il Governo ita­liano che ha apertamente sottolineato l’esigenza di un concorso europeo nella questione del Sinai, oppure non ci pare che il Governo italiano il qua­le ha chiaramente detto che l’indicazione ameri­cana per la bomba N decisa, assunta senza con­sultare gli alleati, al di fuori di ogni organismo e patto militare e al di fuori della logica europea, sia una logica giusta, non ci sembra che questo Governo sia un tipo di Governo che mira a ripro­porre la logica dello scontro frontale, a difendere ciecamente e acriticamente in modo suicida la politica dell’amministrazione Reagan.

Quindi noi siamo convinti che il Governo, dal punto di vista di direzione di uno Stato con tutti i vincoli che da ciò derivano, sta operando per an­dare verso la grande linea anche dei contributi europei. La proposta di Berlinguer che parlava dell’Europa, se non vado errato, a livello di diplo­mazia internazionale, ha un nome, un’etichetta che si chiama «proposta Gensher-Colombo» che guarda caso sono un Ministro tedesco e il Mini­stro degli Esteri italiano. Quindi il Governo fa il fattibile. Probabilmente in alcune cose si può fare meglio, più rapidamente, più a fondo, tutto que­sto nella logica laica del lavoro giorno per giorno, della conquista di libertà giorno per giorno e della pace come soluzione giorno per giorno dei pro­blemi, è un fatto sicuro che si può fare sempre di meglio. Però stiamo attenti a non scantonare nel­la logica del tutto e subito che spesso potrebbe portare a risultati contrari a quelli da noi tutti desiderati.

Conseguentemente noi pensiamo che, se si de­ve dare un senso alle dichiarazioni dopo l’inter­vento del consigliere Berlinguer che è quello che mi ha preceduto, che poi del resto è anche il se­condo del gruppo comunista, si dovrebbe andare a una posizione conclusiva di questo dibattito più meditata e più articolata rispetto alla posizione iniziale espressa nella mozione del gruppo comu­nista che abbisognerebbe di alcune connotazioni e cambiamenti che del resto io credo sono emerse già dal dibattito, che fanno sembrare alcune di­chiarazioni più il parere di altri gruppi della sini­stra che non quelle dello stesso Partito Comuni­sta. A noi sembrava che la mozione del gruppo socialista, proprio nel momento in cui sottolinea con forza la necessità di una continua e mai stru­mentale azione a livello culturale in ogni parte del mondo, toccasse con sufficiente chiarezza il pun­to chiave di questo essere la battaglia per la pace non un problema di politica estera ma un proble­ma anche nostro nel senso che è un problema di maturazione politico culturale, e pensiamo anche che come indicazioni complessive potesse essere una concreta base di accordo per arrivare ad una mozione che traducesse in realtà, se realtà è, le considerazioni qui svolte di una pace non come anelito o comunque non solo come anelito ma come volontà di comportarsi direttamente. Noi in tal caso vogliamo sottolineare – sempre in riferi­mento alla mozione socialista – che, per quanto riguarda la partecipazione nostra al Sinai, noi ri­teniamo che a livello europeo sia una cosa giusta ma vogliamo anche in ogni caso sottolineare la necessità che tali iniziative, tali partecipazioni in linea generale puntino sempre a mantenere il qua­dro generale del principio del diritto dell’autode­terminazione di tutti i popoli. Pensiamo che questo sarebbe importante, come sarebbe un pun­to importante proprio legandosi a quanto dicevo e cioè che è realmente al di là delle trattative fra le due superpotenze che è necessario fare e mi­gliorare, però che è realmente il problema della fame che in prospettiva può portare alle guerre, alle difficoltà, allora pensiamo che si dovrebbe dare anche uno spazio non solo di ricordo for­male ma di consapevolezza alle risoluzioni assun­te un mese e mezzo fa dal Parlamento Europeo che, appunto sul problema della fame e del sotto­sviluppo, accentravano, a nostro parere giusta­mente, l’attenzione di quel consesso e di tutti gli Stati Europei.

Di conseguenza noi siamo intervenuti in modo spero anche contenuto, come mi sembra corretto in questi temi, su questa problernatica, cercando di vedere i passi che al di là delle posizioni e delle valutazioni contrastanti di ognuno sui meriti o sulle colpe di alcuni Stati esteri o schieramenti politici interni su questo problema, dei passi che possiamo fare avanti insieme e in concreto. Lad­dove la parola insieme non deve vanificare la pa­rola in concreto, cioè devono essere passi realisti­ci, fattibili e che diano una dimostrazione vera­mente di come ci si comporti differentemente per rifiutare lo scontro frontale.

Conseguentemente, se dovessimo andare a del­le valutazioni, noi ci orienteremmo per delle mo­difiche nel senso che ho detto e per una sottoli­neatura del problema del sottosviluppo e della fa­me come focolai di fondo a livello estero, come possono essere i problemi sociali a livello interno, che possono veramente essere focolai di rinnova­te occasioni di guerra, perchè riteniamo che la guerra sia spesso la risposta irrazionale a proble­mi reali, e conseguentemente per eliminare o al­lontanare il rischio di guerra bisogna cercare più di sforzarsi di risolvere i problemi reali. Cerchia­mo se è possibile in questa sede di comportarci razionalmente, dando così, sia pure indirettamen­te, non una soluzione ai problemi della pace nel mondo che sarebbe una presunzione, ma il nostro piccolo contributo a un modo di comportamento che tende a evitare le insidie e i pericoli degli scontri aprioristici e della partigianeria senza con­fronti e possibilità di dibattito reale e di modifica­zione delle due parti che sono tra di loro in dibat­tito.

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